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Abstract: This Insight focuses on the recent ruling delivered by the Italian Constitutional Court (ICC) on April 10th 2018, n. 115 (which has been lodged on May 31st 2018), on the so called Taricco affair. The author submits three main arguments. The first is that the ICC, by explicitly rejecting the possible compliance of the “Taricco rule” with both national legal order and EU law by virtue of the violation of the principle of legal certainty, impedes per se, erga omnes and pro futuro the application of such rule by Italian judges. The second is that the ICC implicitly denies the direct effect of Art. 325 TFEU, as well as of the Taricco rule: not even the Court of Justice may render directly effective a provision, such as Art. 325, paras 1 and 2, TFEU, that does not seem to be neither sufficiently clear nor unconditional. The third argument is that the ICC’s judicial activism in the field is the result of the undue judicial restraint and argumentative minimalism on the part of the Court of Justice with respect to the constitutional principles of EU law par excellence, i.e., direct effect and primacy.
Keywords: Taricco – direct effect – counterlimits – legality principle – legal certainty – Art. 325 TFEU.
I. Inapplicabilità assoluta della “regola Taricco”, identità costituzionale e art. 49 della Carta
La Corte costituzionale, con sentenza n. 115, depositata il 31 maggio 2018,[1] motiva quanto aveva affermato, all’udienza del 10 aprile, circa significato, portata, estensione e limiti della c.d. regola Taricco sul calcolo della prescrizione per i reati in materia di IVA, enucleata dalla Corte di giustizia con sentenza dell’8 settembre 2015,[2] affinata e circoscritta, con pronuncia emessa dalla Grande Sezione il 5 dicembre 2017,[3] a seguito del rinvio pregiudiziale effettuato dalla Consulta con ordinanza n. 24/2017.[4]
Nel comunicato del 10 aprile[5] è stabilito che i giudici italiani “non sono tenuti ad applicare la ‘regola Taricco’” e, dunque, che per i reati in materia di IVA “rimangono applicabili gli articoli 160, ultimo comma, e 161 del codice penale”. Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge di autorizzazione alla ratifica del trattato di Lisbona (n. 130/2008), là dove dà esecuzione all’art. 325 TFUE, sollevate dalla Corte di cassazione e dalla Corte di appello di Milano, pertanto, sono state dichiarate infondate perché originavano dal presupposto che la regola Taricco fosse di per sé applicabile nei giudizi in corso. Una volta negata, con la sentenza Taricco bis, per come interpretata dai giudici costituzionali, l’esistenza di questo presupposto, cade altresì il possibile contrasto, rilevato dal Giudice delle leggi con ordinanza n. 24/2017, con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale, in particolare con il principio di legalità in materia penale sancito nell’art. 25, comma 2, della Costituzione. È scritto, infatti, nel comunicato, che la regola Taricco non può trovare attuazione “né ai fatti anteriori all’8 settembre 2015 (e dunque nei giudizi a quibus) né quando il giudice nazionale ravvisi un contrasto con il principio di legalità in materia penale”.
Nella sentenza n. 115 la Consulta muove dalla considerazione che la Corte di giustizia, in Taricco bis, per un verso, conferma “i contorni della ‘regola Taricco’”, per l’altro, individua nella “duplice componente della determinatezza e del divieto di retroattività” i due limiti alla sua applicazione.[6] Irretroattività e determinatezza sono, cioè, elementi costitutivi del principio di legalità.
