La prima volta per la procedura di controllo sul rispetto dei valori dell'Unione prevista dall'art. 7 TUE? Alcune implicazioni per l'integrazione europea

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Keywords: European Commission – recommendation – Art. 7 TEU – EU common values – rule of law – serious and persistent breach.
 

Con la raccomandazione del 27 luglio 2016[1] la Commissione europea ha proseguito la propria attività rispetto alla crisi costituzionale in corso in Polonia, causata dalla situazione di grave conflitto tra poteri dello Stato che si è venuta a determinare in seguito all’insediamento, nel novembre 2015, della nuova legislatura, che ha portato a un certo ridimensionamento del ruolo della locale Corte costituzionale.

L’interessamento della Commissione prese il via nel gennaio 2016, quando per la prima volta domandò alla Polonia informazioni sulla crisi in atto, avviando un vero e proprio dialogo con il Governo polacco.[2] Più tardi, nel parere del 1° giugno 2016,[3] la Commissione formalizzò le valutazioni che era andata compiendo sulle informazioni ricevute e le preoccupazioni nel frattempo maturate.

In particolare, si teme che possa profilarsi una grave violazione del principio dello Stato di diritto, uno dei valori a fondamento dell’Unione europea sanciti dall’art. 2 TUE, la cui osservanza è garantita dal procedimento di controllo previsto dall’art. 7 TUE, suscettibile di sfociare, in caso di “violazione grave e persistente”, finanche in sanzioni sospensive dei diritti inerenti alla qualità di membro dell’Unione. A tal fine, occorrerebbe una delibera del Consiglio a maggioranza qualificata (par. 3), che segua una delibera con cui il Consiglio europeo, all’unanimità, accerti, su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, l’esistenza di siffatta violazione (par. 2). Altrimenti, l’art. 7 prevede un meccanismo di difesa più avanzata volto a verificare – sempre su proposta di un terzo degli Stati membri, della Commissione o del Parlamento europeo e per delibera del Consiglio previa approvazione del Parlamento europeo – l’esistenza di un “evidente rischio di violazione grave” e a prevenirne la consumazione (par. 1).

Nel caso della crisi polacca è la Commissione, non gli Stati membri, a preoccuparsi di valutare se sia opportuno o meno attivare tali procedure. Per giunta, essa sembra agire con una certa acribia e ingerenza nelle scelte statali di politica legislativa e giudiziaria, anche sostituendosi o anticipando le funzioni di accertamento in contraddittorio con lo Stato interessato e di raccomandazione che l’art. 7 TUE sembra invece attribuire al Consiglio (nell’ipotesi di cui al par. 1: constatazione dell’esistenza di un evidente rischio di violazione grave) e al Consiglio europeo (nell’ipotesi di cui al par. 2: constatazione dell’esistenza di una violazione grave e persistente).

In effetti, la Commissione si è spinta fino a valutare la compatibilità con il principio dello Stato di diritto delle misure prese dalla Polonia in seguito all’avvio del dialogo con essa, ivi compresa la legge di riforma del funzionamento della Corte costituzionale varata il 22 luglio 2016 – giusto cinque giorni prima che la raccomandazione fosse emanata – allo scopo di verificare se tale riforma “constitutes appropriate action to redress the rule of law concerns identified in the Commission’s Rule of Law Opinion of 1 June”.[4] Sotto esame, in particolare, sia “the legislaton concerned” sia “its impact”.[5] D’altronde, ha fatto notare la Commissione, sebbene l’indicata riforma rechi alcuni miglioramenti, specie se raffrontata all’altra riforma in precedenza varata dal Governo polacco, il 22 dicembre 2015, e sebbene essa affronti alcuni dei problemi segnalati dalla Commissione nel parere del giugno 2016, ciò nondimeno altre importanti questioni rimangono impregiudicate. Peraltro, alcune previsioni normative della legge in discorso suscitano nuove preoccupazioni con riguardo all’effettività del controllo di legittimità costituzionale delle leggi.[6]

Inoltre – senza aver chiarito fino in fondo contenuto e portata del principio dello Stato di diritto nell’ordinamento dell’Unione e il rapporto tra questo e l’esigenza che sia garantita l’effettività del sistema di giustizia costituzionale e nonostante la Polonia si fosse già attivata per provare ad incontrare le perplessità manifestate dalla Commissione – quest’ultima ha raccomandato al Governo polacco di adottare una serie di misure “to address this systematic threat to the rule of law as a matter of urgency”,[7] indicando un termine assai ravvicinato – appena tre mesi dalla notifica della raccomandazione – perché provveda e la informi dei passi compiuti in tale direzione.[8] In mancanza, si prospetta il ricorso a uno dei meccanismi previsti dall’art. 7 TUE.

