Carta dei diritti fondamentali, applicabilità e rapporti fra giudici: la necessità di una tutela integrata

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Abstract: The year 2020 marked the 20th anniversary of the proclamation of the Charter of Fundamental Rights of the European Union. It was drawn up at the end of a long process, to which the Court of Justice has contributed substantially, affirming since the seventies the obligation to protect fundamental rights in the Community. The drafting of a catalogue of fundamental rights was then driven by the European Council, which underlined the need for fundamental rights to be collected in a Charter and thus made more explicit. Over time, the Court of Justice has provided elements for a better understanding of certain essential aspects, such as the scope, the distinction between rights and principles, direct applicability, and the relationship with the European Convention on Human Rights. The dialectic established more recently with the Constitutional Court has re-proposed the theme of the relationship between national law and EU law, between national Courts (Constitutional Court and “common” Court) and European Union Court.

Keywords: Charter of Fundamental Rights – direct effect – scope of application – national rules and European Union law – relationship between courts – sincere cooperation.
 

I. La Carta, le sue origini

Il 2020 ha rappresentato un importante anniversario per il diritto dell’Unione europea e per la Carta dei diritti fondamentali: vent’anni dalla sua proclamazione, il 7 dicembre 2020. È un anniversario che ben può essere celebrato insieme ai settant’anni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950.

La tutela dei diritti fondamentali rappresenta uno scenario in cui si misurano, si apprezzano, si declinano gli strumenti utili a conseguire, nell’ambito regionale europeo, sia una cooperazione politica più stretta fra gli Stati, sia una tutela più incisiva dei diritti della persona.

Stati e organizzazioni di Stati quali il Consiglio d’Europa e l’Unione europea, da un lato, e individui, dall’altro lato, sono gli “attori” che giocano il proprio ruolo in un contesto regolato da norme diverse, internazionali ed europee. La Carta si colloca in questo contesto, assumendo rilievo come fonte di obblighi per gli Stati e di diritti per i singoli.

L’elaborazione di una Carta nell’ambito europeo, dove già esisteva (ed esiste) una convenzione in materia, ha un lungo percorso, che è utile ricordare per meglio comprendere quale sia il suo significato, oggi.

Il Consiglio europeo di Laeken (14-15 dicembre 2001) adottò una “Dichiarazione” con cui venne conferito a un organismo, denominato “Convenzione sul futuro dell’Unione europea”, un mandato: disegnare le linee di sviluppo della futura Europa, precisamente dare una risposta a una cinquantina di domande relative al futuro sviluppo dell’Unione. Il documento finale della Convenzione rappresentò l’oggetto dei lavori della Conferenza intergovernativa (CIG 2004, convocata ex art. 48 TUE) che elaborò un progetto di trattato, il “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa” o “Costituzione europea” sottoscritto a Roma il 29 ottobre 2004 che non entrò in vigore perché sottoscritto soltanto da diciotto Stati Membri. La parte II del Trattato era rappresentata dalla Carta: abbandonato quel progetto, non venne tuttavia abbandonata l’idea di una riforma. E infatti venne convocata una nuova conferenza intergovernativa (CIG 2007) con il mandato di elaborare un “Trattato di riforma” che avrebbe dovuto tener conto dei lavori della precedente CIG e di quel testo di “Costituzione” che pur aveva raggiunto un significativo consenso.[1]

La Carta proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 dalle tre istituzioni (Parlamento europeo, Consiglio e Commissione) si colloca in tale contesto, la riforma prevedendola come atto separato, non più integrato nella “Costituzione”, ma attribuendo efficacia o “valore giuridico vincolante”: in questi termini è, infatti, il nuovo testo dell’art. 6 TUE, modificato dal Trattato di Lisbona, ove si afferma che la Carta “ha lo stesso valore giuridico dei Trattati”.

La nuova proclamazione della Carta a Strasburgo il 14 dicembre 2007 (entrerà in vigore, insieme al Trattato di Lisbona, il 1 dicembre 2009) da parte delle tre istituzioni riguarda un testo “adattato”, integrato cioè da alcune modifiche (che concernono soprattutto le disposizioni generali trasversali, titolo VIII, art. 51-54).

La Carta non nasce, ovviamente, per caso, ma su iniziativa di un Consiglio europeo (Colonia, 3-4 giugno 1999) che adottò una decisione (costituente un allegato delle conclusioni del Consiglio) ove si sottolineava la necessità[2] che i diritti fondamentali dovessero “essere raccolti in una Carta e in tal modo resi più manifesti”, prevedendone già il contenuto nelle sue linee essenziali, sottolineando che (testo della decisione) “La tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell’Unione europea e il presupposto indispensabile della sua legittimità”.[3]

La non incorporazione nel TUE o nel TFUE, a seguito delle modifiche ai Trattati apportate dal Trattato di Lisbona, non ha inciso sulla vincolatività della Carta, che ha, come si è detto, lo stesso valore giuridico dei Trattati, e che rappresenta, oggi, il più evoluto catalogo di diritti fondamentali in Europa.

II. Un “catalogo” di diritti fondamentali: le ragioni di una sua necessità

Il catalogo dei diritti fondamentali è nato non senza difficoltà e le resistenze o perplessità politiche su alcuni contenuti, soprattutto relative ai diritti sociali, ne determinarono dapprima il semplice valore di testo o standard di riferimento, poi il valore vincolante, ma in un testo separato.[4].È negli anni Settanta che si manifesta sia la rilevanza dei diritti fondamentali nella Comunità, sia la necessità di un catalogo di tali diritti che si imponga nella e alla Comunità, quale parametro di legittimità dei suoi atti. Il dibattito si incentra sulle modalità ovvero gli strumenti per assicurare tale tutela, soprattutto dopo le censure della Corte costituzionale tedesca (1974) sulla mancanza di un catalogo analogo a quello contenuto nella Legge fondamentale, ma anche dopo le riserve espresse dalla Corte costituzionale italiana (1973).[5] Le proposte, in particolare quella della Commissione, furono sia di redigere un catalogo, sia di ricorrere alla tutela in via giurisprudenziale da parte della Corte di giustizia (tutela “pretoria”), sia di far aderire la Comunità alla CEDU.[6] Il rispetto e il mantenimento della democrazia rappresentativa e dei diritti dell’uomo nei Paesi membri venivano ritenuti, in una solenne dichiarazione del Consiglio europeo (Copenhagen, 1978), un elemento indispensabile per la loro stessa appartenenza alla Comunità, principi essenziali di una certa identità europea.[7]

III. La tutela di tali diritti, la giurisprudenza della Corte di giustizia e l’ambito di applicabilità

Fin dal 1970 la Corte di giustizia ha affermato l’obbligo della tutela dei diritti fondamentali nella Comunità. La sentenza Internationale Handelsgesellschaft è la prima ad inaugurare il filone giurisprudenziale in materia, che sarà confermato dalla giurisprudenza (per esempio nelle sentenze Nold, 1974, Hauer, 1979) e, poi, dalla proclamazione della Carta e dalla affermazione, già ricordata, della sua efficacia vincolante.[8] Questa sentenza è utile anche per richiamare un altro tema, quello dell’ambito materiale di tutela dei diritti fondamentali e, oggi, della Carta. Afferma, invero, la Corte che la salvaguardia dei diritti fondamentali “pur essendo informata alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri va garantita entro l’ambito della struttura e delle finalità della Comunità”.[9]

L’ambito di applicabilità della Carta è tema legato alle competenze dell’Unione e al principio di attribuzione. Prima ancora che nella Carta, soprattutto nell’art. 51 (“Ambito di applicazione”), nonché in varie dichiarazioni allegate all’atto finale del Trattato di Lisbona (n. 1, n. 53, n. 61) è l’art. 6(1), comma 2, che delimita le competenze e l’ambito: “Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati”.