In questo quadro, la Corte costituzionale sottolinea che la pronuncia Taricco bis della Corte di giustizia opera su due piani connessi: sotto il profilo dell’irretroattività, il divieto di applicazione della regola Taricco ai fatti anteriori all’8 settembre 2015 “discende immediatamente dal diritto dell’Unione e non richiede alcuna ulteriore verifica da parte delle autorità giudiziarie nazionali”; sotto il profilo della determinatezza, per giungere a disapplicare la normativa nazionale in tema di prescrizione, “è necessario che il giudice nazionale effettui uno scrutinio favorevole in merito alla compatibilità della ‘regola Taricco’” con detto principio, che è “sia principio supremo dell’ordine costituzionale italiano, sia cardine del diritto dell’Unione, in base all’articolo 49 della Carta” dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta).[7]
Dalla lettura della sentenza si evince che la questione della determinatezza è certamente quella più “spinosa”. È sufficiente ricordare, come fa la Consulta,[8] che uno degli imputati nel processo dinanzi alla Corte di cassazione, nel richiedere, con la sua memoria, l’adozione di una sentenza interpretativa di rigetto (anziché una pronuncia d’inammissibilità o di restituzione degli atti al giudice a quo), sottolinea che spetta ai giudici costituzionali fornire “fondamentali criteri di interpretazione alle Corti chiamate a pronunciarsi nei procedimenti a quibus” e “ribadire i termini del rapporto tra diritto interno e diritto dell’Unione quando quest’ultimo incida sulla tutela dei diritti fondamentali della persona”.[9] Il problema principale è capire se la regola Taricco, anche con riferimento alla parte relativa al par. 2 dell’art. 325 TFUE – rispetto alla quale la decisione Taricco bis, soprattutto nel par. 59,[10] è più sibillina di quanto viene affermato in merito al par. 1, come correttamente osservato dalla Consulta[11] – costituisca una base legale “sufficientemente determinata da consentire al giudice nazionale di disapplicare la disciplina interna della prescrizione dei reati tributari”.[12]
La domanda centrale è se, per “gli illeciti” posti in essere in epoca successiva all’8 settembre 2015, il giudice nazionale sia obbligato alla disapplicazione in malam partem scaturente dall’applicazione dell’art. 325, par. 1 e 2, TFUE, oppure se una tale disapplicazione contrasti con “il principio di legalità penale, nel suo corollario della determinatezza, sia con riferimento al principio di effettività che a quello di assimilazione”.[13] L’Alta Corte si pronuncia in questo secondo senso, rendendo una sentenza interpretativa di rigetto – per ampiezza e profondità della motivazione, abbastanza atipica, in verità –, e, in quest’ottica, si discosta da quanto auspicato da uno degli imputati nel processo instauratosi innanzi alla Corte d’appello di Milano, secondo il quale gli atti avrebbero dovuto essere restituiti al giudice remittente dal momento che la causa Taricco bis avrebbe mutato la norma oggetto di controllo, costituendo una forma di ius supervieniens.[14]
In linea con quanto osservato nell’ordinanza n. 24/2017, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 115, facendo perno sul par. 53 di Taricco[15] e, in particolare, sul par. 46 di Taricco bis,[16] stabilisce che la regola Taricco non possa trovare spazio nell’ordinamento interno in quanto confliggente con l’identità costituzionale dello Stato italiano.
Ponendosi, invece, perlomeno ad avviso di chi scrive, al di fuori del perimetro argomentativo tracciato con ordinanza n. 24/2017, la Consulta, sulla base del par. 55 di Taricco[17] e, in particolare, dei par. 51-53 di Taricco bis,[18] individua, espressamente, nel diritto UE, ossia nell’art. 49 della Carta, la base giuridica per “scartare” la regola Taricco. L’inapplicabilità della regola Taricco – precisano i giudici costituzionali – “ha la propria fonte non solo nella Costituzione repubblicana, ma nello stesso diritto dell’Unione, sicché ha trovato conferma l’ipotesi tracciata da questa Corte con l’ordinanza n. 24 del 2017, ovvero che non vi sia alcuna ragione di contrasto”. Da qui la conclusione che la violazione del principio di determinatezza in materia penale “sbarr[i] la strada senza eccezioni all’ingresso della ‘regola Taricco’ nel nostro ordinamento”.[19]
È proprio così? È l’ancoraggio all’ordinamento europeo, posto in essere dalla Corte costituzionale, condivisibile e, in quanto tale, opportuno?
II. L’intreccio tra determinatezza, riserva di legge ed effetto diretto dell’art. 325 TFUE (e della regola Taricco)
La lettura che la Corte costituzionale dà della sentenza Taricco bis, così come del diritto dell’Unione, per come sarebbe stato interpretato dalla Corte di giustizia, mi pare “faccia dire” a quest’ultima quanto i giudici europei non hanno mai affermato. Un piano è quello, astratto, del merito delle argomentazioni, più o meno condivisibili, formulate dalla Consulta, con riguardo all’efficacia dell’art. 325 TFUE e alla natura giuridica del regime di prescrizione; un altro è il tenore del ragionamento formulato dal Giudice delle leggi, considerata sia la funzione che egli esercita quando “in gioco” c’è il diritto dell’Unione sia le conseguenze che un tale ragionamento determina in tema di diritti fondamentali, anche a prescindere dalla saga Taricco.