Queste, tra le altre, le misure da prendere: a) attuare le sentenze del 3 e 9 dicembre 2015, in cui la Corte costituzionale polacca ha affermato che i giudici nominati dalla precedente legislatura avrebbero dovuto assumere le loro funzioni, non anche i giudici nominati dalla nuova legislatura in assenza di una valida base giuridica; b) pubblicare ed eseguire la sentenza del 9 marzo 2016, in cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità della legge di riforma della Corte stessa, approvata dalla nuova legislatura il 22 dicembre 2015, per via dell’impatto negativo sul suo funzionamento e sull’indipendenza dei giudici; c) pubblicare ed eseguire le diverse sentenze rese dalla Corte successivamente al 9 marzo 2016, a conclusione di procedimenti in cui peraltro il Governo polacco si è rifiutato di partecipare e in applicazione delle regole previgenti alla riforma giudicata incostituzionale; d) assicurare che la pubblicazione delle future sentenze della Corte non dipenda da decisioni del potere esecutivo o legislativo; e) assicurare che qualsivoglia riforma dell’organizzazione e del funzionamento della Corte rispetti le pronunce della medesima – ivi comprese quelle, già ricordate, del dicembre 2015 e del marzo 2016 – e tenga conto del parere emesso in proposito dalla Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa nel marzo 2016; f) assicurare che l’effettività del controllo di legittimità costituzionale delle leggi non sia compromessa da requisiti quali quelli – introdotti dalla legge di riforma del 22 luglio 2016 – relativi al quorum di partecipazione e votazione dei giudici, alla gestione dei casi in ordine cronologico che rischi di precludere la trattazione dei casi urgenti, alla facoltà per il Procuratore generale di impedire l’esame dei casi, alle misure transitorie che incidano sui casi pendenti; g) assicurare che la Corte costituzionale possa verificare la compatibilità della legge di riforma del 22 luglio 2016 prima che entri in vigore.[9]

La raccomandazione si inserisce in una procedura tipizzata dalla stessa Commissione tramite una comunicazione al Parlamento europeo e al Consiglio del marzo 2014,[10] al fine di contrastare eventuali minacce al principio dello Stato di diritto negli Stati membri prima che si verifichino le condizioni per attivare i meccanismi stabiliti dall’art. 7 TUE. Si tratta di una procedura articolata in tre fasi: i) raccolta e analisi delle informazioni da parte della Commissione che può sfociare in un parere in cui essa formalizza le proprie preoccupazioni e sollecita lo Stato interessato a replicare; ii) in caso di mancata risoluzione del problema, adozione di una raccomandazione indirizzata allo Stato membro interessato in cui si chiede di adottare determinate misure entro un termine; iii) in caso di mancata osservanza della raccomandazione, attivazione dei meccanismi di cui all’art. 7 TUE.

Quello polacco è il primo caso di applicazione di tale procedura e potrebbe essere anche il primo caso di attivazione di uno dei meccanismi preventivi e sanzionatori di cui all’art. 7 TUE (ossia di attivazione del Consiglio o del Consiglio europeo a tal fine), da quando sono stati introdotti con il Trattato di Amsterdam del 1997 e perfezionati dal Trattato di Nizza del 2001. L’unico caso rilevante essendo stato quello che ha coinvolto l’Austria, cui all’inizio del 2000 si contestò la partecipazione al Governo di un partito d’ispirazione xenofoba. Allora, però, l’iniziativa fu presa dagli Stati membri e non portò all’avvio di un’azione ai sensi della precedente versione dell’art. 7 TUE, ma all’adozione di misure di carattere diplomatico, poco dopo revocate per il rientrare della crisi.

