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Abstract: At the meeting of 18 and 19 February 2016, the European Council adopted a decision aimed at determining the interpretation of the “ever closer Union” clause contained in the founding Treaties and their preambles. The present Insight will deal with the effect of European Council’s decisions, and of agreements concluded in simplified form by the Member States within the Council, on the interpretation of EU law.
Keywords: Brexit – European Council – decision – treaty interpretation – international agreement.
I. Introduzione
Il 18 e 19 febbraio 2016 i capi di Stato o di Governo, riuniti in sede di Consiglio europeo, hanno adottato una decisione concernente una nuova intesa per il Regno Unito nell’Unione europea (UE).[1]
La decisione, che in gran parte accoglie la proposta del presidente del Consiglio europeo Tusk del 2 febbraio 2016,[2] fa parte di un insieme eterogeneo di atti adottati al fine di favorire la permanenza del Regno Unito nell’Unione europea, e costituiscono dunque la risposta alla lettera del primo ministro britannico del 10 novembre 2015.[3]
Nonostante le conclusioni del Consiglio europeo del 18 e 19 febbraio siano sotto i riflettori per una serie di problemi politici che negli ultimi mesi stanno agitando non solo le istituzioni europee, ma anche l’opinione pubblica, come le misure a rafforzamento del principio di sussidiarietà, la governance economica e monetaria e l’adozione di misure restrittive alla libera circolazione delle persone, in esse sono contenute delle disposizioni relative all’interpretazione dei Trattati istitutivi dell’Unione che, pur essendo passate inosservate rispetto alle tematiche sopra ricordate, meritano alcune riflessioni
II. Interpretazione dei Trattati istitutivi dell’UE: quale ruolo per la decisione dei capi di Stato o di Governo in sede di Consiglio europeo?
Già nel progetto di decisione proposto dal presidente del Consiglio europeo qualche giorno prima della riunione del 18 e 19 febbraio scorsi, si riscontrava una dichiarazione secondo la quale “[i] riferimenti al processo di creazione di un'unione sempre più stretta fra i popoli europei contenuti nei trattati e nei relativi preamboli sono volti principalmente a indicare che l'obiettivo dell'Unione è promuovere la fiducia e la comprensione fra popoli che vivono in società aperte e democratiche che condividono un patrimonio comune di valori universali. Non equivalgono all'obiettivo di un'integrazione politica”.
Nella decisione adottata il 19 febbraio, la volontà dei capi di Stato o di Governo di incidere sull’interpretazione dei Trattati istitutivi emerge chiaramente sin dai considerando della stessa tra i quali, in particolare, il secondo precisa che la decisione intende “chiarire […] alcune questioni di particolare importanza per gli Stati membri, di modo che tale chiarimento debba essere preso in considerazione quale strumento di interpretazione dei trattati”.
Se da un lato è chiaro l’intento politico di tali disposizioni, tese a sedare le agitazioni d’oltremanica nei confronti della volontà di alcuni Stati membri dell’Unione di dare una ulteriore accelerazione al processo di integrazione europea, la natura e l’efficacia giuridica di una tale precisazione sembrano invero meno chiare.[4]
Si tratta, in particolare, di capire il valore della suddetta disposizione contenuta nell’allegato I delle conclusioni del Consiglio europeo e, in particolare, se una decisione adottata in sede di Consiglio europeo possa avere l’effetto di vincolare la Corte di giustizia, imponendole una determinata interpretazione dei Trattati istitutivi.
III. L’allegato I delle conclusioni del Consiglio europeo del 18 e 19 febbraio: un atto dell’Unione o un accordo internazionale?
Affinché possa riconoscersi che la decisione in questione abbia effetti interpretativi sui Trattati istitutivi, come la stessa sembrerebbe affermare, occorre preliminarmente interrogarsi in merito alla natura di tale atto.