La Corte di giustizia, in Taricco bis, non ha messo in discussione se stessa, “rinnegando” l’assunto per cui la regola Taricco, stabilita circa due anni prima, sarebbe compatibile con l’ordinamento UE, in primis con l’art. 49 della Carta. Mi sembra che la Consulta sia, invece, di questo avviso. L’articolata sentenza n. 115 denota la volontà dei giudici costituzionali di sedimentare, per una via alternativa all’invocazione esplicita del controlimite, una differente, opposta concezione della relazione tra diritto UE e ordinamento nazionale. A una lettura superficiale, il tono sembra conciliante e dialogante. In verità, ho l’impressione che lo sia molto poco, come dimostra la circostanza che riferimenti alle tradizioni costituzionali comuni, presenti nell’ordinanza n. 24/2017,[20] scompaiono nella sentenza n. 115, a favore del solo richiamo all’identità costituzionale, principio, questo, per sua natura, rivendicativo e conflittuale.[21]
Non è certo se l’approccio adottato nella sentenza n. 115 preannunci l’inizio di un orientamento innovativo, ispirato da empiti di judicial activism ed intenti di ricostruzione sistemica dei rapporti inter-ordinamentali difficilmente compatibili con la giurisprudenza dell’Unione, in particolare con l’immagine che di sé ha la Corte di giustizia e con il ruolo che essa deve assumere nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto dell’Unione. Insomma, non è certo se la pronuncia n. 115 si ponga, in questo senso, nella stessa direzione della sentenza n. 269/2017, depositata dalla Consulta il 14 dicembre 2017. Solo il tempo e la successiva giurisprudenza ce lo diranno.
Ma andiamo per ordine e concentriamoci sulle criticità che la sentenza n. 115 solleva. Criticità che, a mio avviso, ruotano intorno alle relazioni pericolose tra principio della determinatezza e quello dell’effetto diretto. Al riguardo, la Consulta correttamente precisa che, in base al diritto dell’Unione, il principio della determinatezza è requisito del principio di legalità dei reati e delle pene, insieme alla prevedibilità e all’irretroattività. Peraltro, rientra nelle prerogative della Corte costituzionale l’accertamento della legittimità costituzionale della regola Taricco, trattandosi di contrasto tra ordinamento dell’Unione e salvaguardia dei principi supremi dell’ordine costituzionale, in particolare dei diritti inalienabili della persona. Che la Consulta abbia attratto a sé, in via esclusiva, un tale controllo, di per sé non sorprende più di tanto.[22]
A sollevare perplessità sono i par. 10-14 della sentenza, a iniziare dall’assunto da cui muove la Corte costituzionale: “riconoscere solo sulla base della sentenza M.A.S. l’avvenuta prescrizione significherebbe comunque fare applicazione della “regola Taricco”, sia pure individuandone i limiti temporali”.[23] Ciò sarebbe inammissibile: sottolineano, infatti, i giudici costituzionali che, “indipendentemente dalla collocazione dei fatti, prima o dopo l’8 settembre 2015, il giudice comune non può applicare loro la ‘regola Taricco’” dal momento che essa vìola il principio di determinatezza.[24]
I passaggi successivi sono piuttosto sorprendenti perché, per il tramite di una libera e costituzionalmente – anziché comunitariamente – orientata interpretazione della sentenza Taricco bis, la Consulta adopera il parametro della determinatezza quale strumento per ritenere, una volta per tutte, senza se e senza ma e con valenza erga omnes, sia la regola Taricco sia, a monte, l’art. 325, par. 1 e 2, TFUE, inidonei a determinare la disapplicazione del diritto nazionale. In primo luogo, nelle situazioni coperte da entrambe le disposizioni,[25] il giudice penale non disporrebbe di solidi criteri ermeneutici per ricavare una regola definita, in quanto tale applicabile nelle singole controversie. In secondo luogo, l’art. 325 TFUE non darebbe modo al singolo di “prospettarsi la vigenza della ‘regola Taricco’”.[26] L’enunciato insito nella regola Taricco non può fornire sufficiente concretezza alla norma europea in ragione della sua genericità. Il discorso non cambia anche qualora detta regola dovesse essere ulteriormente precisata dalla Corte di giustizia, nel suo contenuto, nella giurisprudenza successiva, ad esempio con riferimento alla nozione di “numero considerevole di casi” o al concetto di “frode grave”.[27] Il nucleo concettuale che indirizza la Consulta sta nella considerazione che solo il legislatore può perseguire compiti di politica criminale come quello di estendere i termini di prescrizione, mai il giudice, poco importa che sia nazionale o europeo. Non rileva che sia la Corte di giustizia l’unico soggetto competente a fornire, ai sensi dell’art. 267 TFUE, un’interpretazione dei trattati autentica, definitiva e vincolante per tutte le giurisdizioni nazionali. Nulla potrebbe “colmare l’eventuale originaria carenza di precisione del precetto penale”.[28]
