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Abstract: This Insight focuses on a – apparently overlooked – passage of the decision M.A.S and M.B. (judgment of 5 December 2017, case C-42/17 [GC], or Taricco II), referring to the Directive 2017/1371. The Court of Justice seemingly assumes that the Directive imposes to the Member States to consider criminal limitations as having procedural nature. In the view of the Author, this interpretation is at variance with the text of the Directive and inconsistent with its broad logic. Nonetheless, a more thoroughly consideration of the Directive could have permitted to avoid a dramatic conflict between the Court of Justice and the Italian Constitutional Court, which ultimately led the latter Court to set aside the ruling of the former in Taricco (judgment of 8 September 2015, case C-105/14, Taricco et al. [GC]).
Keywords: Directive 2017/1371 – European criminal law – harmonization of limitation periods – Taricco – legal certainty – Art. 325 TFEU.
I. Introduzione
Come ormai ben noto, il caso Taricco ha dato luogo ad un nuovo conflitto tra la Corte di giustizia dell’Unione europea e la Corte costituzionale italiana (Corte costituzionale), la cui tappa più recente – la sentenza n. 115 del 2018[1] – sembrerebbe anche coincidere con la sua fase più acuta.[2]
La materia del contendere, che vede in gioco la prescrizione come istituto contemporaneamente a presidio di due esigenze contrapposte – l’effettività delle sanzioni penali, da un lato, e la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, dall’altro – non è certamente di facile risoluzione. Lo è ancor meno in questo specifico caso, dal momento che nell’ordinamento giuridico italiano la prescrizione è tradizionalmente considerata un istituto di diritto penale sostanziale e, pertanto, sottoposta al principio di legalità.[3]
La contrapposizione tra il primato del diritto dell’Unione e la tutela dei principi fondamentali della Costituzione italiana, costituisce uno schema ormai classico nel rapporto tra queste due Corti. Eppure, in questo specifico caso, la particolare sensibilità della materia su cui verte lo scontro sembrerebbe rendere ancora più complicata la ricerca di un’intesa sul piano giurisprudenziale. D’altro canto, una soluzione – benché parziale – potrebbe forse essere trovata sul piano legislativo.
Il 5 luglio 2017 il legislatore europeo ha adottato la direttiva 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale;[4] attraverso il suo articolo 12, questa misura armonizza le normative nazionali con riferimento ai termini di prescrizione previsti per suddetti reati.
In un passaggio della sentenza Taricco II,[5] la Corte di giustizia sembrerebbe indicare che la direttiva imponga anche un’armonizzazione del livello di protezione dei diritti fondamentali che l’istituto della prescrizione è volto a tutelare. Questa interpretazione non rappresenterebbe un caso isolato nella giurisprudenza della Corte, dal momento che la stessa ha già utilizzato lo strumento dell’armonizzazione delle legislazioni nazionali come criterio di applicazione degli standards europei di tutela dei diritti fondamentali.[6] L’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco II non risulta però particolarmente chiara; invero, seguendo l’argomentazione ivi sviluppata, si potrebbe addirittura dubitare della sua persuasività sotto diversi punti di vista.
Ciò parrebbe peraltro confermato dal fatto che la Corte costituzionale, nella sua successiva sentenza n. 115/2018, sembrerebbe non aver colto il riferimento alla direttiva 2017/1371. Di conseguenza, il peso accordato a questa direttiva nell’ambito della vicenda Taricco è stato tutt’altro che centrale, malgrado la stessa intervenga a modificare precisamente il campo di applicazione materiale all’origine della saga giudiziale.[7]
Tuttavia, questa misura di armonizzazione potrebbe contribuire (almeno parzialmente) ad appianare il contrasto sorto sul piano interpretativo, benché in un senso diverso da quello suggerito dalla Corte di giustizia. In particolare, l’adozione di questo testo legislativo potrebbe risultare utile per superare la lacuna di determinatezza più volte riscontrata dalla Corte costituzionale e che, secondo quest’ultima, rappresenta l’ostacolo definitivo all’ingresso della “regola Taricco” nell’ordinamento giuridico italiano.
