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Abstract: This Insight discusses the Court of Justice’s judgment of 14 May 2020 in the joined cases C-924/19 and C-925/19, which concerned two couples of asylum seekers detained in the Röszke transit zone, at the Hungarian-Serbian border. The analysis focuses on the approach followed by the Court, that has addressed several issues under EU asylum and return secondary law and recognised the importance of substantial and procedural guarantees in asylum and return procedures. It ascertains the relevance of recognition that the placement of migrants in transit zones at the external borders qualifies as a deprivation of liberty and thus has to comply with the guarantees of Reception Conditions and Return Directives. Finally, the Insight assesses the possible systemic implications of the ruling on the future developments of EU asylum law, especially against the proposals presented by the Commission in the new Pact on Migration and Asylum.
Keywords: detention – asylum – transit zone – external borders – safe third country – effective remedy.
I. La detenzione de facto in Ungheria (e nel panorama europeo)
Numerosi rapporti di organizzazioni non governative hanno documentato, negli anni più recenti, l’aumento del ricorso allo strumento detentivo applicato nei confronti dei richiedenti asilo alle frontiere esterne dell’Unione europea.[1] È emblematico, a questo proposito, l’impiego indiscriminato del trattenimento nelle cosiddette “zone di frontiera” di Röszke e Tompa, situate al confine tra Serbia e Ungheria.[2]
Il rischio di lesione dei diritti dei richiedenti asilo presso la zona di transito di Röszke è stato preso in considerazione dalla Corte di giustizia dell’Unione europea[3] nell’ambito di una articolata sentenza che ha avuto ad oggetto diversi aspetti centrali del sistema di asilo e di rimpatrio ungherese.[4] A questa è seguita una ulteriore pronuncia della Grande Camera adottata il 17 dicembre 2020 a seguito di procedura di infrazione, che riconoscere numerose violazioni del diritto europeo operate dall’Ungheria presso le zone di transito di Röszke e Tompa.[5]
L’approccio seguito e le conclusioni raggiunte dai giudici europei rivestono un’importanza non secondaria nel panorama europeo,[6] alla luce degli sviluppi recenti – e delle possibili prospettive future – del sistema comune di asilo. Infatti, la detenzione dei richiedenti asilo alle frontiere esterne dell’Unione sta assumendo un ruolo centrale nelle politiche di gestione dei flussi migratori.[7]
Le frontiere sono il luogo per eccellenza in cui l’attuazione di procedure (spesso accelerate) di asilo o di respingimento disciplinate dal diritto UE si confonde con il ricorso a prassi informali e prive di basi legali,[8] che non di rado comportano il trattenimento de facto di coloro che fanno ingresso nel Paese o sono soccorsi in operazione di salvataggio in mare.[9]
A livello europeo era già stata prospettata l’opportunità di concentrare la gestione dei flussi migratori alle frontiere esterne di alcuni Paesi quando, nel 2015, la Commissione Europea aveva introdotto l’approccio hotspot per l’Italia e la Grecia.[10] La tendenza si è consolidata nel “Nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo”[11] presentato il 23 settembre 2020, ove viene proposta l’instaurazione di “una procedura di frontiera fluida”, comprendente “accertamenti preliminari all'ingresso, una procedura di asilo e, se del caso, una procedura di rimpatrio rapido, combinando in tal modo processi attualmente distinti”.[12]
In questo quadro, la decisione della Corte di giustizia riveste particolare importanza perché si confronta con i dubbi circa la legittimità di prassi informali di detenzione in frontiera e si pronuncia sulle garanzie irrinunciabili che devono essere osservate nei confronti dei richiedenti asilo nel corso della domanda di protezione e, eventualmente, in sede di rimpatrio, ammonendo gli Stati Membri rispetto alla necessità di fornire una lettura garantista del contenuto delle Direttive europee in materia. L’approccio seguito dalla Corte di giustizia potrebbe rivelarsi prezioso, nell’ottica di tutela dei diritti di migranti e richiedenti asilo, anche in caso di adozione delle proposte contenute nel recente Patto Europeo.
Nel presente Insight si esaminerà sinteticamente il ragionamento sviluppato dalla Corte di giustizia in relazione alle questioni pregiudiziali sottoposte alla sua attenzione, focalizzandosi sui temi, inevitabilmente correlati, delle procedure di asilo in frontiera e della privazione della libertà dei migranti.
II. I fatti di causa e il rinvio pregiudiziale
La sentenza del 14 maggio 2020 ha avuto ad oggetto due cause riunite scaturite a seguito dei ricorsi presentati da due cittadini afghani, in un caso, e da due cittadini iracheni, nell’altro, al Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, in Ungheria. Gli stranieri, arrivati alla frontiera serbo-ungherese, presentavano domanda di asilo ed erano collocati presso la zona di transito di Röszke. Le loro domande erano dichiarate inammissibili (sulla base del transito per un Paese considerato sicuro) e ricevevano un provvedimento di rimpatrio che individuava inizialmente la Serbia quale Paese di destinazione ma veniva in seguito modificato con il riferimento al Paese di origine (rispettivamente, Afghanistan e Iran).
Le coppie di richiedenti asilo si rivolgevano al Tribunale di Szeged chiedendo l’annullamento delle ordinanze di rimpatrio nella parte relativa alla modifica del Paese di destinazione e, lamentando la natura detentiva della zona di transito in cui si trovavano, insistevano per l’assegnazione di un luogo di collocamento sul territorio ungherese.
Per tutta la durata delle procedure – di asilo e di rimpatrio – i cittadini di stati terzi erano rimasti all’interno della zona di transito ed erano ancora ristretti a Röszke al momento dell’esperimento del rinvio pregiudiziale da parte del giudice ungherese, giustificando il ricorso alla procedura d’urgenza.