La prima domanda da porsi, per far fronte a tale problema giuridico, è se la decisione costituisca un atto riconducibile al sistema dell’Unione o se, viceversa, stante la particolare composizione del Consiglio europeo, l’atto in questione debba essere considerato un atto adottato al di fuori dell’ordinamento europeo e debba dunque esserne valutata la natura. Infatti, la partecipazione al Consiglio europeo dei capi di Stato o di Governo, così come le modalità di deliberazione dello stesso, di norma per consensus, secondo un metodo dunque tipicamente intergovernativo, rendono difficile desumere chiaramente se gli atti adottati in tale sede costituiscano atti integrabili nel quadro giuridico dell’Unione o se costituiscano accordi adottati nell’ambito di una conferenza internazionale. Sciogliere tale nodo giuridico non è del tutto agevole.
Alcuni indizi sembrerebbero deporre a favore di un atto che, seppur in modo atipico, sia comunque riconducibile all’ordinamento dell’UE. Tali indizi si rinvengono, in particolare, già nella lettera del presidente Donald Tusk ai membri del Consiglio europeo sulla sua proposta concernente una nuova intesa per il Regno Unito nell’Unione europea.[5] In essa si chiarisce infatti come la proposta di decisione sia stata il frutto di un compromesso tra le istanze disgregatrici del Regno Unito e il tentativo di mantenere l’unità dell’Unione. In tale contesto, dunque, il presidente del Consiglio europeo non solo ha partecipato ai lavori, ma è stato parte attiva nell’elaborazione del documento in questione.[6] Inoltre, la decisione in esame si inserisce in un insieme di misure adottate in stretta connessione con altre istituzioni dell’Unione, ed in particolar modo quattro dichiarazioni della Commissione, di cui una relativa a un meccanismo di attuazione della sussidiarietà e a un meccanismo di attuazione della riduzione degli oneri; una concernente l'indicizzazione delle prestazioni per figli a carico esportate verso uno Stato membro diverso da quello in cui il lavoratore soggiorna; una sul meccanismo di salvaguardia di cui alla sezione d, par. 2, lett. b), della decisione dei capi di Stato o di Governo; ed una relativa a questioni connesse all'abuso del diritto di libera circolazione delle persone. La partecipazione attiva della Commissione e del presidente del Consiglio europeo alla decisione in questione, potrebbe dunque fornire degli elementi idonei a ricondurre l’atto nell’ambito dell’Unione. Peraltro, potrebbe considerarsi un elemento a conferma di tale lettura anche l’affermazione contenuta nelle conclusioni in base alla quale la decisione in questione è un atto giuridicamente vincolante.[7] Ove la decisione costituisse un accordo internazionale, una tale affermazione sarebbe infatti ultronea. Essa potrebbe allora voler chiarire il valore giuridico di un atto adottato da una istituzione che di norma non adotta atti vincolanti, ma che per lo più linee di indirizzo politicamente autorevoli ma inidonee a creare degli obblighi giuridici. Vi sono stati, peraltro, casi in cui il Consiglio europeo ha adottato atti che possono essere considerati vincolanti.[8]
Nonostante tali elementi, sembrerebbero tuttavia non esservi dubbi in merito al fatto che la decisione contenuta nelle conclusioni della riunione del 18 e 19 febbraio dei capi di Stato o di Governo riuniti in sede di Consiglio europeo costituisca un vero e proprio trattato internazionale, concluso in forma semplificata. La scelta di tale forma sembrerebbe il frutto di precise strategie politiche.[9] Il servizio giuridico del Consiglio dell’Unione europea aveva, d’altronde, già espresso il proprio parere in tal senso all’indomani della proposta di decisione da parte del presidente del Consiglio europeo.[10] Non mancano, peraltro, precedenti a conferma di una tale prassi: si pensi alla decisione nota come “compromesso di Edimburgo” adottata dai capi di Stato e di Governo riuniti in sede di Consiglio europeo in occasione della ratifica del Trattato di Maastricht del 1992 per favorire la ratifica danese del Trattato sull’Unione europea;[11] o alla decisione adottata nel giugno 2009 per rispondere alle preoccupazioni del popolo irlandese rispetto alla ratifica del Trattato di Lisbona.[12]
Individuata la natura giuridica dell’atto oggetto del presente commento, occorre tuttavia interrogarsi in merito agli effetti giuridici dello stesso e, più precisamente, se la decisione sia idonea a esplicare gli effetti interpretativi che si propone di avere.