Al fine di esaminare se, ed in che modo, la direttiva 2017/1371 possa effettivamente contribuire a superare il conflitto – apparentemente inconciliabile – sorto sul piano interpretativo, l’indagine proseguirà in tre tappe principali.
In un primo momento, la direttiva sarà presentata attraverso l’interpretazione che di essa ha fornito la Corte di giustizia nella sentenza Taricco II; in tale contesto, saranno messe in luce alcune incongruenze nell’argomentazione della Corte, che porterebbero a dubitare della sua persuasività. In un secondo momento, si passerà ad analizzare la questione che ha dato origine allo scontro tra la Corte di giustizia e la Corte costituzionale, evidenziando le ragioni per cui si ritiene che la stessa non possa essere risolta sul piano interpretativo. Infine, ci si soffermerà su alcuni aspetti della direttiva che potrebbero, forse, contribuire a superare il conflitto tra le due Corti, promuovendo un’effettiva integrazione tra i due ordinamenti giuridici.
II. Gli effetti della direttiva 2017/1371 secondo l’interpretazione della Corte di giustizia
Nella sentenza Taricco II, dopo aver chiarito che è “compito del legislatore garantire che il regime nazionale di prescrizione in materia penale non conduca all’impunità in un numero considerevole di casi di frode grave in materia di IVA”,[8] e che “il settore della tutela degli interessi finanziari dell’Unione attraverso la previsione di sanzioni penali rientra nella competenza concorrente dell’Unione e degli Stati membri”,[9] la Corte di giustizia ha aggiunto quanto segue: “Nella fattispecie, alla data dei fatti di cui al procedimento principale, il regime della prescrizione applicabile ai reati in materia di IVA non era stato oggetto di armonizzazione da parte del legislatore dell’Unione, armonizzazione che è successivamente avvenuta, in modo parziale, solo con l’adozione della direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale […]. La Repubblica italiana era quindi libera, a tale data, di prevedere che, nel suo ordinamento giuridico, detto regime ricadesse, al pari delle norme relative alla definizione dei reati e alla determinazione delle pene, nel diritto penale sostanziale e fosse a questo titolo soggetto, come queste ultime norme, al principio di legalità dei reati e delle pene”.[10]
L’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia attraverso questo passaggio non risulta particolarmente chiara.
La precisazione per cui l’Italia era libera di considerare la prescrizione come istituto di diritto sostanziale solo perché, al momento dei fatti, non era ancora intervenuta un’armonizzazione legislativa in materia, sembrerebbe indicare che a partire dal 6 luglio 2019 – data entro cui la direttiva dovrà essere recepita – gli Stati membri non godranno più di tale “libertà”.
Il passaggio citato sembrerebbe implicitamente richiamare la giurisprudenza Melloni, attraverso cui la Corte ha chiarito come una misura di armonizzazione nel diritto processuale penale rifletta necessariamente “il consenso raggiunto tra gli Stati membri nel loro insieme a proposito della portata da attribuire, secondo il diritto dell’Unione, ai diritti processuali” degli individui.[11] Per questa ragione, proseguiva la Corte nella sentenza Melloni, è escluso che gli Stati possano opporre all’attuazione di suddette misure il più alto livello di protezione eventualmente previsto dall’ordinamento interno. Infatti, questo significherebbe rimettere in discussione “l’uniformità dello standard di tutela dei diritti fondamentali” definito dal diritto secondario europeo e costituirebbe una “lesione dei principi di fiducia e riconoscimento reciproci che [esso] mira a rafforzare e, pertanto, un pregiudizio per l’effettività” del diritto dell’Unione.[12]
Tuttavia, nella sentenza Taricco II, la Corte di giustizia sembrerebbe andare anche oltre nella sua interpretazione, indicando che la direttiva non si limita ad armonizzare la durata dei termini di prescrizione relativi ai reati di frode fiscale, comportando altresì un’armonizzazione della natura dell’istituto della prescrizione. In particolare, basandosi sull’implicito avvertimento all’Italia per cui la prescrizione non potrà più essere considerata un istituto di diritto penale sostanziale, sembrerebbe logico dedurne che, secondo la Corte, la direttiva comporti un’armonizzazione della stessa come istituto di diritto penale processuale. Questa interpretazione, tuttavia, non sembrerebbe suffragata dal dato testuale.