Il Tribunale di Szeged, investito dei ricorsi, individuava diversi profili di incompatibilità delle norme e delle prassi ungheresi con il diritto dell’Unione europea. Per un verso, interrogava la Corte sulla possibilità di dichiarare inammissibile una domanda di asilo quando presentata da chi abbia attraversato un Paese qualificabile come sicuro, e sulle conseguenze della dichiarazione di inammissibilità sulla domanda stessa.
Per altro verso, si chiedeva se la condizione di fatto in cui si trovavano i ricorrenti nella zona di transito potesse qualificarsi come trattenimento e se, in questo caso, fossero rispettate le garanzie previste dalle direttive europee.
Infine, si concentrava sulla disciplina attinente ai provvedimenti di rimpatrio, domandandosi se l’assenza di un ricorso giurisdizionale avverso la decisione di rimpatrio che modificava il Paese di destinazione fosse in contrasto l’art. 13 della direttiva rimpatri e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (di seguito, la Carta).
III. La decisione della Corte di giustizia
La Grande Camera della Corte di giustizia ha preso in considerazione le cinque questioni pregiudiziali sottoposte alla sua attenzione, pronunciando una sentenza lunga e articolata all’interno della quale spiccano per rilevanza i temi del trattenimento e delle garanzie (sostanziali e procedurali) che devono essere garantite nel corso della domanda di asilo e della procedura di rimpatrio. Non essendo possibile esaminare analiticamente tutte le questioni, si concentrerà l’attenzione sugli spunti forniti dalla sentenza rispetto ai temi menzionati.
III.1. Non refoulement e diritto ad un ricorso effettivo in sede di rimpatrio
La Grande Camera parte dall’analisi dell’ultima questione sollevata, ponendo sin dal principio l’accento sul diritto al non refoulement e quello ad un ricorso effettivo di cui all’art. 47 Carta.
In primo luogo, i giudici chiariscono che la modifica del Paese di destinazione all’interno di un precedente provvedimento di espulsione rappresenta una modifica “a tal punto sostanziale (…) che si deve ritenere che la stessa abbia adottato una nuova decisione di rimpatrio”.[13] Di conseguenza, il provvedimento di modifica dovrà osservare tutte le garanzie previste per qualsivoglia decisione di allontanamento, ai sensi della direttiva CE/2008/115.
La ratio si cui si fonda il ragionamento dei giudici va individuata nell’importanza centrale assunta dal principio di non refoulement:[14] la verifica sul rispetto di tale principio deve essere operata in relazione al Paese verso cui sarà allontanato lo straniero. Ciò rileva, a maggior ragione, quando le autorità sostituiscano lo Stato di transito inizialmente indicato con il Paese di nazionalità, rispetto al quale la persona ha espresso un timore di persecuzione.
Non è infatti inconsueto che, quando l’esame della domanda di asilo avvenga in via accelerata o si concentri solo sulla sua ammissibilità, in relazione alla provenienza da Paesi lato sensu “sicuri”,[15] il timore dei richiedenti protezione non sia adeguatamente e compiutamente preso in considerazione. Emerge quindi la stretta connessione che può delinearsi tra procedura di asilo e di espulsione: anche qualora nel primo procedimento il timore manifestato dal richiedente protezione non sia stato esaminato nel merito, l’indagine circa il rischio di refoulement rimane imprescindibile e deve in ogni caso essere esperita, eventualmente in sede di adozione dell’ordine di rimpatrio.
Un diritto intrinsecamente collegato all’adozione di una decisione di rimpatrio, posto anche a tutela del rispetto sostanziale del principio di non refoulement, è quello ad un ricorso effettivo, disciplinato dall’art. 13 della direttiva CE/2008/115, cui la Corte di giustizia ha fornito una lettura conforme all’art. 47 della Carta.
Mentre, infatti, la direttiva rimpatri prevede genericamente la possibilità di esperire un ricorso “dinanzi ad un’autorità giudiziaria, o amministrativa competente”,[16] l’art. 47 sancisce espressamente che il ricorso debba essere presentato ad un giudice “indipendente ed imparziale”.[17]
La Corte di giustizia ha ritenuto che, per poter garantire una piena tutela del diritto in esame, la decisione di un’autorità che non soddisfi i requisiti di imparzialità e indipendenza debba essere sottoposta a successivo controllo giurisdizionale.[18] Posto che l’autorità ungherese competente per l’esame della doglianza degli interessati non può essere considerata indipendente e autonoma rispetto al potere esecutivo, e che la normativa ungherese non contempla la possibilità di un successivo controllo avanti un giudice, la legge nazionale viene qualificata come incompatibile con il diritto UE.