La Corte di giustizia, nella nota sentenza Åkerberg Fransson, ha chiarito che “i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse”. Si applicano –e con ciò si precisa anche la competenza della Corte – nelle situazioni in cui la norma nazionale presenta un collegamento di una certa consistenza con una norma di diritto UE (primario o derivato) diversa dalla disposizione della Carta di cui si lamenta la violazione, venendo dunque forniti al giudice nazionale “tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione [della conformità della] normativa con i diritti fondamentali di cui essa garantisce il rispetto”.[10] Al di fuori di questi limiti, la Carta si applica, ma si tratta di applicazione “volontaria”, non già vincolata ovvero obbligatoria, e quindi non gode del principio del primato (tipico del diritto UE) e della sottoponibilità al giudizio pregiudiziale della Corte.[11]

La giurisprudenza nazionale era stata, per così dire, generosa quanto ad applicabilità materiale, estendendola a situazioni prive di collegamento con il diritto dell’Unione, che si collocavano fuori dal perimetro dello stesso, poiché le norme nazionali rilevanti non erano attuazione del diritto UE.[12]

L’art. 51 è rigoroso nel prevedere l’applicabilità alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione e agli Stati “esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione” (par. 1), e questi soggetti, che rispettano i diritti e osservano i principi, “ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto delle competenze conferite all’Unione nei Trattati” (par. 1). Viene ribadito il contenuto dell’art. 6 TUE, affermando che (par. 2) la Carta “non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei Trattati”. Insomma, la tendenza o forza espansiva dei diritti fondamentali trova un limite nel principio di attribuzione delle competenze che caratterizza la struttura istituzionale o costituzionale dell’Unione.

Si tratta di un limite che non incontrano le norme internazionali, come la CEDU, che riconoscono i diritti fondamentali in generale: sono norme di applicazione universale, nel senso che si applicano a qualunque situazione disciplinata da tali norme, al cui rispetto le parti contraenti di un trattato sono obbligate.

IV. La distinzione fra diritti (da rispettare) e principi (da osservare): profili critici

L’art. 51 prima ricordato distingue i “principi” dai “diritti”. I soggetti indicati nella norma (istituzioni, organismi, organi da un lato; Stati membri dall’altro lato) rispettano i diritti e osservano i principi, nel rispetto e nei limiti delle rispettive competenze. La distinzione non è facile, a maggior ragione se si considera, come è stato osservato, che essa risente della natura stessa della Carta: la Carta nasce sotto forma di “dato giuridico” sui generis e viene tenuto per lunghi anni in una sorta di “limbo dell’indeterminato”, per poi divenire un atto appartenente, sì, al diritto primario europeo, ma concorrente con le costituzioni nazionali, presentando assonanze e similitudini che pongono problemi di coordinamento, sottolineando l’esigenza di definire un certo ordine anche con riferimento all’ambito materiale e uno di tali problemi è rappresentato, appunto, dalla distinzione fra principi e diritti.[13]

Una lettura combinata di due norme trasversali, l’art. 51 sull’ “Ambito di applicazione” e l’art. 52 sulla “Portata e interpretazione dei diritti e dei principi”, nonché delle relative “Spiegazioni” (che i giudici dell’Unione e degli Stati membri devono tenere in debito conto, come prevedono l’art. 6(1), comma 3, TUE e l’art. 52(7) Carta), porta alle seguenti riflessioni.[14]

La prima riflessione riguarda la distinzione fra diritti, che devono essere rispettati, e principi, che devono essere, semplicemente, osservati, essendo comunque previsto l’impegno, come si è detto, sia delle istituzioni, organi, organismi dell’Unione, sia degli Stati, a promuoverne l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione dai Trattati, in conformità al principio di attribuzione (art. 51(1)).

La seconda riflessione riguarda i principi. Essi sono attuati (sempre nell’ambito delle competenze indicate) sia da atti legislativi ed esecutivi delle istituzioni, organi, organismi; sia da atti di Stati membri che danno attuazione al diritto dell’Unione (così dispone l’art. 52(5)). I principi possono essere invocati davanti a un giudice, ma soltanto per fini interpretativi e di controllo di legalità degli atti. Il limite, previsto dalla Carta (art. 52(5)) è indicato nelle “Spiegazioni” come elemento differenziale poiché solo i principi, non già i diritti, possono dare “adito a pretese dirette per azioni positive da parte delle istituzioni o delle autorità degli Stati membri”. L’elemento differenziale non è facile da individuare nella pratica e le stesse “Spiegazioni” offrono un contributo non decisivo, pur ricordando che la definizione di principi è in linea sia con la giurisprudenza della Corte di giustizia, facendo riferimento in proposito al principio di precauzione di cui all’art. 191 TFUE in materia di protezione ambientale; sia con quanto prevedono gli ordinamenti costituzionali nazionali “specialmente nella normativa sociale”. Sotto questo profilo è opportuno sottolineare che proprio nel contesto dei diritti sociali uno strumento internazionale quale la Carta sociale promossa dal Consiglio d’Europa (non diversamente dalla CEDU, ma con struttura e giustiziabilità diversa) distingue i principi dalle norme, confermando la necessità della distinzione, ma anche la difficoltà di tutela in una materia in cui il riconoscimento dei diritti trova maggiori ostacoli da parte degli Stati.[15] L’esemplificazione contenuta nelle “Spiegazioni” è utile, ma suscita qualche perplessità. Esempi di norme che contengono principi sono quelli in materia, appunto, ambientale (art. 37) e sociale (titolo IV sulla solidarietà, art. 27 ss.), sui diritti degli anziani (art. 25, titolo III sull’uguaglianza) e sull’inserimento delle persone disabili (art. 26, titolo IV). Ma sono indicate anche norme “miste”, che contengono elementi propri sia di un diritto, sia di un principio. Esse riguardano la parità fra uomini e donne (art. 23), la tutela della vita familiare e professionale (art. 33), la sicurezza sociale e l’assistenza sociale (art. 34). Gli esempi sono tratti, in entrambe le fattispecie (principi soltanto; principi e diritti “misti”), dal titolo III sull’uguaglianza (art. 20-26) e dal titolo IV sulla solidarietà (art. 27-38).

I principi avrebbero dunque uno “statuto giuridico” inferiore a quello dei diritti, non potendo essere oggetto, come si è già detto, di azioni dirette avanti ai giudici per fini interpretativi o di controllo di legalità degli atti legislativi o di esecuzione.

Questa differenza, d’altra parte, ha consentito l’accettazione del valore vincolante della Carta da parte di quegli Stati (Regno Unito in particolare) che non accettavano l’inclusione, nella Carta, proprio di diritti sociali che potessero essere fatti valere direttamente avanti ai giudici nazionali o ai giudici dell’Unione. Una sorta di degradazione dei diritti sociali a principi avrebbe consentito, come è poi avvenuto, un compromesso. Resta l’incertezza, voluta per ragioni politiche, che ha posto comunque interrogativi su una distinzione che appare priva di fondamento giuridico e che ha, invero, il solo scopo di sottrarre al singolo l’azionabilità dei propri diritti fondamentali avanti al giudice.[16] L’incertezza di qualificazione è rinvenibile anche nell’esemplificazione di cui si è detto, poiché le norme ricordate non appartengono soltanto all’ambito dei diritti sociali contenuti nel titolo IV dedicato alla solidarietà (sede naturale della disciplina dei diritti sociali), ma anche al diverso titolo III dedicato all’uguaglianza.

Un criterio di distinzione potrebbe essere quello della concretizzazione del contenuto: non contengono principi, bensì diritti quelle norme che sono direttamente applicabili. Come afferma la Corte interpretando l’art. 21(1) Carta sul divieto di discriminazioni fondate sull’età, il diritto contemplato è direttamente invocabile dal singolo e la norma nazionale contrastante va disapplicata.[17] Non altrettanto si può dire dell’art. 27 sul diritto all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa previsto dall’art. 27. Non è, questo, un diritto (derivante da norma con effetto diretto), ma il confine con il “principio” diventa più labile. Certamente “principio” è quello contenuto nell’art. 26 sull’inserimento delle persone disabili, non solo perché è un esempio ricordato nelle “Spiegazioni”, ma perché lo afferma la Corte,[18] alla quale era stato sottoposto un problema di compatibilità di norme nazionali anche rispetto agli art. 20 e 21 (sull’uguaglianza davanti alla legge e sulla non discriminazione) su cui la Corte, tuttavia, non si è pronunciata. Nella specie una direttiva (2006/126 sulle soglie minime di acutezza visiva per il rilascio di alcune patenti di guida) è stata ritenuta “un atto legislativo dell’Unione che dà attuazione al principio sancito dall’art. 26 della Carta” e, quindi, “quest’ultima disposizione ben può trovare applicazione nel procedimento principale”. Non v’è dubbio che si tratti di un principio, non già di un diritto, ma l’affermazione della Corte potrebbe essere intesa come restrittiva, nel senso di escludere l’applicabilità di un principio se vi è un atto legislativo, come la direttiva, che vi dia esecuzione o attuazione. Rilevante sarebbe, allora, solo la direttiva (o altro atto). La sentenza Glatzel sembra suggerire anche un rapporto di specialità fra l’art. 52(5) che riguarda la funzione delle norme contenenti principi, e l’art. 51, che è norma generale su principi e diritti. L’art. 26 contiene, dunque, solo un principio, non potendo (afferma la Corte) “conferire di per sé ai singoli un diritto soggettivo autonomamente azionabile”. Non ha effetto diretto, è vero, ma conserva quell’efficacia che l’art. 52(5) gli attribuisce, cioè di parametro per l’interpretazione e il controllo di legalità degli atti che ne costituiscono attuazione o esecuzione (come, appunto, le direttive).[19]