A tal riguardo, è dunque opportuno verificare, seppur rapidamente, il modo in cui un accordo internazionale possa assumere rilevanza nel processo interpretativo di altri accordi internazionali, in questo caso i Trattati istitutivi dell’Unione europea.
La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 prospetta due distinte ipotesi in cui accordi internazionali possono essere d’ausilio nell’interpretazione dei trattati.
Ai sensi dell’art. 31, par. 2, lett. a), costituisce il contesto del trattato “ogni accordo relativo al trattato e che sia intervenuto tra tutte le parti in occasione della sua conclusione”. Per quanto riguarda la decisione in questione, tuttavia, essa non può considerarsi un accordo concluso in occasione del trattato, costituendo bensì un atto successivo alla conclusione dei Trattati istitutivi dell’Unione. Ciò differenzia tale accordo rispetto ad esperienze del passato, in cui invece gli atti di conferenze intergovernative sono stati adottati contestualmente alle revisioni dei Trattati.[13] Non mancano, peraltro, esempi di accordi successivi alla conclusione dei Trattati istitutivi, come il recente trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria adottato per rafforzare la disciplina di bilancio dei Governi della zona euro a seguito della crisi del debito sovrano del 2010, che tuttavia non conteneva disposizioni sull’interpretazione dei Trattati istitutivi dell’Unione e, peraltro, ha visto la partecipazione solo degli Stati che hanno adottato la moneta unica.[14] O, ancora, si pensi all’accordo di Schengen, concluso tra un gruppo di Stati europei per abolire i controlli alle frontiere comuni tra gli stessi.[15] La prassi di accordi successivi tra Stati membri dell’Unione non è dunque nuova: tuttavia, trattasi principalmente di accordi conclusi solo tra alcuni degli Stati membri e miranti a perseguire un maggior grado di integrazione. Assenti, negli stessi, pretese interpretative dei Trattati istitutivi.
La decisione oggetto del presente commento si differenzia, dunque, da precedenti esperienze e sembrerebbe poter svolgere un ruolo nell’interpretazione dei Trattati istitutivi dell’Unione ai sensi di quanto stabilito alla lett. a) del terzo paragrafo dell’art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, secondo il quale ai fini dell’interpretazione di un trattato rileva, oltre al contesto, “ogni accordo ulteriore intervenuto tra le parti circa l’interpretazione del trattato o l’attuazione delle disposizioni in esso contenute”.[16]
Occorre tuttavia ricordare che sussiste in seno al sistema dell’Unione una sola istituzione deputata all’interpretazione dei Trattati, ovvero la Corte di giustizia. La funzione interpretativa è, di conseguenza, negata alle altre istituzioni, e a fortiori sembrerebbe esserlo per i capi di Stato o di Governo al di fuori di una procedura istituzionale, come nel caso in questione.[17]
Peraltro, anche a voler ipotizzare che la decisione in esame possa avere una influenza sul processo interpretativo della Corte di giustizia, preme ricordare che tale istituzione raramente dà spazio a tecniche di interpretazione soggettiva, ricercando la volontà delle parti nella sua attività ermeneutica. La Corte ha infatti sviluppato un approccio autonomo e distinto dal corpus di regole sull’interpretazione dei trattati a livello internazionale rispetto ai Trattati istitutivi e agli atti di diritto derivato dell’UE. Come è stato rilevato, “the ECJ has viewed the founding instruments of the European Community more as a constitution of a new legal order than as treaties applying in relations between states parties to them”.[18]
É noto dunque che la Corte di giustizia, nella sua opera ermeneutica, adotta tendenzialmente un approccio obiettivo e di tipo funzionale, piuttosto che far ricorso a strumenti di accertamento della volontà delle parti, come i lavori preparatori o la prassi successiva.[19]
In tale direzione, occorre segnalare che la Corte di giustizia si è già pronunciata proprio in merito al ruolo interpretativo degli accordi internazionali. La Corte, infatti, chiamata a verificare gli effetti della decisione dei capi di Stato o di Governo riuniti in sede del Consiglio europeo di Edimburgo dell’11 e 12 dicembre 1992, ha sì riconosciuto che tale strumento avrebbe dovuto essere preso in considerazione quale strumento di interpretazione del Trattato che istituisce la Comunità europea, in conformità, dunque, a quanto stabilito dall’art. 31, par. 2, lett. a), della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati,[20] ma ne ha anche contestualmente ridotto l’efficacia allorché ha, altresì, dichiarato che il rispetto del diritto dell’Unione costituisce un limite alla sovranità degli Stati.[21] Non è dunque da escludere che la Corte, ove fosse chiamata a pronunciarsi circa la decisione oggetto del presente commento, ben potrebbe ricorrere a tale argomento per limitarne l’efficacia interpretativa adducendone la contrarietà al processo di integrazione sotteso al diritto dell’Unione.