L’impianto argomentativo approntato dalla Corte costituzionale richiama il convitato di pietra, già comparso nell’ordinanza n. 24/2017,[29] di tutta la vicenda Taricco: il principio della separazione dei poteri e il connesso canone della riserva di legge. Riserva posta, nella sentenza n. 115, in un collegamento funzionale con la dottrina dell’effetto diretto. Né l’art. 325 TFUE né la regola Taricco sono, ad avviso della Corte costituzionale, sufficientemente determinati: il primo per come è formulato, la seconda perché è creazione giurisprudenziale e, dunque, secondo la Consulta, insuscettibile, di per sé, attraverso il riempimento di contenuto di una norma primaria, a generare effetti diretti.[30] Qualsiasi regola di derivazione giurisprudenziale si surrogherebbe “integralmente alla praevia lex scripta, con cui si intende garantire alle persone la sicurezza giuridica delle consentite, libere scelte d’azione”.[31]
Il nesso tra determinatezza, riserva di legge ed effetto diretto emerge con chiarezza laddove la Consulta, nonostante ribadisca che “compete alla sola Corte di giustizia interpretare con uniformità il diritto dell’Unione, e specificare se esso abbia effetto diretto”,[32] in questo modo formalmente ancorando il proprio ragionamento alla giurisprudenza UE, esclude, subito dopo, che “un esito interpretativo non conforme al principio di determinatezza in campo penale […] p[ossa] avere cittadinanza nel nostro ordinamento”.[33] L’ordinamento italiano è impermeabile all’ingresso dell’art. 325 TFUE e della regola Taricco perché, indipendentemente dal fatto che lo si qualifichi come sostitutivo oppure oppositivo,[34] l’effetto prodotto da una loro applicazione congiunta, proprio in ragione della loro indeterminatezza, non consentirebbe al singolo di azionare efficacemente una norma/una regola giurisprudenziale o d’invocare un diritto/una prerogativa ivi sotteso/a.[35]
Ora, non mi pare che in Taricco l’ordine di disapplicazione, individuato dalla Corte di giustizia nella prima sentenza, sottoposto a un caveat significativo in Taricco bis, sia il risultato del principio del primato e dell’effetto diretto, di tipo sostitutivo oppure oppositivo, con buona pace di Simmenthal.[36] La Corte di Lussemburgo, dal canto suo, pare dell'avviso opposto: pur non dichiarando espressamente che l’art. 325 TFUE è direttamente efficace, sembra ritenere che lo sia laddove puntualizza, sia in Taricco che in Taricco bis, che l’art. 325 TFUE pone a carico degli Stati membri un obbligo di risultato preciso e non accompagnato da alcuna condizione.[37] Riscontrare l’esistenza dei classici presupposti dell’effetto diretto, tuttavia, non significa, automaticamente, che essi siano soddisfatti. Una tale affermazione va argomentata: è quanto la Corte di giustizia non fa né in Taricco né in Taricco bis. Lo avrebbe dovuto fare, però, al fine di sciogliere le incertezze applicative scaturenti dall’art. 325 TFUE.
La Corte costituzionale, nell’escludere la determinatezza del precetto, de facto, nega che esso sia sufficientemente chiaro, preciso e soprattutto incondizionato,[38] cioè direttamente efficace. Piuttosto che identificare un nuovo presupposto dell’effetto diretto, si serve di un concetto differente per pervenire alla medesima conclusione. A ben vedere, la determinatezza, al cuore del ragionamento della Corte costituzionale sull’efficacia interna dell’art. 325 TFUE, in quanto associata al principio della riserva di legge, mi pare che funga da controlimite, implicito, generalizzato e pro futuro, al riconoscimento dell’effetto diretto di una norma UE (art. 325 TFUE), e della giurisprudenza che intende interpretarla (regola Taricco), piuttosto che alla penetrazione di una norma – ritenuta direttamente efficace dalla Corte di giustizia – nel nostro ordinamento.