Particolarmente interessante è anche il successivo ragionamento della Corte di giustizia, che prende le mosse dai principi generali dell’effetto diretto e del primato del diritto dell’Unione. Infatti, al fine di garantire l’effettività del diritto ad un ricorso effettivo, anche qualora sia assente un rimedio giurisdizionale – come nel caso di specie – il giudice nazionale è chiamato a dichiararsi competente “al fine di difendere i diritti che sono garantiti dal diritto dell’Unione al soggetto interessato”.[19]
In questo senso, la competenza del giudice nazionale viene ampliata,[20] rispetto a quanto contemplato dalla normativa interna, sulla base della considerazione per cui l’art. 47 e l’art. 13 della direttiva sono dotati di effetto diretto.[21]
III.2. L’inammissibilità della domanda di asilo in relazione alla nozione di “Paese di transito sicuro”
La Corte di giustizia si sofferma poi sull’esame delle questioni relative alla dichiarazione di inammissibilità della domanda di asilo, nell’ipotesi di passaggio per un cd. “Paese di transito sicuro”.[22] La questione non è marginale poiché, prima di arrivare sul territorio dell’UE, i migranti attraversano numerosi Paesi limitrofi ove il diritto di asilo non è sempre adeguatamente garantito:[23] le violazioni dei diritti umani documentate lungo la rotta balcanica ne sono un chiaro esempio.[24]
Nel caso sottoposto all’esame della Corte occorreva accertare se la legge ungherese sull’asilo codificasse uno dei motivi di inammissibilità enucleati nella direttiva[25] o ne configurasse uno nuovo e ulteriore. I giudici si sono preoccupati di precisare che i presupposti per la declaratoria di inammissibilità della domanda di asilo sono tassativi ed esaustivi, così chiarendo che l’art. 33 della direttiva in esame rappresenta un’eccezione all’ordinaria procedura di asilo improntata all’esame nel merito.[26]
La Corte, quindi, richiamandosi alla recente sentenza Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa) del 19 marzo 2020,[27] ribadisce che il presupposto di inammissibilità previsto dalla legge ungherese non è riconducibile a nessuna delle ipotesi dettate dall’art. 33, ed in particolare né a quella di “Paese terzo di primo asilo”,[28] né al “Paese terzo sicuro”.[29] Quanto a questa seconda categoria, la Grande Camera sostiene che non si possa intendere il mero transito per un Paese terzo quale “legame”, sufficiente e significativo ai sensi dell’art. 38, par. 2, lett. a), della direttiva in esame.[30] La conclusione è scontata: la legge ungherese sull’asilo che ha introdotto la nozione di Paese di transito sicuro è da considerarsi incompatibile con il diritto UE.
Inoltre, pur non soffermandosi diffusamente su tale profilo, la Corte di giustizia considera che il diritto nazionale, nel disciplinare l’ipotesi di inammissibilità fondata sul concetto di “Paese sicuro”, non ha incorporato il riferimento al requisito del rispetto del principio di non refoulement da parte del Paese terzo: in sua assenza, nemmeno il concetto di “Paese terzo sicuro” potrà essere utilizzato.[31]
Pare che, consapevole degli effetti che la valutazione sull’inammissibilità può avere sul pieno godimento del diritto d’asilo, la Corte di giustizia abbia voluto ammonire circa l’applicazione estensiva di tale categoria: questa non sarebbe compatibile con il diritto europeo.
III.3. La configurabilità del trattenimento nelle “zone di transito”
La Corte di giustizia giunge infine a pronunciarsi sul collocamento dei ricorrenti nella zona di transito di Röszke. In primo luogo, fornisce un inquadramento sistematico della nozione di trattenimento, prendendo le mosse dall’Art. 2, lett. h), della direttiva accoglienza.[32] Con riferimento a tale previsione, il trattenimento viene qualificato come “una misura coercitiva che priva il richiedente della sua libertà di circolazione e lo isola dal resto della popolazione, imponendogli di soggiornare in modo permanente in un perimetro circoscritto e ristretto”.[33] La stessa definizione è applicata anche al trattenimento previsto dalla direttiva rimpatri:[34] si viene così a delineare una concezione unitaria della misura detentiva, estesa a tutti gli ambiti di applicazione del diritto UE in materia di immigrazione e asilo.
Nel ricostruire la nozione in esame, i giudici di Lussemburgo hanno fatto riferimento alle raccomandazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e alle Linee Guida UNHCR sugli standard applicabili alla detenzione dei richiedenti asilo. Non viene, invece, operata alcuna menzione alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di trattenimento, nonostante quest’ultima si fosse recentemente pronunciata su un caso in cui le circostanze concrete apparivano assimilabili a quelle dei ricorrenti nel procedimento principale.[35]
In tale sede, la Corte europea aveva escluso, con un ragionamento non privo di contraddizioni,[36] che il collocamento nella zona di transito potesse qualificarsi come trattenimento.[37] Consapevole di una possibile tensione tra le Corti, l’AG Pikamäe aveva suggerito ai giudici di Lussemburgo di offrire una interpretazione autonoma e maggiormente estensiva del diritto alla libertà personale di cui all’art. 6 della Carta, sulla base del principio di autonomia del diritto dell’Unione.[38]
La Corte di giustizia non ha però ritenuto necessario smarcarsi dalla decisione della Corte europea: nondimeno, riconducendo la situazione dei migranti collocati nella zona di transito di Röszke all’ipotesi di trattenimento, ha configurato, di fatto, un livello di tutela più elevato per il diritto in parola.[39]
I giudici di Lussemburgo hanno valorizzato, a tal fine, le caratteristiche principali del centro di Röszke, come delineate dal giudice del rinvio: la ridotta superficie dei containers; l’impossibilità di ricevere visite esterne senza autorizzazione; la limitazione al movimento e la sorveglianza permanente da parte delle forze dell’ordine.[40] L’elemento dirimente per la qualificazione del trattenimento è però stato individuato nell’impossibilità di lasciare “legalmente” la zona di transito.
