Il commercio parallelo di farmaci tra libera circolazione delle merci e prospettive evolutive nell’ambito della nuova Strategia farmaceutica per l’Europa

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Abstract: Parallel trade of pharmaceuticals is one of the most contended issues emerging from this industrial sector, which requires to strike a sensitive balance between the fundamental tenets of the internal market (particularly the free movement of goods), the Member States’ competence in regulating the prices of medicines and the conflicting interests of manufacturers and patients. Against this background, this Insight addresses the decision rendered on 25 November 2021 by the Court of Justice in Case C-488/20 Delfarma ECLI:EU:C:2021:956 and further elaborates some prospective considerations on parallel trade in the light of the problem of medicines shortages in the European Union, considering the recent initiatives falling under the new Pharmaceutical Strategy for Europe.

Keywords: pharmaceuticals – parallel trade – EU internal market – free movement of goods – medicines shortages – Pharmaceutical Strategy for Europe.

I. Considerazioni introduttive sul commercio parallelo di farmaci nell’Unione europea

Il commercio parallelo di farmaci ad uso umano tra Stati membri dell’Unione europea costituisce una conseguenza strettamente collegata alle caratteristiche proprie del mercato di riferimento con riguardo a considerazioni di ordine sia regolatorio sia economico, che è opportuno richiamare brevemente[1] per fornire il contesto preliminare all’esame della sentenza Delfarma resa dalla Corte di giustizia il 25 novembre 2021,[2] oggetto del presente commento.

Per quanto riguarda il quadro normativo, il commercio parallelo di farmaci trova fondamento nei principi generali della libera circolazione delle merci, più precisamente nel divieto di restrizioni quantitative all’importazione e di misure di effetto equivalente sancito dall’art. 34 TFUE, e nelle eventuali giustificazioni ammissibili ai sensi dell’art. 36 TFUE, tra cui rilevano le ragioni attinenti alla “tutela della salute e della vita delle persone”, qui approfondite nella successiva analisi giurisprudenziale, nonché alla “tutela della proprietà industriale e commerciale” secondo la regola dell’esaurimento dei diritti esclusivi a livello regionale dell’Unione.[3] A ciò si aggiunge un pervasivo sistema di regolazione settoriale, che segue l’intero ciclo di vita dei prodotti medicinali, disciplinato dal diritto derivato dell’Unione europea[4] e dalle legislazioni nazionali. In questo senso, vengono primariamente in gioco le differenti politiche degli Stati membri adottate in materia di fissazione dei prezzi dei farmaci,[5] frutto della riserva di competenza espressamente prevista dall’art. 168(7) TFUE,[6] che rappresentano il principale determinante della pratica in esame rendendo possibile l’arbitraggio da parte dei rivenditori paralleli. Inoltre, è necessario che siano rispettati specifici requisiti relativi all’immissione in commercio,[7] in quanto il farmaco oggetto di importazione parallela deve possedere un’autorizzazione nello Stato membro di destinazione, rilasciata all’esito di una procedura semplificata qualora esso sia essenzialmente analogo, quanto agli effetti terapeutici e alla sicurezza d’uso, ad un medicinale già autorizzato in tale Paese.