Nel merito, quanto all’efficacia diretta dell’art. 325 TFUE, il ragionamento della Consulta è in linea con quel che detta dottrina/teoria è e richiede, perlomeno ad avviso di chi scrive: l’incondizionatezza di un precetto, la sua consapevole invocazione da parte del singolo e la sua applicabilità, nel caso di specie, da parte del giudice, a condizione che la norma conferisca un diritto, una posizione giuridica soggettiva al singolo o, perlomeno, che da essa derivi un vantaggio per quest’ultimo. Caratteristiche assenti nell’art. 325 TFUE.[39]
Quel che sorprende è che la Corte costituzionale accentri su di sé il potere di definire quel che è direttamente efficace e quel che non lo è e, soprattutto, che escluda, a monte, la possibilità che una norma del trattato sia resa determinata dall’attività ermeneutica della Corte di giustizia. Rappresenta un pilastro del diritto UE l’idea che una norma possa dotarsi di diretta efficacia grazie ai giudici di Lussemburgo.[40] Ciò ha permesso alla Corte di giustizia, da Van Gend & Loos[41] in poi, di rendere operativi precetti, a iniziare da quelli contenuti nelle norme primarie in tema di libera circolazione, i quali, senza l’intervento del giudice europeo, non sarebbero stati considerati direttamente efficaci.
Una tale ricostruzione della sentenza n. 115, se corretta, rende palese il radicale mutamento di prospettiva rispetto alla pregressa giurisprudenza costituzionale. Segna, a breve termine, la ricomposizione del conflitto con la Corte di giustizia, per quel che concerne la saga Taricco, ma, in prospettiva, comporta (volutamente?), come effetto collaterale, quello di aprire a un rapporto più dialettico che dialogico, perfino oppositivo, con Lussemburgo.
Potrebbe ritenersi che un tale approccio, orientato a consacrare, a livello di diritto UE, le esigenze di democratizzazione insite nel diritto penale, valga solamente per questo ambito del diritto, in particolare in caso di applicazione in malam partem del diritto UE. Se fosse così, il potenziale dirompente della sentenza n. 115, pur restando significativo, risulterebbe attenuato.
III. Tutela dei diritti fondamentali e controllo accentrato (esclusivo e prioritario) di costituzionalità: il judicial activism della Con-sulta quale prodotto del self-restraint della Corte di giustizia
La sentenza n. 115, a mio modo di vedere, va indagata insieme all’obiter dictum di cui alla sentenza n. 269/2017.[42] Una loro lettura congiunta mostra la volontà, da parte della Corte costituzionale, di effettuare un controllo accentrato, preventivo ed esclusivo (anche in termini di rapporti con la Corte di giustizia, nell’ambito dell’art. 267 TFUE) in materia di diritti fondamentali.[43] Un controllo che esautora il giudice comune e la stessa Corte di giustizia dall’indagine sull’efficacia, negli ordinamenti nazionali, del diritto UE, da svolgere, peraltro, da parte della Consulta, anche a prescindere dalla summa divisio tra norme direttamente efficaci e norme non direttamente efficaci.[44] I destinatari della sentenza n. 269, così come della sentenza n. 115, sono sia i giudici del Kirchberg sia i tribunali nazionali. I primi sono avvisati: garante dei diritti fondamentali, in Italia, è la Corte costituzionale la quale, essa in prima persona e non i giudici interni, potrà decidere di sottoporre un quesito pregiudiziale alla Corte di giustizia. I secondi sono invitati a sollevare, sempre, questione di costituzionalità, in via prioritaria, qualora vi siano le condizioni per un contrasto tra diritto UE e norme nazionali a tutela dei diritti fondamentali. Da qui, peraltro, la differenza con la sentenza Melki,[45] dove la Corte di giustizia non mette in discussione in toto il sistema francese, modulato sulla question prioritaire de constitutionnalité, in ragione del fatto che il Conseil constitutionnel, adito dalla Cour de Cassation, non accentra solo su di sé, come pare fare la Consulta nella sentenza n. 269, la competenza a effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. La Consulta, in entrambe le sentenze, intende cristallizzare la sua naturale vocazione a verificare l’eventuale violazione della Carta costituzionale, a prescindere da quel che la Corte di giustizia ha stabilito nella sua giurisprudenza. I rischi di un controllo diffuso, da parte del giudice comune, sono chiari se si tiene conto, quanto alla vicenda Taricco, che, con pronuncia n. 9494/2018, la Corte di cassazione, successivamente a Taricco bis e qualche mesa prima del deposito della sentenza n. 115, applica direttamente la regola Taricco e, nel farlo, ne limita gli effetti temporali ex tunc.[46]
