L’accesso al mercato delle concessioni delle aree demaniali delle coste marittime e lacustri tra tutela dell’investimento ed interesse transfrontaliero certo

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Abstract: The debate about the access to the Italian market of maritime (and lakeside) concessions has not ended yet. In 2008, the European Commission opened an infringement procedure against Italy, alleging that the regime of the preferential rights to the state-owned maritime property concessionaires was inconsistent with Art. 49 TFEU and with the Services Directive. Following the opening of the infringement procedure, the preferential right of the concessionaires was abolished by the Italian authorities, starting from 31 December 2012. However, subsequent amendments legislation extended the legal force of that regime until 31 December 2015 and, further, until 31 December 2020. The Court of Justice, in Promoimpresa (judgment of 14 July 2016, joined cases C-458/14 and C-67/15) ruled that the automatic extension of existing concessions of State-owned maritime and lakeside property for tourist and leisure-oriented business activities was inconsistent with European law. In consequence thereof, Italy must adopt transparent procedures to grant concessions of state property, contractually agreeing a limited lifetime, in order not to restrict or limit the free competition beyond what is necessary to ensure the amortization of the investments and make a fair return on the capital invested. Nevertheless, in force of a statute enacted some weeks after the Court's decision, the existing concessions remain in force, in order to protect legal certainty and the public interest, for an indefinite time; more precisely for the time necessary for the Italian authorities to revise Italian law and to bring it in accordance with the principles and rules of European law.

Keywords: concessions of State-owned maritime, lakeside and waterway property of economic interest – automatic extension of existing concessions – public contracts and freedom of establishment – Art. 49 TFEU – Services Directive – lack of tender procedure.
 

I. Introduzione

I regimi di accesso al mercato delle concessioni del demanio pubblico lacustre e marittimo – mercato che, va evidenziato, interessa migliaia di operatori economici, avendo anche solo riguardo al contesto italiano – sono oggetto di una particolare attenzione da parte delle istituzioni dell’UE, che hanno avuto modo, a diverso titolo e in diverse occasioni, di analizzare specificatamente la compatibilità delle norme italiane destinate a disciplinare la materia con le disposizioni dell’ordinamento dell’UE, da cui queste norme presentano un non indifferente scostamento.

Il primo intervento è da attribuire alla Commissione europea, la quale attraverso una lettera di messa in mora indirizzata alla Repubblica italiana, nel 2009,[1] ha evidenziato come l’art. 37 del codice della navigazione italiano fosse in contrasto con l’art. 43 TCE, poiché prevedeva, nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni del demanio pubblico marittimo, un diritto di preferenza a favore del soggetto già titolare di concessione (c.d. diritto di insistenza).

È noto come, in conseguenza della procedura di infrazione instaurata dalla Commissione, il Governo italiano sia intervenuto al fine di eliminare tale diritto di preferenza, ma anche come, in seguito, in sede di conversione del decreto legge del 30 dicembre 2009, n. 194 ad opera della legge del 26 febbraio 2010, n. 25, sia stato aggiunto un rinvio a un altro testo legislativo,[2] determinando in tal modo il rinnovo automatico delle concessioni, di sei anni in sei anni. Un siffatto colpo di coda ha generato, nel 2010, l’invio da parte della Commissione di una lettera di “messa in mora complementare”,[3] ove veniva rilevato come tale rinvio, da un lato, privasse di ogni effetto l’eliminazione del diritto di preferenza e si ponesse in contrasto sia con le disposizioni dell’art. 49 TFUE che della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno, c.d. direttiva servizi[4] (in particolare, l’art. 12) il cui termine di scadenza era, nel frattempo, intervenuto. Al fine di consentire di superare in maniera definitiva le contestazioni della Commissione e di consentire l’archiviazione della procedura di infrazione, è stata introdotta nell’ordinamento italiano una norma, nell’ambito della legge comunitaria per l’anno 2010,[5] atta a eliminare ogni rinvio al regime del rinnovo automatico delle concessioni e il diritto preferenziale dei concessionari, entro il 31 dicembre 2012 (termine successivamente prorogato al 31 dicembre 2015 e, infine, al 31 dicembre 2020).