Sotto il profilo economico, se è vero, come anticipato, che i medicinali rientrano nella nozione di merci ai fini dell’applicabilità del diritto dell’Unione in materia di mercato interno, essi nondimeno se ne distinguono in ragione di una molteplicità di fattori. Come è noto, i versanti dell’offerta e della domanda presentano delle peculiarità derivanti, da un lato, dalla diversa natura dei farmaci (branded o generici) prodotti dalle imprese farmaceutiche e, dall’altro, dall’asimmetria informativa e dalla c.d. price disconnection esistenti tra medico prescrivente e paziente, che rende la domanda di un determinato medicinale (su prescrizione) tendenzialmente inelastica rispetto ad eventuali variazioni di prezzo. Inoltre, anche al livello della distribuzione esiste una diversificazione tra categorie di soggetti: grossisti, farmacie e, appunto, rivenditori paralleli, che esportano medicinali da Stati membri in cui sono venduti a minore costo per importarli in quelli dove il prezzo è più elevato.[8] Tale pratica esercita conseguentemente un’influenza significativa sulle dinamiche concorrenziali del settore farmaceutico,[9] potendo favorire, in un’ottica di breve periodo, un abbassamento dei prezzi dei medicinali nei Paesi di importazione quale conseguenza dell’incremento della concorrenza intra-brand tra i prodotti già distribuiti e quelli importati, a beneficio dei pazienti-consumatori e, ancor di più, degli stessi operatori del commercio parallelo che trattengono una larga parte del profitto ottenuto dai differenziali dei prezzi di acquisto e di vendita tra i Paesi membri. Nel lungo periodo, potrebbero tuttavia prodursi ripercussioni negative sulla negoziazione dei prezzi dei farmaci a livello nazionale, determinate da una progressiva convergenza al rialzo, nonché, secondo la prospettiva delle imprese produttrici, sulle potenzialità di innovazione del settore disincentivando gli investimenti nei progetti di ricerca e sviluppo di nuove terapie.

Già da questa schematica premessa si evince pertanto come dal commercio parallelo di farmaci emergano interessi confliggenti, non solo in capo ai soggetti direttamente coinvolti (rivenditori paralleli, imprese farmaceutiche, autorità di settore, pazienti), ma più ampiamente sottesi agli stessi obiettivi del diritto dell’Unione, primario e derivato, rilevante in materia. Pur sviluppandosi tale fenomeno nel quadro delle regole fondamentali del mercato interno, su cui si basa il suo funzionamento, è altrettanto necessario ricercare un bilanciamento con l’autonomia riconosciuta agli Stati membri, in ossequio al principio di sussidiarietà, nella definizione delle politiche dei prezzi dei medicinali, nonché con le finalità di garantire la tutela della salute grazie a farmaci sicuri ed economicamente accessibili e di preservare la capacità di innovazione di un settore industriale strategico quale quello farmaceutico. Non sorprende quindi che la Corte di giustizia sia stata più volte chiamata a pronunciarsi in merito alla compatibilità di normative nazionali aventi un impatto restrittivo sul commercio parallelo di farmaci nel mercato interno, tanto con riferimento al diritto della concorrenza[10] quanto alla libera circolazione delle merci. In questo secondo ambito, la sentenza Delfarma qui in commento si inserisce in un avviato filone giurisprudenziale affrontando in particolare il requisito dell’autorizzazione all’importazione parallela e gli obblighi di farmacovigilanza, come sarà meglio chiarito di seguito.

II. La sentenza Delfarma del 25 novembre 2021: una decisione in linea di continuità con la precedente giurisprudenza della Corte di giustizia