L’art. 12 della direttiva 2017/1371 prevede quanto segue: “1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie a prevedere un termine di prescrizione che consenta di condurre le indagini, esercitare l’azione penale, svolgere il processo e prendere la decisione giudiziaria in merito ai reati di cui agli articoli 3, 4 e 5 entro un congruo lasso di tempo successivamente alla commissione di tali reati, al fine di contrastare tali reati efficacemente. 2. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per permettere che le indagini, l’azione penale, il processo e la decisione giudiziaria per i reati di cui agli articoli 3, 4 e 5 punibili con una pena massima di almeno quattro anni di reclusione, possano intervenire per un periodo di almeno cinque anni dal momento in cui il reato è stato commesso”.
Il vero e proprio intervento di armonizzazione normativa in materia di prescrizione sembrerebbe coincidere con il secondo paragrafo di questo articolo, che richiede uno specifico intervento da parte del legislatore nazionale. Questa norma, in sintesi, stabilisce che gli ordinamenti giuridici nazionali debbano prevedere, con riferimento ai reati più gravi contro gli interessi finanziari dell’Unione (“punibili con una pena massima di almeno quattro anni di reclusione”), dei termini di prescrizione di durata non inferiore a cinque anni. Pertanto, i legislatori nazionali saranno tenuti ad assicurare che le normative interne rispettino questo standard, modificandole nel caso in cui stabiliscano dei termini di prescrizione inferiori rispetto a quanto richiesto a livello europeo.
Al contrario, come risulta dal primo paragrafo del medesimo articolo, per i reati che non rientrano nella definizione precedentemente fornita, la direttiva si limita a richiedere che le norme nazionali in materia di prescrizione prevedano limiti temporali congrui ad un’azione di contrasto efficace da parte delle autorità nazionali. Questa disposizione, pertanto, sembrerebbe porre in capo agli Stati membri un obbligo di risultato meramente indicativo: garantire l’efficacia delle sanzioni penali poste a presidio degli interessi finanziari dell’Unione, eventualmente adeguando la durata della prescrizione prevista in materia di reati fiscali.
Ciò che sembra emergere con evidenza è che né questa, né altre disposizioni della direttiva 2017/1371 contengono alcun riferimento alla questione della natura giuridica della prescrizione. Tanto meno sembrerebbe possibile trarre dal dato testuale una volontà del legislatore europeo di imporne la classificazione tra gli istituti di diritto penale processuale. D’altra parte, non sembrerebbe illogico ipotizzare che, dal punto di vista del legislatore, il problema della prescrizione non risieda tanto nella sua classificazione come istituto di diritto penale sostanziale o processuale, quanto nella sua durata che, se troppo breve, rischia di impedire un’efficace azione comune di lotta alla frode agli interessi fiscali dell’Unione.
L’analisi della direttiva porterebbe quindi a dubitare dell’esattezza dell’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia, in particolare nella misura in cui suggerisce che, a partire dall’entrata in vigore della direttiva, l’Italia non sarà più libera di considerare la prescrizione come istituto di diritto penale sostanziale.[13] Di conseguenza, questa misura non sembrerebbe poter risolvere il conflitto interpretativo nel senso suggerito nella sentenza Taricco II, vale a dire attraverso la sottrazione tout court dell’istituto della prescrizione dal diritto penale sostanziale, e quindi dal campo di applicazione del principio di legalità – che, come chiarito dalla Corte costituzionale, rappresenta l’ostacolo definitivo all’ingresso della regola Taricco nell’ordinamento giuridico italiano.[14]
Tuttavia, la direttiva 2017/1371 potrebbe contribuire a risolvere lo scontro tra Corti sotto un diverso punto di vista: in particolare, essa potrebbe rappresentare un utile strumento di sintesi nel contrasto tra primato del diritto UE, da un lato, ed esigenza di determinatezza della norma incriminatrice, dall’altro.