Il desiderio di accentrare a sé e non subire derive altrimenti non condivisibili è particolarmente evidente anche se si considera l’atteggiamento assunto dalla Corte di cassazione nei confronti dell’impostazione delineata nella sentenza n. 269: nell’ordinanza n. 3831/2018 la Corte di cassazione si rivolge alla Consulta con lo scopo di ricevere delucidazioni su significato e cogenza del citato obiter dictum,[47] mentre, ancora più recentemente, con sentenza n. 13678/2018, sceglie di rinviare direttamente alla Corte di giustizia, senza passare prima per il controllo del Giudice delle leggi.[48]
In conclusione, la Corte costituzionale chiude la quadra della vicenda Taricco e lo fa sfruttando i vuoti lasciati dal minimalismo argomentativo della Corte di giustizia, dal suo self-restraint, nella saga Taricco e più in generale in merito al funzionamento dei principi del primato e dell’effetto diretto. Insomma, il vizio originario sta, a mio modo di vedere, nel tono apodittico delle affermazioni della Corte di giustizia e nell’assenza, ad oggi, di una visione, a Lussemburgo, su temi costituzionali e principi costituenti dell’ordinamento europeo. Per evitare che l’allontanamento, da parte delle corti nazionali (supreme e non), da detti principi, per come sono interpretati dai giudici UE, si realizzi, per tentare di comprimere al massimo judicial activism e judicial rebellion,[49] in seno agli organi giurisdizionali nazionali, la Corte di giustizia dovrebbe tornare a fare quel che ha fatto, con audacia,[50] a partire dagli anni sessanta e settanta e per un lungo periodo di tempo. Dovrebbe, cioè, “prendere sul serio” il suo ruolo di attore imprescindibile e insostituibile nella concettualizzazione e sistematizzazione dell’efficacia diretta, così come dei principi del primato e dell’effettività/effetto utile che con tale efficacia interagiscono.[51] Quando si tratta di principi, primi inter pares, di un ordinamento, da cui derivano, a cascata, altri principi, sotto principi, rules of reasons, ecc., il giudice dovrebbe prodigarsi il più possibile per ricostruire al meglio istituti e inquadrarli giuridicamente,[52] così da colmare lacune ed evitare i rischi di possibili incongruenze. E un tale compito, quando a essere interpretato e applicato è il diritto UE, spetta alla Corte di Lussemburgo, non alla Corte costituzionale italiana o alle altre corti supreme degli altri Stati membri. Un compito, evidentemente, se ci si trova nell’ambito del diritto penale, da assolvere con particolare cura, nella consapevolezza che eventuali moti di hybris, in questa materia, generano conseguenze a volte inaspettate, sempre particolarmente gravi.
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European Papers, Vol. 3, 2018, No 2, European Forum, Insight of 1 July 2018, pp. 885-895
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/229
* Professore associato di Diritto dell’Unione europea, LUISS Guido Carli di Roma; Recurring Adjunct Professor of EU Law, American University Washington College of Law (DC), dgallo@luiss.it. Questo contributo costituisce la versione, in parte modificata, di un articolo in corso di pubblicazione in C. Amalfitano (ed.) Primato del diritto dell'Unione europea e controlimiti alla prova della “saga Taricco”, Milano: Giuffrè.
[1] Corte costituzionale, sentenza del 10 aprile 2018, n. 115. Per un primo commento v. C. Amalfitano, O. Pollicino, Jusqu’ici tout va bien… ma non sino alla fine della storia. Luci, ombre ed atterraggio della sentenza n. 115/2018 della Corte costituzionale che chiude (?) la saga Taricco, in Diritti comparati, 5 giugno 2018, www.diritticomparati.it; C. Cupelli, La Corte costituzionale chiude il caso Taricco e apre a un diritto penale europeo ‘certo’, in Diritto penale contemporaneo, 4 giugno 2018, www.penalecontemporaneo.it; P. Faraguna, Roma locuta, Taricco finita, in Diritti comparati, 5 giugno 2018, www.diritticomparati.it.
[2] Corte di giustizia, sentenza dell’8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco et al. [GS].
[3] Corte di giustizia, sentenza del 5 dicembre 2017, causa C-42/17, M.A.S. e M.B. [GS] (d’ora in poi Taricco bis).
[4] Corte costituzionale, ordinanza del 26 gennaio 2017, n. 24. Si vedano, inter alia, i contributi pubblicati in A. Bernardi (a cura di), I controlimiti. Primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali, Napoli: Jovene, 2017 e in A. Bernardi, C. Cupelli (a cura di), Il caso Taricco e il dialogo tra Corti. L’ordinanza 24/2017 della Corte costituzionale, Napoli: Jovene, 2017.
[5] Ufficio stampa della Corte costituzionale, comunicato del 10 aprile 2018, Inapplicabile la “regola Taricco” sulla prescrizione, www.giurisprudenzapenale.com.