La Corte respinge l’argomento avanzato dal governo ungherese secondo cui i ricorrenti sarebbero stati liberi di abbandonare la zona di transito: adottando un approccio aderente alla realtà, osserva che il loro ritorno in Serbia sarebbe qualificato come illegale e che “di conseguenza, essi si esporrebbero ivi a sanzioni. Pertanto, segnatamente per tale ragione, non si può ritenere che tali ricorrenti abbiano una possibilità effettiva di lasciare la zona di transito di Röszke”.[41] Inoltre, i ricorrenti non avrebbero neanche potuto lasciare la zona di transito per fare ingresso in Ungheria, dal momento che tale azione avrebbe pregiudicato le loro possibilità di ottenere la protezione internazionale in detto Paese. L’accento viene pertanto posto sulle realistiche prospettive di libertà di movimento dei richiedenti asilo, tenendo in considerazione non solo la componente fisica, ma anche le conseguenze giuridiche del loro allontanamento.
III.4. Le garanzie in materia di trattenimento e la detenzione nell’ambito della procedura di frontiera
Dopo aver stabilito che i ricorrenti nei procedimenti principali sono stati trattenuti nella zona di transito, la Corte di giustizia ha vagliato la compatibilità di tale misura con le garanzie previste dalla normativa UE in tema di detenzione.[42]
Come prevedibile, la Corte ribadisce che un trattenimento disposto senza provvedimento scritto che ne illustri le ragioni in fatto e in diritto, senza un esame della necessità e proporzionalità della misura, senza la previsione di un ricorso giurisdizionale e senza la possibilità di riesaminare il trattenimento ad intervalli regolari, è incompatibile con il diritto secondario UE.[43] Ciò vale tanto nel caso dei richiedenti asilo.[44] quanto nelle ipotesi di migranti irregolari destinatari di un provvedimento di espulsione.[45] In particolare, l’impossibilità di sottoporre a controllo giurisdizionale la decisione di trattenere i migranti è stata giudicata contraria all’art. 47 della Carta, poiché “non tiene conto del contenuto essenziale del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (…) nella misura in cui impedisce in maniera assoluta che un giudice statuisca sul rispetto dei diritti e delle libertà garantiti dal diritto dell’Unione al cittadino di un paese terzo trattenuto”.[46] Inoltre, il principio del primato del diritto UE, combinato con la necessità di tutela del diritto ad un ricorso effettivo, impone che il giudice del rinvio possa dichiararsi competente all’esame della legittimità del trattenimento e gli consente di disporre una misura alternativa al trattenimento o l’immediata liberazione della persona.
La Corte di giustizia ha anche svolto alcune importanti considerazioni sulla legittimità del trattenimento operato nell’ambito della procedura di frontiera. La procedura, prevista dall’art. 43 della direttiva UE/2013/32, offre agli Stati la possibilità di decidere sull’ammissibilità o, in alcuni specifici casi, sul merito della domanda di asilo prima che il richiedente protezione faccia ingresso sul territorio dello Stato,[47] “sempreché tali procedure rispettino i principi fondamentali e le garanzie” previste dalla direttiva.[48] La norma fissa un termine di quattro settimane per lo svolgimento della procedura, da interpretarsi come perentorio.[49]
La Corte di giustizia ha, per un verso, riconosciuto che gli Stati sono autorizzati a trattenere i migranti nell’ambito della procedura descritta, essendo la misura giustificata dal motivo di cui all’art. 8, par. 3, lett. c), direttiva UE/2013/33 (la necessità di decidere sul diritto del richiedente di entrare nel territorio). Per altro verso, stabilisce che il termine massimo fissato per la durata della procedura di frontiera debba essere perentorio anche per la durata del trattenimento:[50] decorso tale periodo, la persona avrà diritto a fare formalmente ingresso sul territorio dello Stato ed non potrà essere trattenuta per il solo fatto di aver presentato domanda di asilo.
La condizione di privazione della libertà sul confine esterno non può essere prolungata nemmeno in ipotesi eccezionali, quali il caso di afflusso massiccio di richiedenti asilo, che renda impossibile l’applicazione della procedura di frontiera prima dell’ingresso nel territorio: in tale ipotesi gli stranieri dovranno essere “normalmente accolti” in prossimità della frontiera.
La Corte aggiunge che, a seguito dell’ingresso della persona nel territorio dello Stato, il richiedente può essere collocato in un alloggio, ma questi luoghi “non possono essere confusi con i centri di trattenimento”.[51] L’assenza di disponibilità economiche non rientra tra le ipotesi tassative sulla base delle quali si può trattenere la persona e, al tempo stesso, l’applicazione di misure di accoglienza nei confronti del richiedente asilo “non può avere come effetto di privarlo della sua libertà di circolazione”.[52] Emerge la volontà di evitare l’esistenza di zone grigie tra le due differenti ipotesi di accoglienza e trattenimento,[53] impendendo così che possano proliferare prassi di trattenimento de facto, disposto al di fuori delle basi legali dettate dal diritto eurounitario.
IV. Considerazioni conclusive: l’importanza di un approccio garantista a fronte delle possibili evoluzioni delle politiche migratorie
La pur breve analisi delle considerazioni contenute nella sentenza in esame consente di formulare alcune osservazioni conclusive. La pronuncia ha toccato diversi nodi cruciali del sistema di asilo e di rimpatrio, seguendo, nel complesso, un approccio garantista e improntato al rispetto e delle previsioni delle Direttive europee e dei diritti fondamentali dei migranti.
Per quanto attiene, in particolare, il trattenimento, pare che la Corte di giustizia abbia inteso arginare la prassi della detenzione de facto del migrante, posta in essere in violazione delle garanzie procedurali connesse alla limitazione della libertà personale. Quanto alla procedura di frontiera, viene ribadita la necessità che questa venga mantenuta entro i limiti temporali indicati nella normativa e condotta nel rispetto dei principi e delle garanzie di cui alla direttiva UE/2013/32. Inoltre, è stata ribadito quanto la valutazione sul rischio di refoulement del migrante sia doverosa, tanto in sede di esame dell’ammissibilità della domanda di protezione, quanto al momento del suo allontanamento verso un Paese terzo o il Paese d’origine.