III. Il problema della prescrizione nei reati di frode fiscale: una questione difficilmente risolvibile sul piano interpretativo
Nell’ordinanza di rinvio n. 24 del 2017, la Corte costituzionale ha domandato alla Corte di giustizia se dalla regola Taricco[15] debba essere desunto l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare la legge interna contraria a norme dell’Unione con effetto diretto, anche qualora da ciò derivi una lacuna di determinatezza con riferimento alla norma incriminatrice applicabile al caso di specie.
Il dubbio espresso dalla Corte costituzionale trova la sua origine nell’incontro tra due presupposti – nonché principi fondamentali degli ordinamenti giuridici in questione – difficilmente conciliabili tra loro.
Il primo consiste nella combinazione tra il principio del primato e gli effetti diretti dell’art. 325 TFUE,[16] da cui la Corte di giustizia ha tratto l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la normativa nazionale in materia di prescrizione, nell’ipotesi in cui la stessa “impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione”[17] (c.d. regola Taricco).
Il secondo presupposto coincide invece con la natura sostanziale tradizionalmente attribuita nell’ordinamento giuridico italiano all’istituto della prescrizione, sottoposto pertanto al rispetto del principio di legalità in materia penale.
Nella stessa ordinanza n. 24 del 2017, la Corte costituzionale ha fatto implicitamente notare come tra questi due presupposti esista un contrasto logico di difficile risoluzione. Infatti, alla disapplicazione degli articoli 161 e 162 del codice penale italiano conseguirebbe una lacuna normativa in materia di prescrizione dei reati fiscali, poiché l’art. 325 TFUE non prevede una regola alternativa da poter applicare al caso concreto. Pertanto, la disapplicazione della normativa italiana porterebbe inevitabilmente alla violazione del principio di legalità in materia penale – così come interpretato nella tradizione costituzionale italiana.
Né, prosegue la Corte costituzionale, suddetta lacuna potrebbe essere colmata dalla ricostruzione fornita dalla Corte di giustizia attraverso la regola Taricco: “anche su questo terreno occorre osservare che non vi è modo di definire in via interpretativa con la necessaria determinatezza il requisito del numero considerevole dei casi, cui è subordinato l’effetto indicato dalla Corte di giustizia. [… I]l concetto rimane per sua natura ambiguo, e comunque non riempibile di contenuto attraverso l’esercizio della funzione interpretativa”.[18]
Benché nella sentenza Taricco II la Corte di giustizia abbia mostrato una certa comprensione verso le esigenze di certezza del diritto sollevate dalla Corte costituzionale italiana,[19] quest’ultima ha ribadito le sue perplessità anche nella successiva sentenza n. 115 del 2018, concludendo che “la violazione del principio di determinatezza in materia penale sbarra la strada senza eccezioni all’ingresso della ‘regola Taricco’ nel nostro ordinamento”.[20]
La conclusione a cui è pervenuta la Corte costituzionale sembrerebbe confermare quanto accennato in precedenza, vale a dire che il conflitto sorto tra le due Corti difficilmente troverà una composizione sul piano interpretativo. Infatti, il vulnus di determinatezza rilevato dalla Corte costituzionale non potrebbe essere eliminato se non mettendo in discussione il primato del diritto dell’Unione, concretamente attuabile nel caso concreto attraverso la disapplicazione della normativa italiana sulla prescrizione.
IV. Il contributo della direttiva 2017/1371: l’armonizzazione normativa come sintesi tra primato e determinatezza
Alla luce delle precedenti considerazioni, ci si potrebbe domandare se la direttiva 2017/1371 potrà contribuire a colmare suddetto vulnus di determinatezza; da una prima analisi della misura in questione, sembrerebbe possibile rispondere in maniera affermativa.