V. L’applicabilità della Carta nei rapporti orizzontali: la diretta applicabilità

L’applicabilità della Carta nei rapporti orizzontali pone un problema di ampia portata, che riguarda la possibile incidenza della Carta sui “diritti soggettivi” dei privati: si tratta dei diritti che il singolo può far valere nei confronti di altro soggetto privato, ma anche degli obblighi che il privato è tenuto a rispettare nei confronti di altro soggetto privato[20]. La formulazione dell’art. 51 porterebbe a ritenere che i privati sono esclusi dall’applicabilità orizzontale perché i soggetti cui la norma (e dunque la Carta) si rivolge sono, da un lato le istituzioni, gli organi, gli organismi, dall’altro lato gli Stati che danno attuazione al diritto dell’Unione. La norma, tuttavia, non definisce l’ambito personale, bensì quello materiale: precisamente il perimetro di applicazione della Carta, nel rispetto delle competenze dell’Unione, che la Carta non può né modificare, né ampliare.

La Carta, tuttavia, è parte integrante del diritto dell’Unione in generale, e dunque trova applicazione nei rapporti fra i privati che sono soggetti (oltre agli Stati) di quell’ “ordinamento di nuovo genere nel diritto internazionale” rappresentato dalle Comunità e in cui vengono tutelati i diritti fondamentali.[21] La Carta è diritto primario, vincola gli Stati che ne danno attuazione con norme nazionali e il privato, che fosse leso nel godimento di un proprio diritto fondamentale, può invocarne l’applicabilità nei confronti della disposizione nazionale che fosse contrastante con la Carta.[22]

Il problema che si è posto in giurisprudenza riguarda la diretta applicabilità della Carta: una questione, questa, che ha una certa analogia con la applicabilità di principi generali del diritto dell’Unione che, nel passato, aveva indotto la Corte ad affermare l’esistenza, e a dare applicazione, a un principio generale di non discriminazione in base all’età, di cui una direttiva (2000/78 sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) si limitava ad essere, in concreto, un’espressione ovvero a darvi attuazione. La sentenza Kücükdeveci, in una controversia fra privati, ribadisce quanto già affermato nella sentenza Mangold, dichiarando incompatibile con quel principio generale, pur contenuto o fatto proprio da una direttiva, la normativa nazionale (quale la normativa sul preavviso di licenziamento, incompatibile, appunto, con il divieto di discriminazione in base all’età).[23]

L’evoluzione della giurisprudenza è rappresentata dalla sentenza Association de médiation sociale (2014, su rinvio pregiudiziale del giudice francese), da quelle c.d. sulle ferie (diritto alle ferie annuali retribuite, 2018, su rinvio pregiudiziale del giudice tedesco), sul divieto di discriminazione fondata sulla religione (2018 e 2019).[24]

Ribadito il concetto che le direttive non esplicano effetti diretti orizzontali,[25] vi sono norme della Carta, come l’art. 21(1) già ricordato in tema di distinzione fra diritti e principi,[26] che sancisce il principio di non discriminazione in base all’età, che sono “di per sé sufficienti per conferire ai singoli un diritto soggettivo invocabile in quanto tale”.[27] Non presenta questa idoneità o caratteristica, come già si è ricordato, l’art. 27 sul diritto dei lavoratori ad essere consultati e rappresentati nell’impresa, perché, come risulta chiaramente dal tenore letterale di tale articolo, “deve essere precisato mediante disposizioni del diritto dell’Unione o del diritto nazionale”.[28] Anche nella sentenza Kükükdeveci, che è sulla scia della Mangold, si faceva riferimento all’art. 21(1) ma nel senso di una conferma dell’esistenza di un principio generale. La più recente affermazione, invece, è a favore della diretta efficacia orizzontale della norma della Carta. La sentenza Association de médiation sociale definisce un test cui si deve fare riferimento, quello della sufficienza a conferire diritti soggettivi purché la norma sia applicabile nei rapporti orizzontali: è lo stesso test utilizzabile per le norme dei Trattati, il cui contenuto è sufficiente a conferire un diritto soggettivo al singolo, e sono quindi direttamente applicabili.[29]

Il riconoscimento di tale effetto ha come conseguenza che la norma nazionale contrastante deve essere disapplicata dal giudice nazionale.[30] La norma della Carta deve presentare, di per sé, quella caratteristica, senza dover ricorrere, al fine di un completamento o di una concretizzazione, ad una direttiva, confermando il carattere di fonte primaria della Carta.[31]

La diretta applicabilità dell’art. 21 è affermata (insieme all’art. 47) in sentenze successive[32] e ben potrebbe essere affermata anche con riferimento ad altri motivi di discriminazione, diversi dall’età e dalla religione, indicati nell’art. 21 (sesso, razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsivoglia altra natura, appartenenza ad una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, disabilità, orientamento sessuale).

Le sentenze sulle ferie (una, in particolare, in cui il diritto alle ferie era invocato proprio in una controversia orizzontale),[33] pongono, invero, la questione, più articolata, dell’uso combinato delle fonti, cioè dei principi generali, delle direttive, della Carta: una “intercomunicazione” tra fonti, grazie alla quale, alla fine, è riconosciuto l’effetto diretto all’art. 31 della Carta (diritto alle ferie annuali retribuite nel contesto di “condizioni di lavoro giuste ed eque”).[34]

Il percorso che porta a tale affermazione ha la sua origine in un principio generale di diritto dell’Unione relativo alla tutela dei diritti fondamentali in materia sociale, che si ispira anche a fonti eteronome di diritto internazionale o alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.[35] Viene quindi dettagliato in una direttiva e, poi, cristallizzato nella Carta. Il diritto alle ferie non viene creato dalla direttiva, ma trova la sua fonte in atti che danno consistenza a un principio generale, e successivamente nella Carta, in cui, appunto, viene cristallizzato ovvero codificato. È riconosciuto effetto diretto alla Carta, ma in realtà lo è al principio generale che esisteva prima della Carta, ma anche alla direttiva in cui il diritto si sostanzia. La Corte riconosce[36] che la mancata previsione, nell’art. 51. par. 1, Carta, dei soggetti privati fra i destinatari della Carta non esclude (come già si è ricordato) che nelle situazioni giuridiche disciplinate dal diritto UE la Carta si applichi, in senso orizzontale, anche ai privati.[37] I diritti sono invocabili avanti a un giudice in qualsiasi controversia, non solo nei confronti delle istituzioni o degli Stati membri: diversamente, come afferma l’art. 52(5) dai principi (invocabili solo nei casi di interpretazione e di controllo della legalità delle misure nazionali di attuazione del diritto dell’Unione). L’effetto diretto della Carta può significare che anche il principio generale pre-esistente abbia questo effetto e parimenti la direttiva che l’abbia recepito. La direttiva acquisterebbe, grazie al riconoscimento della norma della Carta, quell’effetto diretto orizzontale che non le è proprio ex art. 288 TFUE. Il diritto alle ferie retribuite (con monetizzazione delle ferie non godute) previsto dall’art. 7 della direttiva 1993/104 e dell’omologa disposizione della direttiva 2003/88 è diritto soggettivo, riconducibile all’art. 31(2) Carta, cui la Corte riconosce effetto diretto: un effetto, invero, che è proprio anche della direttiva, la quale è espressione, nel dettaglio, di quel diritto fondamentale tutelato nella Carta.[38]

VI. I rapporti fra le Corti e il ruolo del giudice comune

Nell’affrontare il tema dei rapporti fra le Corti è inevitabile l’esame dei rapporti fra ordinamenti, quello nazionale e quello dell’Unione europea, fra le diverse fonti. In tale contesto viene ricordato lo schema “Simmenthal-Granital" che evoca le fondamenta del diritto dell’Unione e dei rapporti fra il diritto nazionale e quello dell’Unione europea: il primato, dunque, la disapplicazione della norma nazionale contrastante, così come definiti nella sentenza della Corte di giustizia Simmenthal[39] e della Corte costituzionale Granital.[40]