Non sono del tutto assenti, tuttavia, casi in cui la Corte ha fatto ricorso ad un diverso iter argomentativo, enfatizzando il ruolo della volontà delle parti di un accordo internazionale. Ad esempio, nel caso Commissione c. Regno Unito la Corte di giustizia ha dovuto verificare se fosse nell’intenzione delle parti del Trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica l’utilizzo dell’energia nucleare a scopi militari, e per sciogliere tale nodo interpretativo ha fatto riferimento ai lavori preparatori.[22] Analogamente, nella sentenza relativa al più recente caso Pringle, i lavori preparatori sono stati oggetto di speculazione da parte della Corte per valutare la compatibilità del Fiscal compact con l’art. 125 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).[23] Ancor più recentemente, nella decisione relativa al caso Inuit la Corte ha espressamente fatto riferimento ai lavori preparatori per sciogliere il nodo interpretativo in relazione alla nozione di “atti regolamentari” ai sensi dell’art. 263, par. 4, TFUE.[24] Tale tendenza è stata, da ultimo, confermata dalla più recente sentenza resa nel caso Gauweiler, in cui la Corte è stata chiamata a pronunciarsi, tra gli altri profili, circa la compatibilità con l’art. 123, TFUE del programma di acquisto di titoli di Stato sui mercati secondari da parte del Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) in base ai parametri principali delle operazioni definitive monetarie approvati dal Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE) nel settembre 2012.[25]
Alla luce di questa recente ma sempre più frequente tendenza della Corte di giustizia volta alla valorizzazione della volontà degli Stati membri tramite il ricorso ai lavori preparatori, non è da escludere la possibilità che, a maggior ragione, non possa riconoscersi un ruolo rilevante anche alla prassi successiva, e che dunque la decisione in questione possa avere una concreta incidenza sul processo interpretativo della Corte di giustizia dei Trattati istitutivi proprio in tale prospettiva.
IV. Osservazioni conclusive
La prassi degli Stati membri dell’Unione di ricorrere ad accordi internazionali, piuttosto che utilizzare gli strumenti propri del sistema istituzionale dell’UE, non è nuova.
È tuttavia da rilevare che, finora, tali accordi sono stati tendenzialmente utilizzati per accelerare il processo di integrazione europea ad opera di un gruppo di Stati, oppure per favorire la partecipazione di tutti gli Stati membri alle riforme del sistema. La decisione oggetto del presente contributo sembra, invece, inscriversi in una tendenza diametralmente opposta, in quanto mira a riaffermare la sovranità degli Stati membri a discapito di un processo di integrazione sempre maggiore, che sembrava rappresentare un corso inarrestabile.
Non solo, infatti, sotto il profilo contenutistico essa sembra attestare una battuta d’arresto nei confronti del processo di integrazione sotteso ai Trattati istitutivi dell’Unione, ma la stessa scelta di ricorrere ad un accordo internazionale rappresenta un “curios legal phenomenon that fits oddly with the vision of the European Union as an autonomous legal order with its own legal instruments, its own system of decision-making, enforcement and judicial control. The reference to complementary international agreements signifies that the Member States sought to preserve the possibility to exit from the ‘autonomous legal order’ and revert to traditional international law-making in order to perform certain tasks connected with the European integration project”.[26]
La decisione adottata in sede di Consiglio europeo il 18 e 19 febbraio 2016 sembra pertanto rispondere all’esigenza degli Stati membri di ritagliarsi un ruolo sempre più incisivo nella determinazione del contenuto normativo del diritto dell’Unione europea, a detrimento delle funzioni specificatamente assegnate dai Trattati stessi alle istituzioni dell’UE.