[6] Corte costituzionale, sentenza n. 115/2018, cit., ritenuto in fatto, par. 12.
[7] Ivi, par. 6.
[8] Ivi, par. 14.
[9] Ibidem.
[10] “Ne deriva, da un lato, che spetta al giudice nazionale verificare se la condizione richiesta dal par. 58 della sentenza Taricco, secondo cui le disposizioni del codice penale in questione impediscono di infliggere sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, conduca a una situazione di incertezza nell’ordinamento giuridico italiano quanto alla determinazione del regime di prescrizione applicabile, incertezza che contrasterebbe con il principio della determinatezza della legge applicabile. Se così effettivamente fosse, il giudice nazionale non sarebbe tenuto a disapplicare le disposizioni del codice penale in questione”. Taricco bis [GS], cit., par. 59.
[11] Ibidem.
[12] Ibidem.
[13] Ibidem.
[14] Ivi, ritenuto in fatto, par. 15.
[15] “Occorre aggiungere che se il giudice nazionale dovesse decidere di disapplicare le disposizioni nazionali di cui trattasi, egli dovrà allo stesso tempo assicurarsi che i diritti fondamentali degli interessati siano rispettati”. Taricco et al. [GS], cit., par. 53.
[16] Taricco bis [GS], cit., par. 46: “[I] giudici nazionali competenti, quando devono decidere, nei procedimenti pendenti, di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione, sono tenuti ad assicurarsi che i diritti fondamentali delle persone accusate di aver commesso un reato siano rispettati”..
[17] Taricco et al. [GS], cit., par. 55: “[C]on riserva di verifica da parte del giudice nazionale, la disapplicazione delle disposizioni nazionali di cui trattasi avrebbe soltanto per effetto di non abbreviare il termine di prescrizione generale nell’ambito di un procedimento penale pendente, di consentire un effettivo perseguimento dei fatti incriminati nonché di assicurare, all’occorrenza, la parità di trattamento tra le sanzioni volte a tutelare, rispettivamente, gli interessi finanziari dell’Unione e quelli della Repubblica italiana. Una disapplicazione del diritto nazionale siffatta non violerebbe i diritti degli imputati, quali garantiti dall’articolo 49 della Carta”.
[18] Taricco bis [GS], cit., par. 51-53: “[S]i deve ricordare l’importanza, tanto nell’ordinamento giuridico dell’Unione quanto negli ordinamenti giuridici nazionali, che riveste il principio di legalità dei reati e delle pene, nei suoi requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività della legge penale applicabile. Tale principio, quale sancito all’articolo 49 della Carta, si impone agli Stati membri quando attuano il diritto dell’Unione, conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della medesima, come avviene allorché essi prevedano, nell’ambito degli obblighi loro imposti dall’articolo 325 TFUE, di infliggere sanzioni penali per i reati in materia di IVA. L’obbligo di garantire l’efficace riscossione delle risorse dell’Unione non può quindi contrastare con tale principio […]. Inoltre, il principio di legalità dei reati e delle pene appartiene alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri”..
[19] Corte costituzionale, sentenza n. 115/2018, cit., considerato in diritto, par. 14.
[20] Corte costituzionale, ordinanza n. 24/2017, cit., par. 6-8.
[21] V., per tutti, F.-X. MILLET, L’Union européenne et l’identité constitutionnelle des Etats membres, Parigi: Librairie générale de droit et de jurisprudence, 2013 e G. Di Federico, L’identità nazionale degli Stati membri nel diritto dell’Unione europea. Natura e portata dell’art. 4, par. 2 TUE, Napoli: Editoriale Scientifica, 2017.
[22] Corte costituzionale, sentenza n. 115/2018, cit., considerato in diritto, par. 8.
[23] Ivi, par. 10.
[24] Ibidem.
[25] In particolare, sul par. 2, cfr. ivi, par. 13.
[26] Ivi, par. 11.
[27] Taricco et al. [GS], cit., par. 58.
[28] Corte costituzionale, sentenza n. 115/2018, cit., considerato in diritto, par. 11.
[29] Corte costituzionale, ordinanza n. 24/2017, cit., par. 5, su cui si rimanda alle osservazioni in D. Gallo, Controlimiti, identità nazionale e i rapporti di forza tra primato ed effetto diretto nella saga Taricco, in Il Diritto dell’Unione europea, 2017, p. 249 et seq., spec. p. 271.