Più di recente, in sede giurisdizionale, nell’ambito di giudizi amministrativi instaurati da alcuni operatori economici concessionari dei beni demaniali al fine della fornitura di servizi turistico-ricreativi, la Corte di giustizia si è espressa in via pregiudiziale,[6] sancendo l’illegittimità della proroga automatica ex lege delle concessioni all’esercizio delle attività turistico-ricreative nelle aree demaniali marittime e lacustri[7] e, quindi, la necessarietà dell’esperimento di una regolare procedura di selezione dei concessionari dei servizi turistici balneari.

La sentenza in questione fornisce diversi e rilevanti spunti di approfondimento. Posto che le questioni pregiudiziali sottoposte al vaglio della Corte riguardano l’interpre­tazione sia delle disposizioni di diritto primario, che di quelle di diritto derivato, in particolare, della direttiva servizi, ne derivano alcune riflessioni riferite al rapporto tra le fonti del diritto dell’UE nell’individuazione dei parametri di legittimità delle normative nazionali che possono comportare restrizioni all’accesso al mercato.

Degna di nota pare, inoltre, l’analisi dell’atteggiamento palesato dal legislatore nazionale successivamente alla pronuncia, il quale, recentemente, in sede di conversione in legge del decreto legge del 24 giugno 2016, n. 113, ha previsto che, nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea, per garantire la certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità, venga nuovamente attribuita validità (ex lege) ai rapporti concessori già instaurati e pendenti.[8]

II. Le norme di diritto derivato applicabili alle concessioni del demanio marittimo e lacustre

La declinazione dei rapporti tra diritto primario e diritto derivato nel quadro dell’individuazione del parametro di legittimità delle normative nazionali è stata dalla Corte costantemente impostata considerando che, nel caso in cui un settore abbia formato oggetto di un’armonizzazione esaustiva a livello dell’Unione europea, qualunque provvedimento nazionale in materia vada valutato sulla base delle disposizioni di tale misura di armonizzazione e non di quelle del diritto primario. Già nella sentenza Rina Services, peraltro, la Corte di giustizia aveva rilevato che le disposizioni di armonizzazione verrebbero private di effetto utile se agli Stati membri fosse consentito eluderle invocando una giustificazione basata sul diritto primario.[9]

Pertanto, la prima operazione compiuta dalla Corte nel contesto di cui si tratta è stata quella di valutare il complesso di norme (di rango primario o derivato) astrattamente (la valutazione in concreto spetta, infatti, al giudice del rinvio)[10] applicabili alle concessioni demaniali e di determinare la sussistenza o meno di una completa ed esaustiva armonizzazione della disciplina di tale tipologia di servizi nel contesto dell’Unione europea.

Quanto alle norme di diritto derivato, la Corte, nell’esaminare l’applicabilità della direttiva servizi, affronta alcune questioni definitorie relative alla fattispecie della concessione di beni demaniali, prescindendo dal nomen juris prescelto dal legislatore italiano.[11] La sentenza Promoimpresa ha, infatti, il pregio di chiarire che ai sensi del diritto UE, segnatamente delle disposizioni della direttiva servizi, il termine autorizzazione riunisce in sé tutti i provvedimenti amministrativi relativi all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio e anche scaturenti da un procedimento amministrativo per il rilascio di concessioni.[12] La concessione di beni demaniali, quindi, può essere qualificata come autorizzazione, ai sensi delle disposizioni della direttiva servizi, in quanto si riferisce ad atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di poter esercitare la loro attività economica. Considerando che le concessioni oggetto della pronuncia pregiudiziale hanno ad oggetto risorse naturali, trattandosi delle coste marittime sarde e del lago di Garda, esse possono trovare disciplina nella norma di cui all’art. 12 della direttiva servizi, il quale regolamenta lo specifico regime autorizzatorio relativo ad attività incidenti su risorse naturali o capacità tecniche utilizzabili di scarsa entità.