La pronuncia, resa in sede di rinvio pregiudiziale, ha tratto origine da una controversia tra la società Delfarma, attiva nel commercio parallelo di farmaci in Polonia, e l’Ufficio dei medicinali di tale Stato membro, relativamente alla scadenza dell’autorizzazione all’importazione parallela, dalla Repubblica ceca, del medicinale Ribomunyl quale conseguenza automatica della scadenza dell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) rilasciata in Polonia per lo stesso farmaco.[11] Più precisamente, l’AIC del medicinale di riferimento era scaduta in data 25 settembre 2018, da cui, decorso il termine di un anno, è giunta a scadenza, ipso iure, anche l’autorizzazione all’importazione parallela, dichiarata con decisione del 24 settembre 2019 dall’Ufficio dei medicinali sulla base della pertinente legislazione polacca.[12] A seguito di impugnazione del provvedimento da parte della società Delfarma, il Tribunale amministrativo competente ha rilevato possibili profili di contrasto tra la normativa nazionale e gli art. 34 e 36 TFUE, sottoponendo alla Corte di giustizia tre quesiti pregiudiziali in merito. I profili su cui è stato richiesto l’intervento del giudice dell’Unione hanno riguardato, innanzitutto, l’esistenza di una restrizione alla libera circolazione delle merci vietata dall’art. 34 TFUE, determinata dall’automatismo del termine di scadenza dell’autorizzazione all’importazione parallela senza tenere conto dei motivi che avevano comportato la scadenza dell’AIC del medicinale di riferimento, né di eventuali ragioni di tutela della sanità pubblica che rientrano tra le giustificazioni ammissibili ai sensi dell’art. 36 TFUE. Inoltre, è stata posta in dubbio la fondatezza della decisione assunta in applicazione del diritto polacco, in quanto basata sulla circostanza per cui l’importatore parallelo fosse esonerato da obblighi di farmacovigilanza, spettanti, in forza della direttiva 2001/83, unicamente al titolare dell’AIC del medicinale di riferimento,[13] con la conseguenza che le autorità competenti dello Stato membro di importazione non avrebbero potuto disporre di rapporti periodici di aggiornamento sulla sicurezza del farmaco.

La Corte di giustizia, affrontando congiuntamente le questioni pregiudiziali, ha richiamato preliminarmente la propria giurisprudenza in materia[14] per affermare che una normativa nazionale come quella in questione, avente l’effetto di impedire in via automatica l’importazione in Polonia di medicinali oggetto di commercio parallelo, sia tale da costituire una restrizione alla libera circolazione delle merci ai sensi dell’art. 34 TFUE.[15] Proseguendo, secondo l’approccio consolidato, con la verifica della sussistenza di possibili giustificazioni, è stata in ogni caso ribadita l’ammissibilità di un collegamento tra la revoca dell’autorizzazione all’importazione parallela e la revoca dell’AIC di riferimento, se fondato su ragioni di carattere generale oppure, in casi concreti, di tutela della sanità pubblica quale deroga espressamente prevista dall’art. 36 TFUE,[16] limitatamente a quanto necessario per il perseguimento di questo scopo. In proposito, la Corte ha rilevato in prima battuta l’idoneità della legge polacca applicabile a garantire tale finalità di protezione, potendo impedire l’importazione parallela di un medicinale rispetto al quale l’autorità responsabile della farmacovigilanza nello Stato membro di importazione non dispone di dati sulla sicurezza a seguito della scadenza dell’AIC del farmaco di riferimento. In seconda battuta, all’esito dell’esame della proporzionalità di tali disposizioni, non è stata tuttavia ravvisata “alcuna ragione specifica relativa alla tutela della sanità pubblica”[17] che imponga la scadenza dell’autorizzazione all’importazione parallela quale conseguenza automatica della scadenza dell’AIC di riferimento, non essendo la revoca di quest’ultima fondata sull’esame di rischi per la salute e la vita delle persone, né tantomeno sull’esistenza di un simile pregiudizio.[18] Inoltre, con riferimento al profilo dell’aggiornamento dei dati relativi alla sicurezza del farmaco nello Stato membro di importazione, obbligo cui gli operatori del commercio parallelo non sono tenuti, il giudice dell’Unione ha ritenuto che non possa essere annoverato tra le ragioni di carattere generale in grado di giustificare l’automatismo previsto dalla disciplina nazionale. Rifacendosi nuovamente ai propri precedenti sul punto,[19] ha infatti sottolineato come l’autorità responsabile della farmacovigilanza nello Stato membro di importazione possa, grazie a sistemi di cooperazione, avere accesso alle informazioni sul medicinale raccolte negli Stati membri in cui esso sia ancora commercializzato sulla base di una valida AIC, nonché avvalersi dei rapporti periodici sulla sicurezza e delle segnalazioni degli effetti collaterali negativi reperibili tramite la banca dati EudraVigilance.[20] Gli oneri amministrativi e le spese derivanti da tali attività di ricerca delle informazioni non sono peraltro stati giudicati eccessivamente sproporzionati rispetto agli adempimenti ragionevolmente richiesti alle autorità competenti in materia di farmacovigilanza.[21]