Un recente orientamento della Corte costituzionale ha determinato una sorta di rivisitazione di tale schema e ci si è chiesti, dunque: a) se è stata introdotta una deroga da questo orientamento, precisamente dalla sentenza 14 dicembre 2017, n. 269, con riferimento alla Carta e ai diritti fondamentali da essa protetti, ma protetti anche dalla Corte costituzionale; b) se sono, di conseguenza, cambiati i rapporti fra le Corti, ponendosi un problema di doppia pregiudizialità diversa rispetto al passato, quando l’indicazione era nel senso che il giudice comune dovesse in primo luogo fare un rinvio pregiudiziale e poi, se del caso, rinviare alla Corte costituzionale; c) se schema e rapporti sono davvero cambiati, almeno quando sono in gioco i diritti fondamentali.[41]

Le risposte debbono prendere in esame sia il possibile ruolo accentratore della Corte costituzionale; sia il diverso ruolo interpretativo esclusivo del diritto UE che compete alla Corte di giustizia; sia il ruolo, ma anche gli obblighi, del giudice comune che deve conformarsi tanto al diritto UE, quanto alla Carta costituzionale.

Il dibattito che si è avviato dopo la sentenza 269/2017, che è continuato negli anni successivi fino ad oggi, con le sentenze 20/2019, 63/2019, 11/2020 e con le ordinanze 117/2019 e 182/2020, ha riproposto un tema di altri tempi: quello del rapporto fra diritto nazionale e diritto comunitario o diritto UE, fra giudice nazionale (Corte costituzionale e giudice comune) e giudice dell’Unione.[42]

Il tema viene preso in esame con riferimento ai diritti fondamentali, alla loro protezione nell’ordinamento nazionale a seguito delle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona che ha reso vincolante la Carta, al pari del Trattato (art. 6 TUE). Ma anche con riferimento alle altre fonti del diritto internazionale: la CEDU, nell’ambito della cooperazione europea; i Patti internazionali sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali nell’ambito della cooperazione universale.[43]

VII. La Carta, il rinvio alla Corte costituzionale e la questione pregiudiziale: la non applicazione della norma nazionale contrastante con la Carta

La domanda che si è posta, e che si pone, è proprio relativa alla tutela di un diritto fondamentale che è previsto, ed è di contenuto analogo, sia nella Carta sia nella Costituzione e riguarda l’individuazione della competenza del Giudice che lo deve tutelare. Si è dunque manifestata, nel recente passato, una rivendicazione del controllo di legittimità da parte della Corte costituzionale. Ruolo primario, ovvero accentramento del controllo, espresso nelle tesi sostenute dal professor Barbera, poi accolte, nel c.d. obiter dictum della sentenza 269/2017 che obbliga il giudice comune a rivolgersi alla Corte costituzionale in caso di contrasto, in materia di diritti fondamentali, fra norma nazionale e norma di diritto UE, consentendogli di disapplicare la norma nazionale oppure, in caso di dubbio, di chiedere l’interpretazione della Corte di giustizia soltanto “per altri motivi”, cioè per motivi o profili diversi da quelli già esaminati dalla Corte costituzionale. Una volta escluso il contrasto, viene lasciato uno spazio, per così dire residuale al giudice comune e alla Corte di giustizia cui il predetto giudice intenda rivolgersi, per decidere sui profili di diritto UE. Uno spazio, dunque, ristretto (residuale, appunto) da intendersi come reazione al traboccamento o trasmodamento da parte del giudice comune, censurato dalla Corte, perché “la non applicazione” della norma nazionale da parte di tale giudice “trasmoda inevitabilmente in una sorta di inammissibile sindacato diffuso di costituzionalità della legge”.[44]

Questo limite materiale viene meno con la sentenza 20/2019, perché il giudice comune può sottoporre alla Corte di giustizia “qualsiasi questione pregiudiziale” che ritenga necessaria, anche se già esaminata dalla Corte cost. e quindi non si deve rivolgere alla Corte di giustizia soltanto “per altri motivi”. Il contrasto, tuttavia, si può porre non solo con riferimento alla Carta, ma con altre norme (direttive per esempio, come nella fattispecie esaminata dalla Corte, la 1995/46),[45] che siano connesse con la Carta: atti derivati, collegati alla Carta. “Resta fermo” precisa la Corte “che i giudici comuni possono sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, sulla medesima disciplina, qualsiasi questione pregiudiziale a loro avviso necessaria”.[46] La “regola Granital”, congiunta alla “regola Simmenthal” sul primato del diritto comunitario viene derogata dalla “regola 269”, integrata dalla sentenza 20/2019. Ma, come si è detto, più che una deroga, è un mutamento di prospettiva. La sentenza 20/2019 (del 21 febbraio 2019) è richiamata dalla 63/2019 (del 21 marzo 2019) e, questa, dalla più recente 11/2020 (del 5 febbraio 2020). Al giudice comune viene restituito un ruolo essenziale nell’esercizio di quella funzione giurisdizionale cristallizzata negli articoli 19 TUE e 47 Carta, e che la Corte di giustizia ha ben espresso in una sentenza che può essere considerata una sorta di risposta alla sentenza 269/2017, rivendicando il potere del giudice comune di rinviare alla Corte di giustizia in qualsiasi fase del procedimento, “anche al termine di un procedimento incidentale di controllo di costituzionalità”, su qualsiasi questione, non potendogli essere impedito di fare uso di uno strumento considerato un architrave del sistema giuridico dell’Unione.[47]

La sentenza 63/2019 da un lato ribadisce l’assenza di qualunque preclusione per la Corte cost. di esaminare nel merito le “questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento sia a parametri interni, anche mediati dalla normativa interposta convenzionale, sia – per il tramite degli art. 11 e 117, primo comma Cost. – alle norme corrispondenti della Carta che tutelano, nella sostanza, i medesimi diritti”. Dall’altro lato la sentenza riconosce altresì “il potere del giudice comune di procedere egli stesso al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, anche dopo il giudizio incidentale di legittimità costituzionale, e – ricorrendone i presupposti – di non applicare nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta”.[48]

Il giudice comune può dunque a) rinviare alla Corte di giustizia in ogni momento prima e dopo il rinvio alla Corte cost.; b) se il rinvio è successivo, esso può riguardare anche questioni già esaminate dalla Corte cost. (quindi, non solo “altri” o diversi “motivi”); c) può non applicare la norma nazionale incompatibile con la Carta (con le norme della Carta direttamente efficaci). Come chiarisce, poi, nell’ordinanza 117/2019 (del 10.5.2019) richiamando la precedente giurisprudenza, la non applicazione non è una facoltà, ma un dovere, la Corte sostituendo al “può” il “deve”. Precisamente afferma che i giudici comuni, non solo “possono sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, sulla medesima disciplina, qualsiasi questione pregiudiziale a loro avviso necessaria […] anche al termine del procedimento incidentale di legittimità costituzionale”, ma resta “fermo […] il loro dovere – ricorrendone i presupposti – di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al loro esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta”.[49]

La sentenza 63/2019 viene confermata dalla sentenza 11/2020 che ribadisce il potere della Corte (“questa Corte non potrà esimersi eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia”) di pronunciarsi sulle questioni poste dal giudice comune che abbia richiamato “come norme interposte, disposizioni dell’Unione europea attinenti, nella sostanza, ai medesimi diritti tutelati dai parametri interni”. La Corte costituzionale fornirà una risposta “con gli strumenti che le sono propri: strumenti tra i quali si annovera anche la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione ritenuta in contrasto con la Carta (e pertanto con gli art. 11 e 117, primo comma Cost.) con conseguente eliminazione dall’ordinamento, con effetti erga omnes, di tale disposizione”.[50]

VIII. Le recenti questioni pregiudiziali poste dalla Corte Costituzionale e dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione: la necessità di una costruttiva e leale cooperazione