Si ritiene che l’approccio adottato dalla Corte di giustizia possa riverberarsi anche al di là dei confini ungheresi, ponendosi come argine alle politiche di controllo dell’immigrazione attuate con modalità che pregiudicano l’effettività dei diritti fondamentali dei migranti e disattendono, di fatto, le garanzie previste dal diritto UE.[54]
Inoltre, le indicazioni fornite nella sentenza non potranno essere ignorate in sede di (eventuale) adozione delle proposte legislative avanzate dalla Commissione Europea nell’ambito del Nuovo Patto sulla migrazione del settembre 2020.
Alcune di queste ultime hanno destato preoccupazione per le ripercussioni che potrebbero avere su diritti fondamentali quali il diritto d’asilo, al non refoulement e quelli collegati al trattenimento (diritto alla libertà personale, diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti).
Ci si riferisce, in particolare, alla “nuova”[55] procedura finalizzata al “pre-screening” dei cittadini di stati terzi da effettuarsi alle frontiere esterne dell’UE[56] e agli emendamenti proposti alle procedure di asilo e di rimpatrio alla frontiera,[57] che ne estendono l’applicabilità tanto con riguardo al numero di persone,[58] quanto in riferimento alla loro estensione temporale.[59]
Elemento comune ai tre strumenti legislativi è il collocamento dello straniero al confine, per prevenirne l’accesso al territorio dello stato:[60] posto che l’imposizione di forme coercitive di privazione della libertà è connaturata all’esigenza di impedire ai migranti di allontanarsi dalle frontiere, pare concreto il rischio di aumento del ricorso al trattenimento.[61]
Tuttavia, non si trova, all’interno del Patto o delle relazioni che accompagnano le nuove proposte legislative, una riflessione sulla natura della privazione della libertà cui sarebbero esposti migranti e richiedenti asilo in frontiera o sulle modalità con cui garantire condizioni di vita dignitose all’interno delle strutture di confine. Né sembra che sia stata dedicata attenzione alla possibile moltiplicazione delle pratiche di detenzione de facto, nonostante il fenomeno sia emerso con tutta evidenza, negli anni più recenti, dalle prassi sperimentate negli hotspots e nelle zone di transito.
In particolare, la proposta di regolamento sui controlli di pre-ingresso non fa alcun cenno alla possibilità di trattenere gli stranieri sottoposti ai controlli previsti, lasciando una pressoché totale discrezione agli Stati,[62] mentre i nuovi artt. 41 e 41 bis della proposta di regolamento procedure prevedono genericamente che lo straniero è “tenuto” alla frontiera o in prossimità di essa, salvo poi riconoscere che è possibile “continuare a trattenere” lo straniero per preparare o eseguire il rimpatrio.[63]
Al tempo stesso, non può dubitarsi che, in ossequio alle indicazioni fornite dalla Corte di giustizia nella sentenza in esame, quando il trattenimento venga disposto nell’ambito di una procedura di asilo o di rimpatrio dovrà fondarsi necessariamente su un provvedimento scritto e motivato, rispettare i canoni di necessità e proporzionalità, profilarsi come misura applicabile solo come estrema ratio ed essere soggetto a controllo giurisdizionale; inoltre, la detenzione non potrà essere indeterminata, essendo previsto un termine massimo per le procedure.[64] Da ultimo, la ricostruzione della nozione di trattenimento quale forma di privazione della libertà personale, riconducibile all’art. 6 della Carta, imporrà agli Stati di rispettare il contenuto del diritto in esame in tutte le ipotesi in cui il diritto UE trovi applicazione.
Le precisazioni fornite dalla Grande Camera paiono, infine, rilevanti anche in relazione ad un ulteriore aspetto cruciale della procedura di asilo come delineata nel Nuovo Patto: la valutazione dell’ammissibilità della domanda in relazione al concetto di “paese terzo sicuro”, la cui definizione è stata ulteriormente ampliata.[65] Ad esempio, verrebbe inclusa la possibilità che il legame con lo Stato terzo possa sussistere “tra l'altro perché [lo straniero] vi è transitato, in quanto geograficamente il paese terzo è vicino al suo paese di origine”;[66] questo determinerebbe l’aumento dei Paesi sussumibili entro suddetta nozione, quali ad esempio quelli della cd. rotta balcanica, con i rischi già paventati. Anche in caso di estensione della nozione di “Paese terzo sicuro”, tuttavia, resta ferma l’impossibilità di respingere o rimpatriare il migrante verso un Paese ove sussista il serio rischio di subire trattamenti inumani o degradanti, ovvero di violazione del principio di non refoulement. La Corte di giustizia si è chiaramente espressa in questi termini, evidenziando inoltre che, quando la decisione sull’inammissibilità della domanda di asilo sia contestuale al provvedimento di rimpatrio, deve sempre essere garantito il diritto ad un ricorso effettivo nel corso del quale esaminare i suddetti profili.
Per concludere, pare che il monito che può leggersi tra le righe della sentenza della Corte di giustizia, relativo all’impossibilità di disattendere i principi e le tutele previste dal diritto unionale nelle zone di transito possa estendersi anche allo scenario in cui le proposte della Commissione europea trovino realizzazione. Sarà interessante, a questo proposito, valutare come si muoverà la Corte in caso di riforma della normativa secondaria in senso deteriore per le garanzie fin qui affermatesi.