La Corte, invece, esclude che la direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione sia applicabile alla fattispecie delle concessioni demaniali, sulla base di due considerazioni: i) per la concessione di servizi pubblici, come definita dall’art. 5 della predetta direttiva, si rende necessaria la stipula di un contratto per il tramite del quale il diritto di gestire il servizio viene trasferito dall’autorità aggiudicatrice al concessionario, che dispone di una certa libertà economica per determinare le condizioni di gestione del diritto, restando parallelamente in larga misura esposto ai rischi connessi alla gestione. Le concessioni del demanio marittimo e lacustre in questione non hanno ad oggetto una determinata prestazione di servizi dell’ente aggiudicatore, bensì l’autorizzazione a esercitare un’attività economica in un’area demaniale; ii) inoltre, il considerando 15 della direttiva sulla concessione di servizi pubblici prevede espressamente che gli accordi disciplinanti il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico, mediante i quali lo Stato fissa unicamente le condizioni generali d’uso dei beni o delle risorse in questione, senza acquisire servizi specifici, non dovrebbero configurarsi come concessione di servizi ai sensi di tale direttiva.[13]

Avuto riguardo alle fattispecie sottoposte all’esame della Corte, si può concordare con tali conclusioni. La direttiva 2014/23/UE, al considerando 14, determina, infatti, che non dovrebbero configurarsi come concessioni di servizi, ai fini dell’applicazione delle norme della direttiva, atti quali autorizzazioni o licenze, qualora l’operatore economico abbia la facoltà di recedere dal contratto di fornitura di servizi. I contratti di concessione regolati dalla direttiva 2014/23/UE devono, inoltre, stabilire obblighi reciprocamente vincolanti in virtù dei quali l’esecuzione dei servizi è soggetta a specifici requisiti definiti dall’amministrazione aggiudicatrice.

Chiaramente, laddove le concessioni del demanio marittimo e lacustre si declinino diversamente, non limitandosi al rilascio da parte della mano pubblica dell’autorizza­zione a esercitare un’attività economica in un’area demaniale, ma prevedendo che i concessionari siano obbligati, in forza del regime concessorio nazionale, regionale o locale, ad esercitare una specifica attività di servizio, il parametro di legittimità della disciplina nazionale verrà ad essere costituto dalla direttiva 2014/23/UE. Il mutamento di parametro che si genera non varia il piano delle conseguenze: i principi di evidenza pubblica, di trasparenza, di libera concorrenza e di stabilimento informano sia la norma armonizzatrice che disciplina la prestazione di servizi che quella che regola la stipula dei contratti pubblici di concessione.[14]

Procedendo oltre, nel momento in cui viene determinata l’astratta applicabilità della direttiva servizi alla fattispecie delle concessioni del demanio marittimo e lacustre in esame, laddove il giudice del rinvio determini anche la concreta applicabilità dell’art. 12 della direttiva, si deve rilevare che tale disposizione prevede sia che il rilascio di un numero limitato di autorizzazioni giustificato dalla scarsità delle risorse naturali debba essere soggetto a una procedura di selezione tra i potenziali candidati, improntata sui principi di imparzialità, trasparenza e, in particolare, pubblicità, sia che tali limitate autorizzazioni abbiano una durata adeguata, non suscettibile di rinnovo automatico. Una norma nazionale che preveda una proroga ex lege della data di scadenza delle autorizzazioni produce un loro rinnovo automatico, ponendosi così in contrasto con la disposizione della direttiva servizi.

Peraltro, sebbene la norma di cui al par. 3 dell’art. 12 contempli la possibilità per gli Stati membri di tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario, la Corte rileva correttamente che lo Stato italiano avrebbe dovuto esprimere l’esistenza di tali condizioni derogatorie della disciplina generale al momento di stabilire le regole della procedura di selezione dei candidati potenziali esperita ai sensi del par. 1 dell’art. 12. Quindi, l’art. 12, par. 3, non può essere interpretato nel senso che esso consenta di giustificare una proroga automatica di autorizzazioni allorché, al momento della concessione iniziale, non è stata organizzata alcuna procedura di selezione ai sensi del par. 1 di tale articolo. Inoltre, una giustificazione, come quella invocata nella sua difesa dallo Stato italiano, fondata sul principio della tutela del legittimo affidamento del titolare dell’autorizzazione allo sfruttamento economico del demanio lacustre e marittimo al fine di fornire servizi turistico-ricreativi, richiede una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione potesse legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e avesse effettuato i relativi investimenti.[15] Ciò considerato, una siffatta giustificazione non può essere validamente invocata a sostegno di una proroga automatica istituita dal legislatore nazionale e applicata indiscriminatamente a tutte le autorizzazioni in questione.