La Corte costituzionale si è rivolta alla Corte di giustizia ponendo, in epoca recente, alcune questioni pregiudiziali. Con l’ordinanza 117/2019 è stata posta per la prima volta dalla Corte costituzionale non solo una questione di interpretazione, ma di validità di norme di diritto UE, precisamente di una direttiva (n. 2003/6, art. 14(3)) e di un regolamento (n. 596/2014, art. 30(1)(b)), in riferimento ovvero “alla luce” degli art. 47 (diritto ad un ricorso effettivo) e 48 (presunzione di innocenza e diritti della difesa) della Carta, ma anche “alla luce” della giurisprudenza della Corte EDU, dell’art. 6 CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri nella misura in cui tali norme impongono di sanzionare anche chi si rifiuti di rispondere a domande dell’autorità competente dalle quali possa emergere la propria responsabilità per un illecito punito con sanzioni amministrative di natura “punitiva”. Il diritto al silenzio ovvero il diritto a non contribuire alla propria incolpazione e a non essere costretto a rendere dichiarazioni di natura confessoria, peraltro tutelato dall’art. 24 Cost., nell’ipotesi in cui non fosse garantito dalle norme UE di diritto secondario (direttiva e regolamento ricordati), sarebbe (potrebbe essere) non compatibile con gli art. 47 e 48 della Carta e quindi le predette norme sarebbero non valide. La Corte di giustizia ha risposto ai quesiti pregiudiziali dichiarando (alla luce della giurisprudenza della Corte EDU sul diritto ad un equo processo e della Carta) che il diritto al silenzio è “al centro della nozione di equo processo” ed osta, in particolare, a che una persona fisica “imputata” venga sanzionata a causa del suo rifiuto a fornire, all’autorità competente, risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale o la sua responsabilità penale.[51] Le norme UE applicabili sugli abusi del mercato (direttiva 2006/6 e regolamento 596/2014) consentono agli Stati di non sanzionare il rifiuto a rispondere utilizzando “il potere discrezionale ad essi conferito da un testo di diritto derivato dell’Unione in modo conforme ai diritti fondamentali”, così rispettando, dunque, il diritto al silenzio. La validità delle norme UE non viene pregiudicata dal fatto che manchi, nelle stesse, un’esplicita esclusione dell’inflizione di una sanzione.[52] Devono essere interpretate in senso conforme al diritto al silenzio nel senso che non impongono una sanzione.[53]

La seconda ordinanza della Corte, n. 182/2020 (del 30 luglio 2020), richiama le sentenze 269/2017, 20/2019, 63/2019 sulla funzione del rinvio pregiudiziale, sulla necessità di assicurare una “garanzia di uniforme interpretazione dei diritti e degli obblighi che discendono dal diritto dell’Unione”, “in un quadro di costruttiva e leale cooperazione tra i diversi sistemi di garanzia”. La Corte rivendica il proprio ruolo, nel quadro giurisdizionale disegnato dall’art. 47 Carta, di “interrogare la Corte di giustizia” prima di decidere la questione di legittimità costituzionale, e dunque di esaminare se una norma nazionale “infranga in pari tempo i principi costituzionali e le garanzie sancite nella Carta”.[54] Alla Corte è stata posta la questione di legittimità delle norme nazionali che prevedono un assegno di natalità (c.d. bonus bebè) e un assegno di maternità soltanto per gli stranieri soggiornanti di lungo periodo (direttiva 2003/209 e regolamento 883/2004) e non per i titolari di un permesso unico di lavoro (direttiva 2011/98 che richiama il regolamento 883/2004).

Il contrasto sarebbe con gli art. 3, 31, 117, 1 comma Cost., quest’ultimo in relazione a vari articoli della Carta (20, 21, 24, 33, 34) ma soprattutto con l’art. 34 che riguarda la sicurezza sociale e l’assistenza sociale. Da interpretare è l’art. 34, al fine di conoscere se “nel suo ambito di applicazione rientrino l’assegno di natalità e l’assegno di maternità, in base” al regolamento e alla direttiva ricordati (rispettivamente art. 3(1)(b)(j) richiamato dall’art. 12(1)(e) dir. 2011/98): la domanda è, insomma, se le norme nazionali che escludono dai benefici sociali i titolari di un permesso unico sono, o non, compatibili con l’art. 34.[55]

Una scelta recente di adire la Corte di giustizia, non già la Corte costituzionale, è stata fatta dalle Sezioni Unite della Cassazione[56] sui criteri interpretativi dei “motivi inerenti alla giurisdizione” previsti dall’art. 111, 8 comma Cost. (sono gli unici che consentono il ricorso in Cassazione contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti) e sulla compatibilità con il diritto UE (art. 19 TUE; art. 47 Carta) di tale norma così come interpretata dalla Corte cost., che esclude dal ricorso per motivi di giurisdizione le ipotesi in cui il giudice (nella specie il Consiglio di Stato) si è pronunciato violando il diritto dell’Unione.[57] Se non fosse consentito il ricorso ex art. 111 perché la nozione di giurisdizione non comprende tale ipotesi (come ha ritenuto Corte cost. che ascrive tale violazione al vizio di violazione di legge, previsto dall’art. 360 codice di procedura civile) si integrerebbe un caso di denegata giustizia, violando gli art. 19 TUE e 47 Carta.

La Corte di giustizia è stata investita in via pregiudiziale da tre ordinanze dei supremi giudici nazionali che riguardano la tutela di diritti fondamentali, previsti da fonti diverse. L’auspicio è di evitare ipotesi di contrasto e di ricorso da parte nazionale ai “controlimiti”, se è vero che esiste, o comunque dovrebbe esistere (come sottolinea Corte cost.), una “costruttiva e leale cooperazione tra i diversi sistemi di garanzia” dei diritti fondamentali, e che i principi e diritti sono “tra loro armonici e complementari”. Il rapporto fra fonti e Corti, insomma, deve, o comunque dovrebbe essere “di mutua implicazione e di feconda integrazione”.[58]

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European Papers, Vol. 6, 2021, No 1, European Forum, Insight of 22 April 2021, pp. 81-99
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/453

* Professore emerito di diritto dell’Unione europea, Università degli Studi di Milano, b.nascimbene@unimi.it. Lo scritto trae spunto dal seminario La Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea nel sistema integrato di tutela, tenuto a Milano l’11 dicembre 2020, lastatalenews.unimi.it. L’autore ha raccolto le proprie riflessioni in occasione della presidenza della prima sessione, dedicata alla “Natura ed effetti della Carta”. Le sezioni 1-5 si riferiscono alle relazioni di G Amato, A Adinolfi, L Violini, M Condinanzi; le sezioni 6-8 si riferiscono alle relazioni di G Scaccia, P Mori, A Cosentino.

[1] Per un’ampia disamina dei profili storici cfr. la relazione di G Amato, ‘Dalla proclamazione della Carta alla sua non incorporazione nei Trattati’ al seminario La Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea nel sistema integrato di tutela cit. Sulle iniziative ricordate, dal Consiglio europeo di Laeken al progetto di riforma, e quindi fino all’adozione del Trattato di Lisbona, si permette rinviare alla premessa di B Nascimbene, Comunità e Unione europea. Codice delle istituzioni, (Giappichelli 6a ed. 2007) XVI ss. e riferimenti nelle note, nonché alla premessa di B Nascimbene, Unione europea. Trattati (Giappichelli 5a ed. 2019) IX ss.

[2] Cfr. conclusioni del Consiglio europeo di Colonia del 3-4 giugno 1999 par. 44 e 45 (e riferimenti nella premessa di B Nascimbene, Comunità e Unione europea cit. 3).

[3] Nel mandato della CIG 2007 si afferma, punto 9, che l’articolo sui diritti fondamentali avrebbe contenuto “un rinvio” alla Carta “quale convenuta in sede di CIG 2004”, precisando in nota che “Il testo della Carta dei diritti fondamentali non sarà pertanto incluso nei trattati” (cfr. B Nascimbene, Comunità e Unione europea cit. 3, 934).

[4] Sull’atteggiamento del Regno Unito e della Polonia con riferimento all’azionabilità della Carta avanti ai rispettivi organi giurisdizionali nazionali, si veda il Protocollo n. 30 ai Trattati sull’applicazione della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea alla Polonia e al Regno Unito [2009] contenuto nell’atto finale della Conferenza intergovernativa che adottò il Trattato di Lisbona, nonché le dichiarazioni (contenute nello stesso atto) n. 53 della Repubblica ceca e n. 61, n. 62 della Repubblica di Polonia: Dichiarazioni allegate all’atto finale della Conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona [2008], par. 53, 61 e 62. Sulla rilevanza della Carta, prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, si vedano in particolare causa C-173/99 BECTU ECLI:EU:C:2001:81, conclusioni AG Tizzano, par. 25-26; la sentenza T-177/01 Jégo-Quéré ECLI:EU:T:2001:112 par. 42; causa C-540/03 Parlamento c Consiglio ECLI:EU:C:2006:429 par. 38; causa C-303/05 Advocaten voor de Wereld ECLI:EU:C:2007:261 par. 46; causa C-244/06 Dynamic Medien ECLI:EU:C:2008:85 par. 41. Cfr. sentenza Corte costituzionale italiana del 24 aprile 2002 n. 135/2002 par. 2.1. del considerato in diritto.