In primo luogo, attraverso il suo art. 2, par. 2, la direttiva chiarisce in maniera inequivocabile il suo campo di applicazione materiale: “In materia di entrate derivanti dalle risorse proprie provenienti dall’IVA, la presente direttiva si applica unicamente ai casi di reati gravi contro il sistema comune dell’IVA. Ai fini della presente direttiva, i reati contro il sistema comune dell’IVA sono considerati gravi qualora le azioni od omissioni di carattere intenzionale secondo la definizione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera d), siano connesse al territorio di due o più Stati membri dell’Unione e comportino un danno complessivo pari ad almeno 10 000 000 EUR”.
Nel panorama normativo attuale, i casi in cui il diritto dell’Unione debba essere applicato in questa materia non risultano con altrettanta chiarezza; né l’interpretazione fornita sul punto dalla Corte di giustizia ha contribuito a fare luce in merito, causando le forti perplessità della Corte costituzionale italiana. Si è infatti già visto come, sulla base della regola Taricco, la disapplicazione della normativa nazionale sia subordinata all’ipotesi per cui essa non permetta di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave ai danni degli interessi finanziari dell’Unione; nozione la cui interpretazione, come affermato dalla Corte di giustizia, è rimessa all’apprezzamento del giudice nazionale.[21]
Come già riportato in precedenza, la Corte costituzionale ha chiarito che un tale criterio di applicazione comporta un’automatica lesione del principio di determinatezza, dal momento che la Corte di giustizia non ha fornito ai giudici nazionali delle indicazioni chiare e utili ad interpretare le nozioni in questione – in particolare, cosa si intenda per numero “considerevole” di casi, e per frode “grave” – aprendo la strada ad un rischio di arbitrarietà incompatibile con le esigenze di certezza proprie del diritto penale.
Il summenzionato art. 2, par. 2, chiarisce invece che la direttiva 2017/1371, “si applica unicamente ai casi di reati gravi contro il sistema comune dell’IVA”, di cui fornisce una definizione talmente precisa da non lasciare al giudice nazionale un margine di apprezzamento significativo nella sua interpretazione.
Pertanto, un primo contributo della direttiva sembrerebbe risiedere nella chiara definizione dei presupposti di applicazione del diritto dell’Unione, andando così incontro ad una fondamentale esigenza dell’ordinamento giuridico italiano messa in luce dalla Corte costituzionale.
In secondo luogo, la direttiva 2017/1371 sembrerebbe poter eliminare all’origine il problema dell’apparente inconciliabilità – sul piano interpretativo – tra il principio di legalità in materia penale e gli effetti diretti dell’art. 325 TFUE.
Si può infatti pensare che l’introduzione di una specifica disciplina europea in materia di prescrizione per i reati di frode grave agli interessi dell’Unione, renda persino superfluo il riferimento all’art. 325 TFUE (operato dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco I, forse anche per un’obiettiva assenza di normative europee in materia).[22]
Entro il termine di attuazione previsto, infatti, i legislatori nazionali dovranno trasporre il contenuto della direttiva negli ordinamenti giuridici interni; nel caso italiano, questo comporterà necessariamente una modifica degli articoli 161 e 162 del codice penale ed il loro adeguamento agli standards europei con riferimento alla durata dei termini di prescrizione per i reati coperti dalla direttiva.
In un certo senso, questo consentirà, da un lato, di pervenire al risultato auspicato dalla Corte di giustizia, vale a dire la sostituzione di una normativa interna ritenuta di ostacolo alla piena realizzazione degli obiettivi dell’Unione in materia di lotta contro la frode fiscale, in ottemperanza al principio del primato. Dall’altro, grazie al ricorso ad uno strumento normativo, suddetto risultato potrà essere raggiunto nel rispetto del principio di determinatezza della norma incriminatrice e, più in generale, senza ledere né modificare la portata del principio di legalità in materia penale così come tradizionalmente interpretato nell’ordinamento giuridico italiano.