III. La declinazione dei rapporti tra diritto primario e diritto derivato nel quadro dell’individuazione del parametro di legittimità delle normative nazionali

Come detto, nel caso in cui un settore abbia formato oggetto di un’armonizzazione esaustiva a livello dell’Unione europea, qualunque provvedimento nazionale in materia va valutato sulla base delle disposizioni di tale misura di armonizzazione e non di quelle del diritto primario. Con riferimento alla direttiva servizi, la Corte ha avuto modo di determinare, nella sentenza Rina Services,[16] che tale atto di diritto derivato ha realizzato un’armonizzazione esaustiva per i servizi rientranti nel suo ambito di applicazione.[17]

Va, tuttavia, rilevato che qualora il giudice del rinvio, nell’ambito della valutazione in merito alla concreta applicabilità della norma di diritto derivato di cui all’art. 12 della direttiva servizi, giunga a determinare che le concessioni del demanio lacustre e marittimo non siano qualificabili come risorse naturali scarse – con ciò comportando l’inapplicabilità della norma armonizzatrice di cui all’art. 12 della direttiva servizi –, la compatibilità della normativa nazionale dovrà essere analizzata sulla base delle sole disposizioni di diritto dell’UE di rango primario.

Le concessioni del demanio lacustre e marittimo ineriscono il diritto di stabilimento nell’area demaniale finalizzato a uno sfruttamento economico per fini turistico-ricreativi e trovano la loro disciplina, pertanto, nella disposizione di cui all’art. 49 TFUE,[18] la quale conduce a ritenere vietate, in quanto poste in violazione del principio generale di non discriminazione,[19] tali concessioni laddove – in presenza di un interesse transfrontaliero certo – la loro assegnazione sia intervenuta ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice, in totale assenza di trasparenza, così potendo pregiudicare le imprese concorrenti con sede in un altro Stato membro interessate alla concessione.[20]

In merito alla determinazione dell’esistenza di un interesse transfrontaliero certo, ai fini dell’applicazione dei principi di non discriminazione e trasparenza nell’ambito delle procedure aventi ad oggetto pubbliche concessioni, la Corte evidenzia che essa vada operata tenendo conto delle caratteristiche proprie della concessione in questione quali la sua importanza economica, il luogo della prestazione o le sue caratteristiche tecniche.[21]

Se ne deduce che, laddove le concessioni di beni demaniali in essere per attività turistico-ricreative presentino un interesse transfrontaliero certo nei termini descritti, la disposizione normativa di diritto interno che contempli una proroga automatica di dette concessioni deve essere ritenuta incompatibile con il disposto dell’art. 49 TFUE.[22]

IV. La durata delle concessioni tra le esigenze di tutela della con­correnza e quelle di tutela del legittimo affidamento

Lo Stato italiano ed i concessionari dello sfruttamento dei beni demaniali sostengono, nondimeno, che la proroga delle concessioni di cui trattasi potrebbe essere giustificata, in quanto misura transitoria – nell’ambito del passaggio da un regime di rinnovo automatico a un regime di aggiudicazione che comporta una procedura di gara ad evidenza pubblica –, per motivi di certezza del diritto, nonché alla luce del fatto che la proroga si pone come necessaria al fine di consentire di ammortizzare gli investimenti effettuati, in quanto essi potevano legittimamente confidare in un rinnovo automatico delle autorizzazioni in virtù della normativa applicabile all’epoca del loro rilascio.

Tuttavia, come evidenziato anche nelle conclusioni presentante dall’AG, il legittimo affidamento dei titolari delle autorizzazioni è già oggetto di sufficiente apprezzamento nell’ambito della direttiva servizi, laddove all’art. 12, par. 2, si prevede che le autorizzazioni debbano avere una durata adeguata qualora il loro numero sia limitato a causa della scarsità delle risorse e al considerando 62 si ritiene che tale durata debba “essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di quanto è necessario per garantire l’ammortamento degli investimenti e la remunerazione equa dei capitali investiti”.[23]

Quanto alle autorizzazioni che non hanno costituito oggetto di una procedura conforme all’art. 12, par. 1, della direttiva servizi, si è già avuto modo di rilevare che il par. 3 della medesima disposizione, che consente una deroga temporale nei termini di una proroga automatica sulla base della giustificazione fondata sull’esistenza di un motivo imperativo di interesse generale, non può essere invocato ove non vi sia stata un’espressa previsione in tal senso nell’ambito della procedura di selezione dei concessionari.