[5] Sentenza Corte costituzionale tedesca del 29 maggio 1974 n. 2 BvL 52/71 Solange I-Beschluß; sentenza Corte costituzionale italiana del 27 dicembre 1973 n. 183/1973 Frontini.

[6] Si vedano: comunicazione COM(1976) 037 def. della Commissione delle Comunità Europee del 4 febbraio 1976 sulla salvaguardia dei diritti fondamentali nel quadro dello sviluppo del diritto comunitario; lo studio eseguito, su incarico della Commissione, da R Bernhardt sui problemi relativi ad un catalogo di diritti fondamentali per le Comunità europee, ibid. par. 22; la comunicazione COM(79) 210 def. della Commissione del 2 maggio 1979, memorandum sull’adesione delle Comunità europee alla Convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

[7] Cfr. conclusioni del Consiglio Europeo del 7-8 aprile 1978 sull’identità europea il rapporto Tindemans L’Unione europea. Sulla tutela “pretoria” vedi la nota successiva.

[8] Causa 11/70 Internationale Handelsgeselleschaft mbH c Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel ECLI:EU:C:1970:114 par. 4 e qualche anno dopo, causa 4/73 Nold KG c Commissione, ECLI:EU:C:1974:51, par. 13; causa 44/79, Hauer c Land Rheinland-Pfalz, ECLI:EU:C:1979:290, par. 17-22; si veda nel passato, per un riferimento ai “diritti fondamentali della persona, che fanno parte dei principi generali del diritto comunitario, di cui la Carta garantisce l’osservanza”, cfr. causa 29/69, Stauder c Stadt Ulm, ECLI:EU:C:1969:57 par. 7. Per un riferimento alla tutela “pretoria” o al “sistema pretoriano” si veda Internationale Handelsgellschaft mbH c Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel cit., conclusioni dell’AG Dutheillet De Lamothe, 1149.

[9] Sui limiti della tutela, quanto all’ambito comunitario, si veda nel passato anche causa C-149/77 Defrenne c Sabena ECLI:EU:C:1978:115, conclusioni dell’AG Capotorti, e Nold KG c Commissione cit., conclusioni dell’AG Trabucchi, 512.

[10] Causa C-617/10 Åkerberg Fransson ECLI:EU:C:2013:105, par. 21, 23.

[11] Cfr. A Adinolfi, ‘La rilevanza della Carta dei diritti fondamentali nella giurisprudenza interna: qualche riflessione per un tentativo di ricostruzione sistematica’ (2018) Studi sull’integrazione europea, 29; della stessa si veda la relazione al seminario La Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea nel sistema integrato di tutela (A Adinolfi, ‘L’ambito di applicazione della CDFUE’). La Corte afferma di non avere competenza pregiudiziale salvo che la norma della Carta sia stata resa applicabile “dal diritto nazionale in modo diretto ed incondizionato”, causa C-482/10 Cicala ECLI:EU:C:2011:868 par. 19; recentemente causa C-220/20 XX ECLI:EU:C:2020:1022 par. 35-43; per un commento V Sciarabba, ‘Le questioni pregiudiziali (…o di costituzionalità), anche in tempo di COVID, non sono un passe-partout (a commento dell’ordinanza della Corte di giustizia del 10 dicembre 2020, causa C-220/20)’ (21 febbraio 2021) Giustizia insieme www.giustiziainsieme.it, e, amplius, V Sciarabba, ‘Riflessioni di inizio anno tra tutela della salute, organizzazione e funzionamento della giustizia e garanzia dei diritti e principi fondamentali (a partire da una questione pregiudiziale sollevata in parallelo a una questione di costituzionalità da un giudice di pace italiano)’ (19 gennaio 2021) Consulta online www.giurcost.org.

[12] Si veda A Adinolfi, ‘La rilevanza della Carta dei diritti fondamentali nella giurisprudenza interna’ cit., N Lazzerini, La Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea: I limiti di applicazione (FrancoAngeli 2018) 133, e B Nascimbene, ‘Il principio di attribuzione e l’applicabilità della Carta dei diritti fondamentali: l’orientamento della giurisprudenza’ (2015) Rivista di diritto internazionale 49.

[13] Cfr. L Violini, ‘Il principio di indeterminazione preso sul serio? Il caso serio della Carta dei diritti dell’unione europea’, in C Bergonzini, A Cossiri e G Di Cosimo (a cura di), Scritti per Roberto Bin (Giappichelli 2019) 443; della stessa si veda ‘Cosa è e cosa rimane della distinzione tra “principi” e “diritti”?’, relazione al seminario La Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea nel sistema integrato di tutela cit.

[14] Su queste norme si vedano i commenti di F Picod, ‘Article 51 – Champ d’application’ in F Picod, C Rizcallah e S Van Drooghebroeck (a cura di), Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne (Bruylant 2020) 1223; di S Van Drooghenroeck e C Ritzcallah, ‘Article 52-1 – Limitations aux droits garantis’ in F Picod, C Rizcallah e S Van Drooghebroeck (a cura di), Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne cit. 1249; di A Bailleux, ‘Article 52-2 – Portée et interpretation des droits et principes’, in F Picod, C Ritzcallah e S Van Drooghenroeck (a cura di), Charte des droits fonfamentaux de l’Union europeénne, cit. 1287, 1290; i rilievi di N Lazzerini, La Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea cit. 155.; M Condinanzi, ‘Diritti, principi, e principi generali nell’ordinamento giuridico dell’unione europea’ in L D’Andrea, G Moschella, A Ruggeri e A Saitta (a cura di), La Carta dei diritti dell’Unione Europea e le altre Carte (ascendenze culturali e mutue implicazioni) (Giappichelli 2015) 71.

[15] Per alcuni rilievi sulla Carta sociale e sui tratti differenziali rispetto alla CEDU, cfr. G Campanelli, ‘Carta sociale europea e CEDU: rapporto tra parametri e puntualizzazione delle differenze’ (26 luglio 2020) in Consulta online www.giurcost.org.

[16] Si vedano i rilievi di C Hilson, ‘Rights and Principles in EU Law: A. Distinction Without Foundation?’ (2008) Maastricht Journal of European and Comparative Law 193; S Prechal, ‘Rights v. Principles, or How to Remove Fundamental Rights from the Jurisdiction of the Courts’, in JW De Zwaan e FA Nelissen (a cura di), The European Union. An Ongoing Process of Integration (Springer 2004) 177; per alcuni rilievi critici, E Cannizzaro, ‘La Carta dei diritti fondamentali e la determinazione della intensità della sua tutela’ (7 dicembre 2020) Eurojus rivista.eurojus.it e sugli effetti diretti (delle norme della Carta) E Cannizzaro, Il diritto dell’integrazione europea (Giappichelli 2020) 187.

[17] Cfr. causa C-176/12 Association de médiation sociale ECLI:EU:C:2014:2 par. 47.

[18] Cfr. causa C-356/12 Glatzel, ECLI:EU:C:2014:350 par. 74-78.

[19] Cfr. i rilievi di N Lazzerini, La Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea cit. 160.

[20] Su questo tema cfr. M Condinanzi, ‘Le direttive in materia sociale e la Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea: un dialogo fra fonti per dilatare e razionalizzare (?) Gli orizzonti dell’effetto diretto. Il caso della giurisprudenza “sulle ferie”’ (2019) Federalismi.it www.federalismi.it; si veda anche la relazione di M Condinanzi, ‘L’invocabilità della CDFUE nei rapporti orizzontali’ al seminario La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel sistema integrato di tutela cit.; F Ferraro, ‘Vecchi e nuovi problemi in tema di efficacia diretta orizzontale della Carta’ (2019) Federalismi.it www.federalismi.it; R Palladino, ‘Diritti, principi ed effetto orizzontale delle disposizioni (in materia sociale) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea’ (2019) Il Diritto dell’unione europea 175; N Lazzerini, ‘The Horizontal Application of the General Principles of EU Law: Nothing Less than Direct Effect’ (Max Planck for Comparativ Public Law & International Law Research Paper Series 38-2020). Sul diritto alle ferie, retribuite, cfr. S Sciarra, ‘Diritti sociali fondamentali nazionali ed europei. A proposito di diritto alle ferie retribuite’ (2019) Federalismi.it www.federalismi.it. Cfr. anche supra, nota n. 16.