[30] Corte costituzionale, sentenza n. 115/2018, cit., considerato in diritto, par. 11, dove è scritto che “l’ausilio interpretativo del giudice penale non è che un posterius incaricato di scrutare nelle eventuali zone d’ombra, individuando il significato corretto della disposizione nell’arco delle sole opzioni che il testo autorizza e che la persona può raffigurarsi leggendolo”.
[31] Ivi, par. 12.
[32] Ibidem.
[33] Ibidem.
[34] Sulla dicotomia effetto diretto sostitutivo/effetto diretto oppositivo e sulla possibile dissociazione tra disapplicazione ed effetto diretto v. amplius D. Gallo, L’efficacia diretta del diritto dell’Unione europea negli ordinamenti nazionali. Evoluzione di una dottrina ancora controversa, Milano: Giuffrè, 2018, spec. p. 213 et seq. e 351 et seq.
[35] Ibidem.
[36] Corte di giustizia, sentenza del 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal.
[37] Taricco et al. [GS], cit., par. 51; Taricco bis [GS], cit., par. 38.
[38] Sul requisito dell’incondizionatezza che assorbirebbe chiarezza e precisione v. D. Gallo, L’efficacia diretta del diritto dell’Unione europea, cit., p. 202 et seq.
[39] Sul core dell'effetto diretto e sulle ipotesi nelle quali l’effetto diretto scompare a beneficio del solo primato (e della conseguente disapplicazione del diritto nazionale) v. D. Gallo, L’efficacia diretta del diritto dell’Unione europea, cit., p. 163 et seq. e 351 et seq.
[40] M. Cartabia, M. Gennusa, Le fonti europee e il diritto italiano, Torino: Giappichelli, 2011, spec. p. 35, mettono in evidenza che l’effetto diretto c’è quando lo stabilisce la Corte di giustizia.
[41] Corte di giustizia, sentenza del 5 febbraio 1963, causa 26/62, NV Algemene Transport- en Expeditie Onderneming van Gend & Loos c. Amministrazione olandese delle imposte.
[42] Corte costituzionale, sentenza n. 269/2017, cit., par. 5.2: “[L]e violazioni dei diritti della persona postulano la necessità di un intervento erga omnes di questa Corte, anche in virtù del principio che situa il sindacato accentrato di costituzionalità delle leggi a fondamento dell’architettura costituzionale (art. 134 Cost.). La Corte giudicherà alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli europei (ex artt. 11 e 117 Cost.), secondo l’ordine di volta in volta appropriato, anche al fine di assicurare che i diritti garantiti dalla citata Carta dei diritti siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali, pure richiamate dall’art. 6 del Trattato sull’Unione europea e dall’art. 52, comma 4, della CDFUE come fonti rilevanti in tale ambito. In senso analogo, del resto, si sono orientate altre Corti costituzionali nazionali di antica tradizione”.
[43] A. Barbera, La Carta dei diritti: per un dialogo tra la Corte italiana e la Corte di giustizia, in Rivista AIC, 6 novembre 2017, www.rivistaaic.it.
[44] Di summa divisio parla L.-J. Constantinesco, L’applicabilité directe dans le droit de la CEE, Bruxelles: Bruylant, 2006, p. 5 et seq.
[45] Corte di giustizia, sentenza del 22 giugno 2010, cause riunite C-188/10 e C-189/10, Melki e Abdeli [GS].
[46] Corte di cassazione, sentenza del 2 marzo 2018, n. 9494.
[47] Corte di cassazione, ordinanza del 16 febbraio 2018, n. 3831.
[48] Corte di cassazione, ordinanza del 30 maggio 2018, n. 13678.
[49] Locuzione adoperata da D. Sarmiento, An Instruction Manual to Stop a Judicial Rebellion (before it is too late, of course), in Verfassungsblog 2 febbraio 2017, verfassungsblog.de.
[50] Sul punto v. G. Tesauro, Il dialogo tra giudice comunitario e giudice italiano come fattore insostituibile di crescita del sistema giuridico comunitario, in Studi in onore di Umberto Leanza, Napoli: Editoriale Scientifica, 2008, p. 1363 et seq., spec. p. 1367.
[51] V. le osservazioni svolte in D. Gallo, L’efficacia diretta del diritto dell’Unione europea, cit., p. 419 et seq.
[52] Sul ruolo del giudice in contesti nazionali e sovranazionali v., per tutti, le considerazioni di A. Barak, Foreword: A Judge on Judging: The Role of a Supreme Court in a Democracy, in Harvard Law Review, 2002, p. 19 et seq.