V. Conclusioni
La direttiva 2017/1371 interviene a colmare una lacuna del diritto dell’Unione europea che, sulla base di quanto rilevato dalla Corte costituzionale ed implicitamente ammesso dalla Corte di giustizia, può mettere a repentaglio l’effettiva applicazione del principio del primato; ed è proprio in questo senso che la stessa potrebbe contribuire a risolvere lo scontro sorto tra le due Corti.
Se l’analisi proposta fosse corretta, la logica ed inevitabile conseguenza che se ne dovrebbe trarre è che la Corte di giustizia abbia perso un’importante occasione, nella sua funzione di interprete esclusiva del diritto dell’Unione europea, di valorizzare il contributo che questo strumento normativo potrebbe apportare nel risolvere il contrasto sorto con la Corte costituzionale.
Benché, come già accennato in precedenza, dalla decisione a cui la Corte di giustizia è pervenuta nella sentenza Taricco II sembrerebbe emergere una certa comprensione nei confronti delle esigenze costituzionali dell’ordinamento penale italiano, a livello contenutistico il ragionamento della stessa Corte – soprattutto con riferimento all’interpretazione della direttiva – sembrerebbe tutt’altro che “pacificatore”. Focalizzando l’attenzione sulla presunta modifica della natura giuridica della prescrizione, la Corte di giustizia è infatti entrata nel merito di una questione su cui la Corte costituzionale ha in più occasioni dimostrato di non essere disposta a cedere: la sua competenza esclusiva ad interpretare la portata del principio di legalità in materia penale, in quanto principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale italiano.
In tal senso, si può forse ipotizzare che se la Corte di giustizia – oltre a precisare che non si pone in capo al giudice un obbligo di disapplicazione nel caso in cui si ponga un concreto rischio di lesione del principio di legalità – avesse colto l’occasione per sottolineare la natura transitoria della regola Taricco, a breve sostituita da un panorama normativo ben più chiaro, questo avrebbe forse potuto favorire il dialogo con la Corte costituzionale; o, quantomeno, evitare che lo scontro con essa giungesse alla sua fase più acuta attraverso la sentenza n. 115 del 2018, in cui, sembra doveroso sottolineare, la direttiva in questione non viene neanche menzionata.
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European Papers, Vol. 3, 2018, No 3, European Forum, Insight of 27 December 2018, pp. 1471-1480
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/258
* Docente di Diritto dell’Unione europea, Università Commerciale “Luigi Bocconi” di Milano, sara.fattorini@unibocconi.it.
[1] Corte costituzionale, sentenza del 10 aprile 2018, n. 115.
[2] Per un primo commento v. D. Gallo, La Corte costituzionale chiude la “saga Taricco”: tra riserva di legge, opposizione de facto del controlimite e implicita negazione dell’effetto diretto, in European Papers, 2018, Vol. 3, No 2, www.europeanpapers.eu, p. 885 et seq.
[3] V. Corte costituzionale, ordinanza del 26 gennaio 2017, n. 24, p. 4.
[4] Direttiva 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale.
[5] Corte di giustizia, sentenza del 5 dicembre 2017, causa C-42/17, M.A.S. e M.B. [GS], par. 44.
[6] In particolare, Corte di giustizia, sentenza del 26 febbraio 2013, causa C-399/11, Stefano Melloni c. Ministerio Fiscal [GS], par. 62.
[7] Non si può escludere che l’inserimento dell’art. 12 costituisca la risposta del legislatore europeo alla lacuna di determinatezza in materia di prescrizione – su cui si tornerà più avanti – messa in luce già dal Tribunale di Cuneo nel suo rinvio pregiudiziale (Tribunale di Cuneo, ordinanza del 17 gennaio 2014), e dalla risposta della Corte di giustizia nella sentenza Taricco I (Corte di giustizia, sentenza dell’8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco et al. [GS]).
[8] M.A.S. e M.B. [GS], cit., par. 41.