[21] Si veda per la prima affermazione causa 26/62 Van Gend en Loos c Administratie der Belastingen ECLI:EU:C:1963:1; sulla seconda il parere 2/13 Adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ECLI:EU:C:2014:2454 par. 169.

[22] Cfr. causa C-131/12, Google Spain e Google ECLI:EU:C:2014:317 par. 68

[23] Si vedano le cause C-144/04 Mangold ECLI:EU:C:2005:709 par. 75-78; C-555/07 Kückükdeveci ECLI:EU:C:2010:21 par. 20-27, 43, 50-51, 56.

[24] Cfr. Association de médiation sociale cit.; cause riunite C-569/16 e C-570/16 Bauer ECLI:EU:C:2018:871 par. 62; causa C-619/16 Kreuziger ECLI:EU:C:2018:872 par. 29 (si discuteva, invero, dell’effetto diretto verticale, sollecitato dallo stesso giudice tedesco); causa C-684/16 Max-Planck-Gesellschaft zur der Wissenchaften ECLI:EU:C:2018:874 par. 49-57; causa C-414/16 Egenberger ECLI:EU:C:2018:257 par. 49, 55; causa C-193/17 Cresco Investigation ECLI:EU:C:2019:43, par. 76; cfr. anche causa C-55/18 CCOO ECLI:EU:C:2019:402 par. 38, 60, 65.

[25] Su tale concetto cfr. le cause riunite C-397/01 Pfeiffer, C-398/01 Roith, C-399/01 Süß, C-400/01 Winter, C-401/01 Nestvogel, C-402/01 Zeller, C-403/01 Döbele, ECLI:EU:C:2004:584, par. 109; Association de médiation sociale cit. par. 45-48.

[26] V. infra, sezione IV.

[27] In questi termini Association de médiation sociale cit. par. 47.

[28] Cfr. ibid. par. 45; sulla non invocabilità della norma della Carta, priva di effetto diretto, avanti al giudice nazionale, che non può, quindi, disapplicare una norma nazionale contrastante, C-573/19 Popławski, ECLI:EU:C:2019:530 par. 62-63.

[29] Sulla applicabilità diretta di norme dei Trattati cfr., per esempio causa C-36/74, Walrave e Koch c Association union Cycliste Internationale e a. ECLI:EU:C:1974:140 par. 31-34; causa C-43/75 Defrenne c SABENA ECLI:EU:C:1976:56 par. 24-26, 40.

[30] Cfr. la causa C-441/14 DI ECLI:EU:C:2016:278 par. 21-27 (la Corte suprema danese tuttavia non disapplicò la norma nazionale contrastante ritenendo che un principio generale non può produrre effetti diretti perché la legge di adesione della Danimarca all’unione non riguarda i principi generali dell’unione, pertanto esclusi).

[31] Association de médiation sociale cit. par. 49

[32] Cfr. Egenberger cit., anche con riferimento all’art. 47; Cresco Investigation cit.

[33] Max-Planck-Gesellschaft zur der Wissenchaften cit.

[34] Sulla “intercomunicazione” cfr. M Condinanzi, ‘Le direttive in materia sociale e la Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea’ cit.

[35] Cfr. Mangold cit. par. 74.

[36] Cfr. Max-Planck-Gesellschaft zur der Wissenchaften cit. par. 76.

[37] L’art. 51, già si è detto nella sezione IV, definisce l’ambito di applicazione, nel rispetto delle competenze delle istituzioni e degli Stati membri, che si tratti di principi o di diritti (questi ultimi soltanto invocabili in qualunque controversia): cfr. N Lazzerini, La Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea cit. 126 ss; M Condinanzi, Le direttive in materia sociale cit., 8.

[38] Riferendosi al “tabù” dell’esclusione dell’effetto diretto della direttiva e considerato l’orientamento della giurisprudenza della Corte, si sottolinea come il riconoscimento dell’effetto diretto della Carta possa essere un escamotage per garantire l’effetto diretto della prescrizione contenuta nella direttiva: in questi termini M Condinanzi, Le direttive in materia sociale cit.

[39] Sentenza 106/77 Amministrazione delle finanze dello Stato c Simmenthal ECLI:EU:C:1978:49. Su rinvio pregiudiziale del pretore di Susa la Corte ha affermato il primato del diritto comunitario, come già nella causa 6/64 Costa c E.N.E.L. ECLI:EU:C:1964:66. Sul primato e gli obblighi conseguenti, richiamando anche Costa c E.N.E.L cit., Popławski cit. par. 52-53.

[40] Sentenza della Corte costituzionale italiana del 5 giugno 1984 n. 170.

[41] Su questi profili si vedano i riferimenti nella nota 44, e le relazioni al seminario La Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea nel sistema integrato di tutela di G Scaccia, ‘Sindacato accentrato di costituzionalità vs. Diretta applicazione della Carta’; P Mori, ‘Le possibili reazioni della Corte di giustizia’, A Cosentino, ‘Il seguito della nuova “regola” nella giurisprudenza comune’. Di questi autori si vedano, anche, in precedenza, G Scaccia, ‘Corte costituzionale e doppia pregiudizialità: la priorità del giudizio incidentale oltre la Carta dei diritti?’ (12 maggio 2020) Forum di Quaderni costituzionali 316 ss. (ivi riferimenti) www.forumcostituzionale.it; P Mori, ‘La Corte costituzionale e la Carta dei diritti fondamentali dell’UE: dalla sentenza 269/2017 all’ordinanza 117/2019. Un rapporto in mutazione?’ (3 settembre 2019) I Post di Aisdue 55 www.aisdue.eu; A Cosentino, ‘Doppia pregiudizialità, ordine delle questioni, disordine delle idee’ (6 febbraio 2020) Questione Giustizia www.questionegiustizia.it.

[42] Cfr. le sentenze della Corte costituzionale italiana del 21 febbraio 2019 n. 20; costituzionale del 21 marzo 2019 n. 63; costituzionale del 5 febbraio 2020 n. 11; le ordinanze della Corte costituzionale italiana del 10 maggio 2019 n. 117/2019 costituzionale e del 30 luglio 2020, n. 182. Sull’evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale si vedano, in particolare, C Caruso, ‘Granital reloaded o di una “precisazione” nel solco della continuità’ (19 ottobre 2020) Giustizia insieme, www.giustiziainsieme.it; A Morrone, ‘Oltre Granital. Divisione o fusione degli orizzonti di senso?’ (12 novembre 2020) Giustizia insieme www.giustiziainsieme.it, e i vari contributi in C Caruso, F Medico e A Morrone (a cura di), Granital revisited? L’integrazione europea attraverso il diritto giurisprudenziale (Bononia University Press 2020); C Masciotta, ‘La doppia pregiudizialità nella più recente giurisprudenza costituzionale’ (2020) Osservatorio sulle fonti 1259.

[43] Sulla pluralità di fonti internazionali cfr. le sentenze della Corte costituzionale italiana n. 20/2019 cit. e costituzionale n. 63/2019 cit.

[44] Cfr. sentenza della Corte costituzionale italiana del 14 dicembre 2017 n. 269 par. 5.3. del considerato in diritto; sulla “tesi Barbera” (espressa dall’autore in A Barbera, ‘La Carta dei diritti: per un dialogo fra la Corte italiana e la Corte di giustizia’ (6 novembre 2017) Rivista AIC www.rivistaaic.it e per ampi riferimenti cfr. B. Nascimbene, ‘La tutela dei diritti fondamentali in Europa: i cataloghi e gli strumenti a disposizione dei giudici nazionali (cataloghi, arsenale dei giudici e limiti o confini)’ (7 settembre 2020) Eurojus rivista.eurojus.it; fra i molti autori si ricordano, in argomento, in epoca più recente, C Amalfitano, ‘Il dialogo tra giudice comune, Corte di Giustizia e Corte costituzionale dopo l’obiter dictum della sentenza n. 269/2017’ (2019) Osservatorio sulle fonti www.osservatoriosullefonti.it; F Spitaleri, ‘Doppia pregiudizialità e concorso di rimedi per la tutela dei diritti fondamentali’ (2019) Il Diritto dell’Unione europea 729 ss.; i contributi, raccolti in RG Conti (a cura di), Il mestiere del giudice (CEDAM 2020) 39 ss.; la successiva intervista RG Conti, E Cannizzaro, ‘CEDU e cultura giuridica italiana. Carta dei diritti fondamentali UE e CEDU’ (27 novembre 2020) Giustizia insieme www.giustiziainsieme.it; F Donati, ‘I principi del primato e dell’effetto diretto del diritto dell’unione in un sistema di tutele concorrenti dei diritti fondamentali’ (2020) Federalismi.it 104 www.federalismi.it; R Mastroianni, ‘Sui rapporti fra Carta e Corti: nuovi sviluppi nella ricerca di un sistema rapido ed efficace della tutela dei diritti’ European Papers (European Forum Insight del 19 giugno 2020) www.europeanpapers.eu 493; P Mori, ‘La Corte costituzionale e la Carta dei diritti fondamentali dell’UE’ cit.; G Tesauro, P De Pasquale, ‘Rapporti fra Corti e retroattività della lex mitior’ (7 maggio 2019) I Post di Aisdue 27 www.aisdue.eu.