L’approccio di fondo seguito dai giudici europei nella sentenza in esame, infatti, deve poter conservare la sua validità: diritti quali quello al non refoulement e alla libertà personale della persona migrante andranno tutelati anche e soprattutto in luoghi “d’ombra” o di “non-diritto”[67] quali le frontiere esterne, ove non sempre i valori di cui all’art. 2 TUE, su cui fonda l’Unione, trovano piena affermazione.
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European Papers, Vol. 5, 2020, No 3, European Forum, Insight of 27 January 2021, pp. 1385-1398
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/440
* Dottoranda, Università di Torino, eleonora.celoria@unito.it.
[1] Si veda, a esempio: Hungarian Helsinki Committee (HHC), Crossing a Red Line. How EU Countries Undermine the Rights to Liberty by Expanding the Use of Detention of Asylum Seekers upon Entry, 2019, www.helsinki.hu.
[2] Nel 2017 il tasso di detenzione dei richiedenti asilo in Ungheria era pari al 73.5%. HHC, Crossing a Red Line, cit., p. 9.
[3] Corte di giustizia, sentenza del 14 maggio 2020, cause riunite C-924/19 PPU e C-925/19 PPU, FMS e altri.
[4] Le questioni sottoposte ai giudici europei hanno riguardato l’interpretazione di disposizioni della Direttiva rimpatri (2008/115) e delle Direttive in materia di procedure di riconoscimento del diritto di asilo (2013/33) e di modalità di accoglienza dei richiedenti asilo (2013/32).
[5] Corte di giustizia, sentenza del 17 dicembre 2020, C-808/18, Commissione Europea c. Ungheria.
[6] L. Marin, La Corte di Giustizia Riporta le ‘Zone di Transito’ Ungheresi Dentro il Perimetro del Diritto (Europeo) e dei Diritti (Fondamentali), in ADIM Blog, 30 maggio 2020, www.adimblog.com.
[7] Sul rapporto tra procedure di frontiera e detenzione: G. Cornelisse, Territory, Procedure and Rights: Border Procedure in European Asylum Law, in Refugee Survey Quaterly, 2016, p. 74 et seq. Sull’espansione del ricorso allo strumento detentivo in Europa, I. Majcher, M. Flynn, M. Grange, Immigration Detention in the European Union. In the Shadow of the “Crisis”, New York: Springer International Publishing, 2020.
[8] Sulla privazione della libertà personale in frontiera, ed in particolare negli hotspots, si veda: F. Cancellaro, Dagli Hotspot ai “Porti Chiusi”: Quali Rimedi per la Libertà Sequestrata alla Frontiera?, in Sistema Penale, 2020, p. 428 et seq.
[9] L’illegittimità di siffatte prassi è stata sancita inequivocabilmente dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Khlaifia (Corte europea dei diritti dell’uomo [GC], sentenza del 15 dicembre 2016, n. 16483/12, Khlaifia e altri c. Italia), su cui, ex multis, M. Savino, L’«Amministrativizzazione» della libertà personale e del due process dei migranti: il caso Khlaifia, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2015, p. 50 et seq. e P. Bonetti, Khlaifia contro Italia: l’illegittimità di norme e prassi italiane sui respingimenti e trattenimenti degli stranieri, in Quaderni costituzionali, 2017, p. 176 et seq.
[10] Comunicazione della Commissione COM (2015) 240 final, Agenda Europea sulla Migrazione, p. 7. Sul punto, G. Campesi, Seeking Asylum in Times of Crisis: Reception, Confinement, and Detention at Europe’s Southern Border, in Refugee Survey Quarterly, 2018, p. 44 et seq.
[11] Comunicazione della Commissione COM (2020) 609 final del 23 settembre 2020, Un Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo.
[12] Comunicazione COM(2020) 609, cit., p. 5.
[13] FMS e altri, cit., par. 116.
[14] Corte di giustizia: sentenza dell’11 dicembre 2014, C-249/2013, Boudjlia; sentenza dell’8 maggio 2018, C-82/2016, K.A. e altri.
[15] Per una analisi critica dell’impatto che la nozione di “Paese sicuro” può avere sulle garanzie previste in materia di diritto d’asilo, si vedano: C. Costello, The Asylum Procedures Directive and the Proliferation of Safe Country Practices: Deterrence, Deflection and the Dismantling of International Protection?, in European Journal of Migration and Law, 2005, p. 35 et seq; V. Moreno-Lax, Solidarity’s Reach: Meaning, Dimensions and Implications for EU (External) Asylum Policy, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 2017, p. 740 et seq.; C. Pitea, La Nozione di “Paese di origine sicuro” e il suo Impatto per le Garanzie dei Richiedenti Protezione Internazionale in Italia, in Rivista di Diritto Internazionale, 2019, p. 627 et seq.
[16] Art. 13, par. 1, Direttiva CE/2008/115.
[17] Per l’individuazione del criterio di indipendenza del giudice, la Corte si rifà al filone della sua giurisprudenza concernente il rispetto dello stato di diritto, ed in particolare alle sentenze del 27 febbraio 2018, causa C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses; del 25 luglio 2018, causa C-216/18, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario); del 19 novembre 2019, cause riunite C-585/18, C-624/18 e C-625/18, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema).
[18] Corte di giustizia, sentenza del 13 dicembre 2017, causa C-403/16, El Hassani, par. 39.
[19] FMS e altri, cit., par. 143-144. Sulla possibilità, per il diritto dell’Unione, di prevedere l’introduzione di nuovi rimedi, per garantire i diritti fondamentali da questo previsti, si veda già la posizione assunta dalla Corte in Unibet (Corte di giustizia, sentenza del 13 marzo 2007, causa C-432/05, Unibet).