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European Papers, Vol. 1, 2016, No 1, European Forum, Insight of 16 April 2016, pp. 177-184
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/14
* Giulia D’Agnone, Dottore di ricerca in Diritto internazionale e dell’Unione europea, Università degli Studi di Macerata, giulia.dagnone@gmail.com.
[1] Conclusioni EUCO 1/16 del Consiglio europeo adottate nella riunione del 18 e 19 febbraio 2016.
[2] Progetto di decisione EUCO 4/16 dei capi di Stato o di Governo riuniti in sede di Consiglio europeo concernente una nuova intesa per il Regno Unito nell’Unione europea.
[3] Lettera del primo ministro David Cameron al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, A New Settlement for the United Kingdom in a Reformed European Union, 10 novembre 2015. Si veda anche il commento di C. Curti Gialdino, La richiesta britannica di rinegoziare taluni impegni europei: prime considerazioni sulla lettera del premier Cameron al presidente del Consiglio europeo Tusk, in Federalismi.it, 9 dicembre 2015. In merito alla complessità dei testi giuridici adottati a seguito dell’incontro del 18 e 19 febbraio e alla loro natura giuridica, si veda S. Peers, The Final UK/EU Renegotiation Deal: Legal Status and Legal Effect, in EU Law Analysis, 21 febbraio 2016.
[4] V. sez. A del documento.
[5] Comunicato stampa 23/16 del Consiglio europeo, Lettera del presidente Donald Tusk ai membri del Consiglio europeo sulla sua proposta concernente una nuova intesa per il Regno Unito nell’Unione europea, 2 marzo 2016.
[6] Si veda l’affermazione contenuta nella lettera secondo la quale: “[è] in questo spirito che presento una proposta concernente una nuova intesa per il Regno Unito nell’UE”.
[7] Punto 3, lett. iii), delle conclusioni.
[8] Risoluzione del Consiglio europeo sulla creazione del sistema monetario europeo (SME) e questioni connesse del 5 dicembre 1978, dallo stesso Consiglio europeo qualificata come una serie di “decisioni”.
[9] V.H. Labayle, Brexit: un arrangement, vraiment? un départ, enfin?, in Espace de liberté, sécurité et justice, 21 febbraio 2016.
[10] Si veda il par. 4 dell’opinione del servizio giuridico del Consiglio dell’Unione europea dell’8 febbraio 2016: “[l]ike was the case for the two previous examples of 1992 and 2009, the draft Decision of the Heads of State or Government in the present case is an instrument of international law by which the 28 Member States agree on a joint interpretation of certain provisions of the EU Treaties and on principles and arrangements for action in related circumstances”. L’accordo, una volta entrato in vigore, dovrà dunque essere registrato ai sensi dell’art. 102 della Carta delle Nazioni Unite.
[11] Allegato I delle conclusioni dei capi di Stato o di Governo riuniti in sede di Consiglio europeo dell’11 e 12 dicembre 1992.
[12] Allegato I delle conclusioni del dei capi di Stato o di Governo riuniti in sede di Consiglio europeo del 18 e 19 giugno 2009.
[13] Si vedano le già citate decisioni relative alla ratifica del Trattato di Maastricht e di Lisbona, alle note 11 e 12.