In ogni caso, va ribadito che la giustificazione relativa al principio della tutela del legittimo affidamento richiede, a parere della Corte, una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione abbia potuto aspettarsi legittimamente il rinnovo della propria autorizzazione e abbia effettuato i relativi investimenti. In considerazione di ciò, una proroga automatica (estesa indiscriminatamente a tutti i titolari delle concessioni demaniali) non può essere legittimata da una siffatta giustificazione che richiede una valutazione della singola fattispecie.

Da ultimo, con riferimento al fatto che il regime di proroga automatica potesse essere volto a consentire ai concessionari di ammortizzare i loro investimenti, si potrebbe ipotizzare che la scaturente disparità di trattamento potrebbe trovare la sua causa giustificatrice nel motivo imperativo di interesse generale rappresentato dalla necessità di rispettare il principio della certezza del diritto.[24] Tuttavia, con riferimento a tale principio, bisogna però precisare che, come ben reso evidente dalla Corte, solo le autorizzazioni concesse quando non era ancora stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo avrebbero potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza, necessitano che la loro revoca sia corredata di un periodo transitorio che permetta alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili, in particolare, dal punto di vista economico.[25]

V. Osservazioni conclusive

Alla luce della giurisprudenza della Corte – cui la sentenza Promoimpresa non ha potuto che uniformarsi – laddove la disciplina di una fattispecie sia esclusa dall’ambito di applicazione di un atto di armonizzazione, vengono in rilievo, in generale, i principi fondamentali ricavabili dalle disposizioni di rango primario e, in particolare, il principio di non discriminazione in base alla nazionalità.

Laddove sussista un interesse transfrontaliero certo e il rilascio di una pubblica concessione comporti un vantaggio economico per il richiedente risulta senz’altro bastevole far riferimento esclusivamente ai principi generali relativi alla tutela della concorrenza, alla parità di trattamento, alla trasparenza e alla libertà di stabilimento.

L’accesso al mercato delle concessioni di beni demaniali marittimi e lacustri deve essere garantito sulla base delle disposizioni generali di cui all’art. 49 TFUE e, laddove applicabile, secondo la disciplina dell’art. 12 della direttiva servizi, che, comunque, prevede una procedura trasparente e imparziale al fine di selezionare i candidati. Del resto, quest’ultima norma rappresenta un iter procedurale, fondato su una giurisprudenza costante, secondo la quale l’assenza di una procedura di selezione trasparente dei concessionari è atta a costituire una discriminazione indiretta degli operatori economici aventi sede in altri Stati membri, contraria al diritto di stabilimento.

L’applicazione delle norme di rango primario o di quelle di diritto derivato alla fattispecie delle concessioni di beni demaniali non muta il corretto quadro procedurale di riferimento: ai fini del rilascio delle concessioni di beni demaniali le amministrazioni pubbliche dovranno adottare procedure trasparenti, disciplinare contrattualmente una durata adeguatamente limitata alla necessità di non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di quanto è necessario per garantire l’ammortamento degli investimenti e la remunerazione equa dei capitali investiti, derogabile, eventualmente, solo per motivi di interesse generale, da esplicitarsi all’atto dell’indizione della pubblica procedura concorsuale.

Come anticipato, il legislatore italiano, anziché recepire l’orientamento della Corte, che, peraltro, va detto, ha avvalorato ulteriormente anche precedenti pronunce della giurisprudenza interna (costituzionale[26] ed amministrativa)[27] e atti dell’antitrust nazionale,[28] ha preferito mantenere validi i regimi autorizzatori in essere, invece che dichiararne la decadenza. Quest’ultima proroga della validità delle concessioni demaniali che interessano le nostre coste viene giustificata dalle (late) tempistiche che l’italiana macchina riformatrice (e conformatrice al diritto dell’UE) conosce (ed evidentemente stima ampie: il 31 dicembre 2020 è il termine conclusivo del sistema prorogationis), per, nel frattempo, garantire (ancora una volta e contrariamente alla posizione espressa dalla Corte di giustizia) la certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità.