[20] Così F.L. Gatta, Diritti Umani e Stato di Diritto alle Frontiere: lo “Scontro” tra le Corti Europee sul Trattenimento dei Migranti nelle Zone di Transito, in Osservatorio Costituzionale, 2020, p. 111 et seq. Più in generale, sugli spazi per l’affermazione di una “autonomia processuale” degli Stati Membri, si vedano: D.U. Galetta, Procedural Autonomy of the Member States: Paradise Lost?, New York: Springer International Publishing, 2010; M. Bobek, Why There is no Principle of “Procedural Autonomy” of the Member States, in B. De Witte, H. Micklitz, The European Court of Justice and autonomy of the Member States, Antwerp: Intersentia, 2011, p. 305 et seq.; A. Arnull, The Principle of Effective Judicial Protection in EU Law: an Unruly Horse?, in European Law Review, 2011, p. 51 et seq.
[21] Ciò era già stato chiarito da Corte di giustizia, sentenza del 17 aprile 2018, causa C-414/16, Egenberger, par. 78.
[22] Nozione disciplinata dall’art. 51, lett. f) della legge ungherese sull’asilo.
[23] UNHCR, Practical Considerations for Fair and Fast Border Procedures and Solidarity in the European Union, www.refworld.org.
[24] EU Agency for Fundamental Rights (FRA), Migration: Fundamental Rights Issues at Land Borders, fra.europa.eu; ASGI/Rivolti ai Balcani, The Balkan Route. Migrants Without Rights in the Earth of Europe, www.asgi.it.
[25] Il governo ungherese, in un caso del tutto simile (Tompa), aveva affermato che l’art. 51, par. 2, lett. f) costituisse l’implementazione del motivo di inammissibilità legato al “Paese terzo sicuro”, di cui all’art. 38 della Direttiva procedure. Corte di giustizia, sentenza del 19 marzo 2020, causa C-564/18, LH c. Bevándorlási és Menekügyi Hivatal (Tompa).
[26] Considerando n. 43 Direttiva UE/2013/32.
[27] Tompa, cit., par. 45 e ss.
[28] Art. 31 della Direttiva UE/2013/32.
[29] Ibid., Art. 38. Sul concetto di “Paese terzo sicuro”: V. Moreno-Lax, The Legality of the ‘Safe Third Country’ Notion Contested: Insights from the Law of Treaties, in G.S. Goodwin-Gill, P. Weckel (a cura di), Migration and Refugee Protection in the 21st Century: International Legal Aspects, Leiden, Boston: Martinus Nijhoff Publishers, 2015, p. 665 et seq.
[30] FMS e altri, cit., par. 156-159. Nella sentenza del 19 marzo 2020 la Corte, soffermandosi su questo aspetto, ha motivato che il legame di cui all’art. 38 deve essere “sufficiente a rendere ragionevole il rientro di tale richiedente verso detto paese”. Tompa, cit., par. 47-48.
[31] FMS e altri, cit., par. 154.
[32] Sulla detenzione amministrativa dei richiedenti asilo nell’Unione: C. Costello, M. Mouzourakis, EU Law and the Detainability of Asylum Seekers, in Refugee Survey Quaterly, 2016, p. 47 et seq. Sul rapporto tra detenzione del richiedente protezione e tutela dei suoi diritti: R. Palladino, La Detenzione dei Migranti: Regime Europeo, Competenze Statali e Diritti Umani, Napoli: Editoriale scientifica, 2018, p. 165 et seq. e E. Valentini, Detenzione Amministrativa dello Straniero e Diritti fondamentali, Torino: Giappichelli, 2018, p. 176 et seq.
[33] FMS e altri, cit., par. 223.
[34] Sul ricorso allo strumento detentivo in applicazione della Direttiva rimpatri, V. Mitsilegas, Immigration Detention, Risk and Human Rights in the Law of the European Union. Lessons from the Returns Directive, in M.J. Guia, R. Koulish, V. Mitsilegas, Immigration Detention, Risk and Human Rights, New York: Springer International Publishing, 2016, p. 25 et seq.; I. Majcher, The European Union Returns Directive and Its Compatibility with International Human Rights Law, Leiden/Boston: Brill-Nijhoff, 2020, p. 345 et seq.; F. Spitaleri, Il Rimpatrio e la Detenzione dello Straniero tra Esercizio di Prerogative Statali e Garanzie Sovranazionali, Torino: Giappichelli, 2017, p. 149 et seq.
[35] Corte europea dei diritti dell’uomo [GC], sentenza del 21 dicembre 2019, n. 47287/15, Ilias e Ahmed c. Ungheria.
[36] Per un commento critico sulla decisione della Corte europea: V. Stoyanova, The Grand Chamber Judgment in Ilias and Ahmed v Hungary: Immigration Detention and how the Ground beneath our Feet Continues to Erode, in Strasbourg Observers, 23 dicembre 2019, strasbourgobservers.com; S. Penasa, Paese Terzo Sicuro e Restrizione della Libertà delle Persone Richiedenti Asilo: il Caso Ilias e Ahmed c. Ungheria, in Quaderni Costituzionali, 2020, p. 180 et seq.
[37] Ilias e Ahmed c. Ungheria, cit., par. 246 et seq.
[38] Conclusioni dell’AG Pikamäe presentate il 23 aprile 2020, cause riunite C-924/19 PPU e C-925/19 PPU, FMS e altri, par. 149.
[39] Così anche S. Zirulia, Per Lussemburgo è “Detenzione”, per Strasburgo no: Verso un Duplice Volto della Libertà Personale dello Straniero nello Spazio Europeo?, in Sistema Penale, 25 maggio 2020, www.sistemapenale.it.