[14] Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria del 2 marzo 2012. Si vedano, al riguardo, tra gli altri, R. Adam, La riforma del governo economico dell’Unione europea, in M.E. Bartoloni, A. Caligiuri, B. Ubertazzi (a cura di), L’Unione europea e la riforma del del governo economico della zona euro, Napoli: Editoriale scientifica, 2013, p. 5 et seq.; R. Baratta, Legal Issues of the ‘Fiscal compact’. Searching for a Mature Democratic Governance of the Euro, in Il Diritto dell’Unione europea, 2012, p. 647 et seq.; R. Cisotta, La crisi del debito sovrano e gli interventi dell’UE: dai primi strumenti finanziari al Fiscal Compact, in Il Diritto dell’Unione europea, 2012, p. 323 et seq.; P. Craig, The Stability, Coordination and Governance Treaty: Principle, Politics and Pragmatism, in European Law Review, 2012, p. 231 et seq.; L.S. Rossi, ‘Fiscal Compact’ e Trattato sul Meccanismo di Stabilità: aspetti istituzionali e conseguenze dell’integrazione differenziata dell’UE, in Il Diritto dell’Unione europea, 2012, p. 293 et seq.; G.L. Tosato, I vincoli europei sulle politiche di bilancio, in Studi sull’integrazione europea, 2012, p. 257 et seq.; M. Ruffert, The European Debt Crisis and European Union Law, in Common Market Law Review, 2011, p. 1777 et seq.
[15] Accordo fra i governi degli Stati dell'Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni del 14 giugno 1985.
[16] Sul ruolo della Convenzione di Vienna del 1969 nell’ambito del sistema dell’Unione, si veda Corte di giustizia, sentenza del 16 giugno 1998, caso C-162/96, A. Racke GmbH & Co. c. Hauptzollamt Mainz, e sentenza del 25 febbraio 2010, caso C-386/08, Brita GmbH c. Hauptzollamt Hamburg Hofen.
[17] Si veda Corte di giustizia, sentenza dell’8 aprile 1976, caso C-43/75, Gabrielle Defrenne c. SA Sabena, par. 61-64, secondo la quale sarebbe esclusa tanto agli Stati membri che alle istituzioni dell’Unione la possibilità di menomare l’efficacia diretta di norme dell’Unione mediante norme d’attuazione.
[18] R.K. Gardiner, Treaty Interpretation, New York: Oxford University Press, 2015, p. 136. Si veda anche K. Lenaerts, J.A. Gutiérrez-Fons, To Say What the Law of the EU Is: Methods of Interpretation and the European Court of Justice, in European University Institute Working Papers, 2013.
[19] Si vedano, tra i numerosi autori che hanno analizzato le tecniche di interpretazione utilizzate dalla Corte di giustizia, P. Jan Kuijper, The Court and the Tribunal of the EC and the Vienna Convention on the Law of Treaties 1969, in Legal Issues of European Integration, 1999, p. 1 et seq.; A.E. Bredimas, Methods of Interpretation and Community Law, Amsterdam, New York, Oxford: North Holland Publishing Company, 1978; J. Martens de Wilmars, Reflexions sur les Méthodes d'Interpretation de la Cour de Justice des Communautés Européennes, in Cahiers de droit européen, 1986, p. 5 et seq.; G. Beck, The Legal Reasoning of the Court of Justice of the EU, Oxford: Hart Publishing, 2013.
[20] Corte di giustizia, sentenza del 2 marzo 2010, caso C-135/08, Janko Rottman c. Freistaat Bayern, par. 40.
[21] Janko Rottman c. Freistaat Bayern, cit., par. 45.
[22] Corte di giustizia (Grande Sezione), sentenza del 12 aprile 2005, caso C-61/03, Commissione c. Regno Unito, par. 29.
[23] Corte di giustizia, sentenza del 27 novembre 2012, caso C-370/12, Thomas Pringle c. Irlanda, par. 135.
[24] Corte di giustizia (Grande Sezione), sentenza del 3 ottobre 2013, caso C-583/11, P Inuit Tapiriit Kanatami et al. c. Parlamento europeo e Consiglio dell'Unione europea, par. 70-71.
[25] Corte di giustizia (Grande Sezione), sentenza del 16 giugno 2015, caso C-62/14, Peter Gauweiler et al. c. Deutscher Bundestag, par. 99-100.
[26] B. De Witte, Using International Law for the European Union’s Domestic Affairs, in E. Cannizzaro, P. Palchetti, R.A. Wessel (eds), International Law as Law of the European Union, Leiden, Boston: Martinus Nijhoff Publishers, 2012, p. 133 et seq., p.143.