Allo stato è sottoposto all’esame parlamentare un disegno di legge recante una delega al Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo, nel (dichiarato) rispetto della normativa dell’UE, che nella attuale versione in circolazione prevede che il Governo venga delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, uno o più atti che recepiscano i principi evidenziati nella sentenza Promoimpresa.

Si vuole sperare, non senza qualche riserva, che nel corso della presente legislatura all’esito del lungamente atteso processo di adeguamento dell’ordinamento italiano ai principi di diritto dell’UE si provveda alla sostituzione del sistema di rinnovo o di rilascio della concessione demaniale marittima, lacuale o fluviale basata sul criterio della preferenza accordata al concessionario uscente con: i) una procedura che garantisca la valutazione dell’effettiva equipollenza (quale standard minimo) delle condizioni offerte dal concessionario e dagli altri aspiranti tali, sul piano della rispondenza agli interessi pubblici; ii) un iter che preveda un’idonea procedura concorsuale di selezione del concessionario, ispirata ai principi di parità di trattamento e trasparenza in modo da riconoscere alle imprese interessate, in contrapposizione al titolare della concessione scaduta o in scadenza, le stesse opportunità concorrenziali, e, in particolare, a quelle straniere la concreta libertà di stabilimento.

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European Papers, Vol. 2, 2017, No 2, European Forum, Insight of 28 August 2017, pp. 767-777
ISSN
2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/157

* Assegnista di ricerca, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, vera.squaratti@unicatt.it.

[1] Procedura di infrazione della Commissione europea n. 2008/4098, C(2009) 0328.

[2] Segnatamente, è operato un rinvio alla norma dell’art. 1, comma 2, del decreto legge del 5 ottobre 1993, n. 400.

[3] Procedura di infrazione della Commissione europea n. 2008/4098, C (2010) 2734.

[4] In merito alla direttiva si segnalano alcuni selezionati commenti: R. Cafari Panico, La liberalizzazione dei servizi tra il regime vigente e la direttiva Bolkestein, in Diritto Pubblico Comparato Europeo, 2006, p. 1180 et seq.; S. D’Acunto, Direttiva servizi (2006/123/CE): genesi, obiettivo e contenuto, Milano: Giuffrè, 2009; V. Haztopoulos, Regulating Services in the European Union, Oxford: Oxford University Press, 2012; A. Malatesta, Principio dello stato di origine e norme di conflitto alla luce della direttiva sui servizi nel mercato interno, in F. Bestagno, L.G. Radicati di Brozolo (a cura di), Il mercato unico dei servizi, Milano: Giuffrè, 2007, p. 172 et seq.

[5] Art. 11 della legge del 15 dicembre 2011, n. 217.

[6] Corte di giustizia, sentenza del 14 luglio 2016, cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa.

[7] Come accennato in narrativa con riferimento alla procedura di infrazione avviata dalla Commissione nei confronti dell’Italia, le aree territoriali ascritte al demanio pubblico marittimo, in particolare, trovano disciplina, nell’ambito del diritto italiano, nel R.D. del 30 marzo 1942, n. 327, codice della navigazione; all’art. 36 si prevede che tali beni possano costituire oggetto di una concessione per un determinato periodo di tempo e al successivo art. 37 che, in presenza di determinate condizioni, a colui che ha ricevuto il bene in concessione da parte dell’amministrazione pubblica competente possa essere riconosciuta una preferenza nella riassegnazione della concessione. Quale conseguenza dell’instaurazione da parte della Commissione europea di un procedimento di infrazione rispetto alla disciplina di cui all’art. 49 TFUE, la preferenza accordabile ai sensi dell’art. 37 del codice della navigazione (c.d. diritto di insistenza) non è più configurabile, siccome disposto dall’art. 1, comma 18, del decreto legge del 30 dicembre 2009 n. 194, il quale ha prorogato fino al 31 dicembre 2012 la durata delle concessioni di beni demaniali marittimi in scadenza entro tale data. In sede di conversione in legge del decreto legge 194/2009, ad opera della legge 26 febbraio 2010, n. 25, tale disposizione è stata poi modificata nel senso che la durata delle concessioni in scadenza entro il 31 dicembre 2015 veniva prorogata fino a tale data. Infine, con l’adozione del decreto legge del 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in legge del 17 dicembre 2012, n. 221, la durata delle concessioni è prorogata fino al 31 dicembre 2020. Le disposizioni riferite alle concessioni delle aree demaniali marittime vengono ritenute applicabili dal giudice del rinvio anche alle concessioni inerenti le aree demaniali lacustri. Non spettando, nell’ambito del sistema di cooperazione giudiziaria istituito dall’art. 267 TFUE, come da giurisprudenza costante, alla Corte di giustizia rimettere in questione o verificare l’esattezza dell’interpretazione del diritto nazionale operata, quest’ultima ha ritenuto di non accogliere l’argomentazione dello Stato italiano riferita al fatto che l’applicazione di tali disposizioni alle concessioni lacuali e fluviali sarebbe sopravvenuta successivamente all’adozione degli atti impugnati dinanzi al giudice del rinvio, cosicché tale disposizione non sarebbe applicabile né ratione temporisratione materiae alla concessione del demanio lacustre rilasciata alla Promoimpresa S.r.l.