[40] L’AG, sulla base di tali elementi, era portato ad assimilare il “livello di restrizione della libertà di movimento” dei richiedenti asilo a quello di un “regime carcerario pressoché ordinario”, tale da poterlo qualificare quale trattenimento. Conclusioni dell’AG Pikamäe, FMS e altri, cit., par. 163.
[41] FMS e altri, cit., par. 229 (enfasi dell’autrice).
[42] Per una analisi critica delle garanzie attualmente in vigore, L. Tsourdi, Asylum Detention in EU Law: Falling between Two Stools?, in Refugee Survey Quaterly, 2016, p. 7 et seq.
[43] Si noti, tuttavia, che, al par. 264, esaminando il tema della durata massima del trattenimento, la Corte fa riferimento anche all’art. 6 della Carta.
[44] FMS e altri, cit., par. 257-259. Le garanzie previste, e violate, nel caso di specie, sono quelle di cui all’art. 9, Direttiva UE/2013/33. Si veda, altresì, Corte di Giustizia, sentenza del 14 settembre 2017, causa C-18/16, K.
[45] FMS e altri, cit., par. 273-275. In questo caso, i riferimenti normativi sono quelli di cui agli artt. 15 e 16 della Direttiva CE/2008/115, come interpretati, in particolare, in Corte di giustizia, sentenza del 5 giugno 2014, causa C-146/14, Mahdi.
[46] FMS e altri, cit., par. 290.
[47] Nei casi in cui si potrebbe applicare una procedura accelerata (art. 31, par. 8 Direttiva UE/2013/32).
[48] FMS e altri, cit., par. 235.
[49] Ibid.
[50] Ibid., par. 239, 240.
[51] Ibid, par. 254.
[52] Ibid.
[53] Il rischio di sovrapposizione tra le due misure appare maggiormente elevato negli Stati Membri situati alle frontiere esterne dell’Unione: I. Majcher, M. Flynn, M. Grange, Immigration Detention in the European Union, cit., pag. 255 et seq. Sulla situazione italiana, nello specifico, D. Loprieno, ‘Trattenere e punire’. La detenzione amministrativa dello straniero, Napoli: Editoriale Scientifica, 2018, p. 138 et seq.
[54] L. Marin, La Corte di giustizia riporta le ‘Zone di Transito’ ungheresi dentro il perimetro del diritto (europeo) e dei diritti (fondamentali), cit., p. 7.
[55] Sul carattere (scarsamente) innovativo della proposta: L. Jakulevičienė, Re-decoration of Existing Practices? Proposed Screening Procedures at the EU External Borders, in EU Migration Blog, 27 ottobre 2020, eumigrationlawblog.eu.
[56] Comunicazione della Commissione COM (2020) 612 final del 23 settembre 2020, Proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che introduce accertamenti nei confronti dei cittadini di Paesi terzi alle frontiere esterne e modifica i regolamenti (CE) n. 767/2008, (UE) 2017/2226, (UE) 2018/1240 e (UE) 2019/817.
[57] COM (2020) 611 final, cit., artt. 41 e 41 bis.
[58] L’Art. 40, par. 1, della proposta di regolamento amplia i casi in cui la domanda di asilo può essere esaminata in via accelerata, e dunque anche (o soprattutto) in frontiera.
[59] La durata massima della procedura di asilo alla frontiera è stata estesa a 12 settimane: COM (2020) 611 final, cit., art. 41. Le preoccupazioni per “la sorte dei richiedenti protezione internazionale alloggiati in strutture alla frontiera e nelle zone di transito, purtroppo in condizioni caratterizzate troppo spesso da un’estrema precarietà” (Conclusioni dell’AG Pikamäe, FMS e altri, cit., par. 131) non sono evidentemente confluite nelle più recenti valutazioni della Commissione europea.
[60] La presunzione di non ingresso della persona sul territorio dello Stato membro, tuttavia, resta una finzione giuridica, posto che gli Stati non possono sottrarsi all’obbligo di rispetto dei diritti fondamentali rinvenibili nelle convenzioni di diritto internazionale, nel diritto primario dell’UE e nelle tradizioni costituzionali degli stessi Stati. Così, N. Morandi, Le procedure accelerate per l’esame della domanda di protezione internazionale: analisi dell’art. 28-bis D. Lgs. n. 25/2008, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2020, p. 188 et seq.
[61] In questo senso, G. Campese, The EU Pact on Migration and Asylum and the Dangerous Moltiplication of ‘Anomalous Zones’ for Migration Management, in Asile Project, 27 novembre 2020, www.asileproject.eu.
[62] Si prevede, tuttavia, che il meccanismo di monitoraggio indipendente da istituire a tutela dei diritti fondamentali, in sede di controlli di pre-ingresso, possa avere ad oggetto anche il “rispetto delle norme nazionali che disciplinano il trattenimento della persona interessata”. COM (2020) 612 final, cit., art. 7, par. 2.
[63] COM (2020) 611 final, cit., art. 41 bis.
[64] Nel caso di rimpatrio, con la durata massima prevista dalla direttiva rimpatri.
[65] Si veda J. Vedsted-Hansen, Border Procedure: Efficient Examination or Restricted Access to Protection?, in EU Migration Blog, 18 dicembre 2020, eumigrationlawblog.eu.
[66] Così già nella comunicazione della Commissione COM (2016) 467 final del 23 settembre 2020, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell'Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE.
[67] Così F.L. Gatta, Diritti Umani e Stato di Diritto alle Frontiere, cit., p. 120.