Ora, a nostro modo di vedere, nella vicenda polacca la natura del soggetto che si sta impegnando per far rispettare i valori fondanti l’Unione e le modalità del suo operato sembrano in qualche misura riflettere l’esigenza di rafforzare il processo di integrazione. La sensazione è che si stia mirando non tanto e solo a garantire l’osservanza dei predetti valori, ma anche e soprattutto a conseguire un grado piuttosto elevato di protezione. Ciò, verosimilmente, poiché è in predicato la tenuta del sistema democratico, l’unico in grado di garantire a pieno il libero gioco del mercato all’interno degli Stati membri.[11] In effetti, alla luce di quanto rilevato in precedenza, la Commissione sembrerebbe poco orientata verso l’attivazione della procedura di preallarme prevista dal par. 1, dell’art. 7 TUE. Né l’espletamento di tale procedura sembra costituire un presupposto per l’espletamento di quella di cui al par. 2, dell’art. 7 TUE, la quale invece costituisce una condizione per l’attivazione della procedura sanzionatoria di cui al par. 3. Quest’ultima previsione normativa, infatti, condiziona espressamente la propria applicazione alla constatazione del Consiglio europeo prevista dal par. 2.

Inoltre, l’art. 7, paragrafi 2 e 3, TUE non riguarda l’ipotesi di una violazione sporadica, per quanto grave, dei valori comuni. Deve piuttosto trattarsi di una violazione “grave e persistente”. Tuttavia, anche a causa dell’assenza di episodi di applicazione dell’art. 7 TUE, non è chiaro fino in fondo cosa debba intendersi per siffatta violazione, né quale sia la soglia affinché un comportamento statale possa ritenersi tale. Forse alcuni esempi potrebbero ritrovarsi in condotte quali colpi di Stato, politiche razziste, soppressione delle fondamentali libertà civili e politiche. Ebbene, lo si ricordi, la Commissione sta ipotizzando che il comportamento polacco sia, oltre che grave, persistente. L’importanza di questo aspetto è ulteriormente accentuata dal fatto che, ai sensi dell’art. 269 TFUE, il procedimento di cui all’art. 7 TUE non è soggetto a controllo giudiziario, l’unica competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea riguardando aspetti procedurali, non anche di merito.

Si tratterà comunque di vedere come reagiranno le competenti autorità polacche e come a sua volta la Commissione, allo scadere del termine indicato nella raccomandazione.

European Papers continuerà a monitorare la vicenda e a darne notizia.

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European Papers, Vol. 1, 2016, No 3, European Forum, Highlight of 26 September 2016, pp. 1253-1257
ISSN
2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/72

* Ricercatore di Diritto internazionale, Professore aggregato di Diritto dell’Unione europea, Università di Roma “La Sapienza”, emanuele.cimiotta@uniroma1.it.

[1] Commission Recommendation of 27 July 2016 regarding the rule of law in Poland, C(2016) 5703 final.

[2] V. più ampiamente S. Labayle, Respect des valeurs de l’Union européenne en Pologne: première application du nouveau cadre pour renforcer l’état de droit, in European Papers – European Forum, Highlight (in corso di pubblicazione).

[4] Commission Recommendation C(2016) 5703 final, cit., par. 25.

[5] Ibidem.

[6] V. infra, il passo del testo che fa capo alla nota 9.

[7] Commission Recommendation C(2016) 5703 final, cit., par. 74.

[8] Ivi, par. 76.

[9] Ivi, par. 74.

[10] Communication from the Commission to the European Parliament and the Council of 11 March 2014, A New EU Framework to Strengthen the Rule of Law, COM(2014) 158 final.

[11] Aspetto, questo, implicitamente riconosciuto dalla stessa Commissione: “[r]espect for the rule of law is not only a prerequisite for the protection of all fundamental values listed in Article 2 […]. It is also a prerequisite for upholding all rights and obligations deriving from the Treaties […], and for establishing mutual trust of citizens, businesses and national authorities in the legal systems of all other Member States” (Commission Recommendation C(2016) 5703 final, cit., par. 73).

 

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