[8] Si veda l’art. 24, comma 3-septies, del decreto legge del 24 giugno 2016, n. 113, convertito con modifiche nella legge del 7 agosto 2016, n. 160.

[9] Corte di giustizia, sentenza del 16 giugno 2015, causa C-593/15, Rina Services [GS], par. 37; per un commento, si veda D. Diverio, Qualche riflessione intorno all'efficacia della direttiva servizi negli ordinamenti degli stati membri e al suo rapporto con il TFUE, in Diritto del Commercio Internazionale, 2015, p. 983 et seq.; V. Squaratti, La prima pronuncia della Corte di Giustizia in merito alle disposizioni della “Direttiva servizi” in materia di stabilimento degli organismi di attestazione (“SOA”), in Studi sull’integrazione europea, 2015, p. 641 et seq.

[10] Rina Services [GS], cit., par. 49.

[11] L’AG Szpunar, nelle sue conclusioni presentate il 25 febbraio 2016, cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa, ha rilevato che “il fatto che i contratti di cui trattasi nel procedimento principale siano qualificati come ’concessioni’ nel diritto italiano non pregiudica affatto la loro qualificazione – autonoma – nel diritto dell’Unione” (par. 60).

[12] Ciò conformemente al disposto dell’art. 4, par. 1, n. 6 e del considerando 39 della direttiva servizi. Cfr. Promoimpresa, cit., par. 38.

[13] Si vedano i par. 46-48 della sentenza Promoimpresa, cit., nonché: Corte di giustizia, sentenza dell’11 giugno 2009, causa C-300/07, Hans & Christphorous Oymanns, par. 71; sentenza del 14 novembre 2013, causa C-221/12, Belgacom, par. 26-28.

[14] A conferma di ciò, si segnala quando espresso dalla Corte di giustizia nella sentenza Belgacom, cit., par. 33, affermando che “il diritto dell’Unione imporrebbe gli stessi obblighi all’autorità cedente se la convenzione di cui trattasi nel procedimento principale non obbligasse il cessionario ad esercitare l’attività ceduta, cosicché detta convenzione in tal caso comporterebbe un’autorizzazione all’esercizio di un’attività economica. Per quanto riguarda l’obbligo di rispettare le norme fondamentali del Trattato e i principi da esso derivanti, un’autorizzazione siffatta non si differenzia infatti da una concessione di servizi allorché l’esercizio dell’attività considerata può interessare potenzialmente operatori economici stabiliti in altri Stati membri”.

[15] Conclusioni dell’AG Szpunar, Promoimpresa, cit., par. 92-93.

[16] Rina Services [GS], cit., par. 37-41. Vale la pena, sul punto, anche richiamare le conclusioni dell’AG Cruz Villalón presentate il 10 marzo 2015, causa C-593/13, Rina Services, par. 22, dove espressamente viene precisato che “essendo stata concepita come strumento orizzontale che ricomprende un’ampia gamma di servizi (tutti quelli che non sono esplicitamente esclusi dal suo ambito di applicazione ratione materiae), la direttiva sui servizi non aspira ad armonizzare, in generale, la disciplina dei vari servizi a livello nazionale; ciononostante, esistono determinati aspetti concreti rispetto ai quali la direttiva realizza effettivamente un’armonizzazione completa puntuale”.