[9] Ivi, par. 43.
[10] Ivi, par. 44.
[11] Stefano Melloni c. Ministerio Fiscal [GS], cit., par. 62.
[12] Ivi, par. 63.
[13] Una tale imprecisione da parte della Corte di giustizia apre inoltre la strada ad un secondo interrogativo che vale forse la pena di introdurre, non potendo riservare ad esso uno spazio maggiore. In particolare, ci si potrebbe domandare se, sulla base dei Trattati, l’Unione europea sia competente a modificare la natura giuridica dell’istituto della prescrizione. La direttiva 2017/1371 è stata adottata sulla base dell’art. 83, par. 2, TFUE, che dispone quanto segue: “Allorché il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale si rivela indispensabile per garantire l’attuazione efficace di una politica dell’Unione in un settore che è stato oggetto di misure di armonizzazione, norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni nel settore in questione possono essere stabilite tramite direttive”. Pur ammettendo che la prescrizione rientri nel campo di applicazione di questa competenza, vale a dire nella “definizione dei reati e delle sanzioni”, difficilmente questo permetterebbe alle Istituzioni di adottare misure relative alla natura giuridica della prescrizione. Infatti, la ratio dell’art. 83 TFUE è quella di istituire una competenza accessoria in materia penale al solo scopo di garantire l’efficace realizzazione di una competenza principale – in questo caso, la lotta all’evasione fiscale – messa in atto tramite misure di armonizzazione; al contrario, una modifica della natura giuridica dell’istituto della prescrizione avrebbe un effetto verosimilmente trasversale e, in tal senso, potrebbe forse eccedere la competenza conferita al legislatore attraverso l’art. 83, par. 2. L’idoneità dell’art. 83, par. 2, TFUE come base giuridica della direttiva è stata messa in dubbio da una parte della dottrina, che ha messo in luce come l’art. 325 TFUE (originaria base giuridica della proposta di direttiva presentata dalla Commissione) avrebbe rappresentato un’alternativa migliore, soprattutto in termini di efficacia della misura in oggetto – come dimostrerebbero anche i continui riferimenti operati dalla Corte di giustizia a questo articolo come fondamento giuridico dell’effettività del diritto penale europeo in materia di frode fiscale. Cfr. F. La Vattiata, La nuova direttiva PIF. Alcune riflessioni in tema di adattamento dell’ordinamento italiano, in Eurojus, 8 giugno 2018, rivista.eurojus.it; E. Basile, Brevi note sulla nuova direttiva PIF: Luci e ombre del processo di integrazione UE in materia penale, in Diritto penale contemporaneo, 2017, p. 63 et seq.
[14] Corte costituzionale, sentenza n. 115/2018, cit., par. 14.
[15] V. infra.
[16] Taricco et al. [GS], cit., par. 52.
[17] Ivi, par. 58.
[18] Corte costituzionale, ordinanza n. 24/2017, cit., par. 5.
[19] Rispondendo che, pur rimanendo valida la regola Taricco, sul giudice nazionale non graverebbe l’obbligo di disapplicazione della normativa interna qualora “una disapplicazione siffatta comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile” (Corte di giustizia, M.A.S. e M.B., cit., par. 62); sull’apertura mostrata dalla Corte di giustizia al dialogo con la Corte costituzionale italiana, v. M. Bonelli, The Taricco saga and the consolidation of judicial dialogue in the European Union, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 20 July 2018, journals.sagepub.com.
[20] Corte costituzionale, sentenza n. 115/2018, cit., par. 14.
[21] Taricco et al. [GS], cit., par. 49.
[22] Per un approfondimento sulla forzatura del sistema giuridico dell’Unione per porre riparo ad una deficienza strutturale dell’ordinamento italiano, v. E. Cannizzaro, Sistemi concorrenti di tutela dei diritti fondamentali e controlimiti costituzionali, in A. Bernardi (a cura di), I controlimiti: primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali, Napoli: Jovene, 2017, p. 46.