[45] Osserva sentenza Corte costituzionale italiana n. 20/2019 cit. par. 2.1. del considerato in diritto che “I principi posti dalla direttiva si presentano […] in singolare connessione con le disposizione della CDFUE” e vengono ricordate le “Spiegazioni” relative all’art. 8 sulla protezione dei dati di carattere personale Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [2000], perché gli stessi principi della direttiva sono serviti come “modello” per l’art. 8 della Carta “e perciò partecipano all’evidenza della loro stessa natura”.

[46] Cfr. sentenza della Corte costituzionale italiana n. 20/2019 cit. par. 2.3. del “Considerato in diritto”, ove si sottolinea anche che “la sopravvenienza delle garanzie approvate dalla CDFUE rispetto a quelle della Costituzione italiana genera, del resto, un concorso di rimedi giurisdizionali, arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali e, per definizione, esclude ogni preclusione”.

[47] Causa C-322/16 Global Starnet ECLI:EU:C:2017:985 par 23.

[48] Cfr. sentenza della Corte costituzionale italiana n. 63/2019 cit. par. 4.3. del “Considerato in diritto”.

[49] Cfr. sentenza della Corte costituzionale italiana n. 117/2019 cit. par. 2 del “Considerato in diritto”, ove vengono richiamati il par. 2.3 della sentenza Corte costituzionale italiana n. 20/2019 cit. e il par. 4.3 della sentenza della Corte costituzionale italiana n. 63/2019 cit.

[50] Cfr. sentenza della Corte costituzionale italiana n. 11/2020 cit. par. 3.4 del “Considerato in diritto” che richiama “ex plurimis” la sentenza della Corte costituzionale italiana n. 63/2019 cit.

[51] Causa C-481/19 Consob ECLI:EU:C:2021:84. Per un commento E Basile, ‘La Corte di giustizia riconosce il diritto al silenzio nell’ambito dei procedimenti amministrativi “punitivi”’ (3 febbraio 2021) Sistema penale www.sistemapenale.it. Sul riferimento all’art. 6 CEDU e alla centralità del diritto al silenzio, che “costituisce una norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta”, Consob cit. par. 33, 37-40. La Corte precisa, tuttavia, ibid. par. 41, che non può essere, comunque, giustificata “qualsiasi omessa collaborazione con le autorità competenti, qual è il caso di un rifiuto di presentarsi ad un’audizione prevista da tali autorità o di manovre dilatorie minanti a rinviare lo svolgimento dell’audizione stessa”. Tale “valutazione” sul diritto al silenzio “non trova smentita nella giurisprudenza della [stessa] relativa alle norme dell’unione in materia di concorrenza”, l’impresa non potendo “vedersi imporre l’obbligo di fornire risposte in virtù delle quali essa si troverebbe a dovere ammettere l’esistenza di una violazione” di dette norme (giurisprudenza che “come indicato dallo stesso giudice del rinvio”, “non può applicarsi per analogia quando si tratta di stabilire il diritto al silenzio di persone fisiche”).

[52] Sentenza Consob cit. par 56-58.

[53] Sull’interpretazione conforme, ibid. par. 50, 55; su tale principio, in generale, causa Popławski cit. par. 55-57.

[54] Cfr. ordinanza della Corte costituzionale italiana n. 182/2020 cit. par. 3.1 e 3.2 del “Considerato in diritto”. Sull’ordinanza 182/2020 si vedano, in particolare, i commenti di D Gallo, A Nano, ‘L’accesso agli assegni di natalità e di maternità per i cittadini di Paesi terzi titolari di permesso unico nell’ordinanza n. 182 del 2020 della Corte Costituzionale’ (2020) Eurojus 308; N Lazzerini, Dual Preliminarity Within the Scope of the EU Charter of Fundamental Rights in the Light of Order 182/2020 of the Italian Constitutional Court’ European Papers (European Forum Insight del 25 novembre 2020) www.europeanpapers.eu 1463.

[55] Cfr. il dispositivo dell’ordinanza e, quanto al riferimento al diritto secondario, ordinanza della Corte costituzionale italiana n. 182/2020 cit. par. 7.1.2., ove la Corte costituzionale precisa la propria richiesta tesa a conoscere se l’assegno di maternità “debba essere incluso nell’art. 34 CDFUE, letto alla luce del diritto secondario”.

[56] Cfr. ordinanza della Corte di Cassazione del 18 settembre 2020 n. 19598/2020; fra i molti commenti, si vedano quelli sui rapporti fra Corte costituzionale e Corti europee F Donati, ‘La questione prioritaria di costituzionalità: presupposti e limiti’ (2021) Federalismi.it www.federalismi.it 1; C Curti Gialdino, ‘La Corte di giustizia e la sindacabilità da parte delle SS.UU. della Cassazione delle violazioni gravi e manifeste del diritto dell’unione europea per “motivi inerenti alla giurisdizione”’ (2021) Federalismi.it www.federalismi.it 12; F Patroni Griffi, ‘Corti nazionali e Corti europee: un problema di confini?’ (2021) Federalismi.it www.federalismi.it 30; S Sciarra, ‘Lenti bifocali e parole comuni: antidoti all’accentramento nel giudizio di costituzionalità’ (2021) Federalismi.it www.federalismi.it 37. Cfr. G Tesauro, ‘La Corte costituzionale e l’art. 111, ult. comma: una preclusione impropria al rinvio pregiudiziale’ (2020) Federalismi.it www.federalismi.it 237; A Travi, ‘I motivi inerenti alla giurisdizione e il diritto dell’Unione europea in una recente ordinanza delle sezioni unite (Nota a Cass., ord 18 settembre 2020, n. 19598)’ (2020) Il Foro italiano 3415; E Calzolaio, ‘La violazione del diritto dell’unione europea come “motivo di giurisdizione”’ (2020) Il Foro italiano 3419; R Baratta, ‘Le pregiudiziali Randstad sull’incensurabilità per cassazione della violazione di norme europee imputabile al giudice amministrativo’ (2021) Eurojus 167; si permette rinviare a B Nascimbene, P Piva, ‘Il rinvio della Corte di Cassazione alla Corte di giustizia: violazioni gravi e manifeste del diritto dell’Unione europea?’ (24 novembre 2020) Giustizia insieme www.giustiziainsieme.it (anche per altri riferimenti).

[57] Cfr. sentenza della Corte costituzionale italiana del 18 gennaio 2018 n. 6/2018.

[58] Cfr. ordinanza della Corte costituzionale italiana n. 182/20 cit. par. 3.2 del considerato in diritto. Per alcuni rilievi sui comuni intenti delle Corti europee, LS Rossi, ‘I rapporti fra la Carta dei diritti fondamentali e la CEDU nella giurisprudenza delle rispettive Corti’ (2020) I Post di Aisdue www.aisdue.eu 47; S Sciarra, ‘Lenti bifocali e parole comuni: antidoti all’accentramento nel giudizio di costituzionalità’ cit. 53 ss; cfr. anche E Lamarque, ‘I poteri del giudice comune nel rapporto con la Corte costituzionale e le Corti europee’ (1 dicembre 2020) Questione Giustizia www.questionegiustizia.it; RG Conti, ‘CEDU e Carta UE dei diritti fondamentali, tra contenuti affini e ambiti di applicazione divergenti’ (2020) Consulta online www.giurcost.org 578.

 

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