[17] Si vedano anche le conclusioni dell’AG Szpunar, Promoimpresa, cit., par. 41-42.

[18] Si veda D. Diverio, Art. 49 TFUE, in F. Pocar, M.C. Baruffi (a cura di), Commentario breve ai Trattati dell’Unione Europea, Padova: Cedam, 2014, p. 350 et seq.

[19] Corte di giustizia, sentenza del 7 dicembre 2000, causa C-324/98, Telaustria, par. 60.

[20] Sul punto, Corte di giustizia: sentenza del 17 luglio 2008, causa C-347/06, ASM Brescia, par. 59-60; Belgacom, cit., par. 37.

[21] Promoimpresa, cit., par. 67 e giurisprudenza ivi citata: in particolare, Belgacom, cit., par. 29; Corte di giustizia, sentenza del 17 dicembre 2015, cause riunite C-25/14 e C-26/14, UNIS e Beaudout Père et Fils, par. 30.

[22] Recentemente, il TAR della Lombardia, sez. di Milano, ha reso la sentenza del 24 gennaio 2017, n. 153 nella causa che ha generato uno dei rinvii pregiudiziali che sono stati decisi con la sentenza della Corte in commento, stabilendo che la concessione “è stata rilasciata in un tempo in cui la giurisprudenza comunitaria aveva già precisato da tempo che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo, come nel caso di specie, dovevano rispettare obblighi di trasparenza e, quindi, essere assegnati o rinnovati solo all’esito di una specifica procedura ad evidenza pubblica, cosicché il principio della certezza del diritto esclude la necessità di una disciplina transitoria, che si tradurrebbe in una disparità di trattamento, vietata in forza dell’articolo 49 TFUE”. Quindi, senza esprimersi esplicitamente, il giudice nazionale ha ritenuto non concretamente applicabile alla fattispecie l’art. 12 della direttiva servizi.

[23] Conclusioni dell’AG Szpunar, Promoimpresa, cit., par. 86–87.

[24] Promoimpresa, cit., par. 71.

[25] Ivi, par. 72.

[26] Quanto alla giurisprudenza costituzionale, si segnala la recentissima sentenza dell’11 gennaio 2017, n. 40 nell’ambito della quale la Corte costituzionale ha stabilito che in merito ai criteri e alle modalità di affidamento delle concessioni, “assumono [rilevanza] i principi della libera concorrenza e della libertà di stabilimento, previsti dalla normativa comunitaria e nazionale”. Inoltre, anche le precedenti sentenze della Corte del 12 maggio 2010, n. 180, del 23 giugno 2010, n. 233, del 4 luglio 2011, n. 213 e del 1 luglio 2013, n. 171 hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme regionali disciplinanti regimi di proroga automatica delle concessioni demaniali marittime, in quanto suscettibili di produrre un’ingiustificata compressione dell’assetto concorrenziale del mercato della gestione del demanio marittimo, violando il principio di parità di trattamento “che si ricava dagli artt. 49 e ss. del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in tema di libertà di stabilimento, favorendo i vecchi concessionari a scapito degli aspiranti nuovi” (sentenza del 12 maggio 2010, n. 180).

[27] Ex pluribus, Consiglio di Stato, sentenza del 30 settembre 2010, n. 7239, ove si afferma che, “come ritenuto da una diffusa e ormai consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato che è sufficiente in questa sede richiamare (sez. VI, n. 16825 del 25 gennaio 2005; sez. VI, n. 362 del 30 gennaio 2007), l’obbligo di dare corpo a forme idonee di pubblicità deriva in via diretta dai principi del Trattato dell'Unione europea, direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne, in guisa da tenere in non cale disposizioni interne di segno opposto. È noto, invero, che “l'indifferenza comunitaria al nomen della fattispecie fa sì che la sua sottoposizione ai principi di evidenza trovi il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di un’area demaniale marittima si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, così da imporre una procedura competitiva ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione” (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 902 del 17 febbraio 2009)”.

[28] Si vedano le segnalazioni dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato del 20 ottobre 2008, n. AS481 e del 24 luglio 2009, n. AS551.

 

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