Concludendo quindi nel senso dell’incompatibilità della normativa polacca sulla revoca automatica dell’autorizzazione all’importazione parallela con gli art. 34 e 36 TFUE, in particolare alla luce del vaglio della proporzionalità rispetto agli obiettivi di tutela della salute, la Corte di giustizia non è apparsa discostarsi dai principi già stabiliti in precedenti analoghi, talora anche risalenti, che possono ritenersi consolidati quanto alla valutazione delle restrizioni al commercio parallelo di farmaci nella prospettiva della libera circolazione delle merci. Sebbene, per giurisprudenza costante, la salute e la vita delle persone siano poste al vertice della gerarchia dei valori su cui si fondano le deroghe di cui all’art. 36 TFUE e il livello di tutela da assicurare ai cittadini vada stabilito a livello nazionale, nei limiti imposti dal diritto dell’Unione,[22] lo Stato membro interessato è in ogni caso tenuto a dimostrare che la propria legislazione, pur incidente negativamente sugli scambi intracomunitari di prodotti medicinali (in particolare nella forma delle importazioni parallele), sia non solo idonea al raggiungimento di tale finalità di protezione, ma altresì conforme al principio di proporzionalità, dovendo pertanto provare che sussistano rischi effettivi per la salute e che la normativa in questione non ecceda quanto necessario per tutelarla. Si conferma così un’impostazione restrittiva da parte della Corte, che attribuisce priorità, nel menzionato bilanciamento di interessi generati dalla pratica del commercio parallelo, alle esigenze di preservare la libera circolazione delle merci e la concorrenza tra operatori nel mercato interno dell’Unione.

III. Il commercio parallelo di farmaci nella prospettiva delle iniziative legislative, in particolare della nuova Strategia farmaceutica per l’Europa

La sentenza appena esaminata, trattando delle importazioni parallele di farmaci sotto il profilo della libera circolazione delle merci, offre spunti di riflessione, oltre che sul merito della decisione, anche nella dimensione più ampia delle prospettive di intervento delle istituzioni europee in relazione all’impatto di tale fenomeno sulla problematica delle carenze di medicinali negli Stati membri. Se, come si è visto, la giurisprudenza della Corte di giustizia appare tendenzialmente consolidata sull’approccio rigoroso finalizzato al rispetto dei principi fondamentali del mercato interno, è altrettanto necessario valutare il ruolo che il commercio parallelo può rivestire tra le possibili cause di emergenze dovute alla carente disponibilità di farmaci negli Stati membri dai quali, in ragione dei prezzi maggiormente bassi, i prodotti sono esportati. Tali situazioni, e le gravi conseguenze per la sanità pubblica che possono comportare, sono state oggetto di crescente attenzione a livello europeo, in particolare da parte della Commissione, rispetto alla quale si tenterà di fornire una breve panoramica a completamento dell’analisi giurisprudenziale svolta.

In questo ulteriore contesto, è opportuno richiamare, preliminarmente, gli obblighi di servizio pubblico che il diritto dell’Unione impone ai titolari di un’AIC di un farmaco e ai distributori di un farmaco immesso in commercio in uno Stato membro, sulla base dei quali sono tenuti, nei limiti delle rispettive responsabilità, ad assicurare forniture appropriate e continue del medicinale in questione per soddisfare le esigenze dei pazienti in quel determinato paese.[23] Inoltre, nel caso di interruzioni della commercializzazione di un farmaco in uno Stato membro, il titolare dell’AIC deve darne adeguata informazione alle autorità nazionali competenti con un anticipo di almeno due mesi.[24] Ferme restando queste disposizioni, casi di carenze di farmaci negli Stati membri non sono tuttavia infrequenti e possono originare, ad esempio e per quanto qui interessa, da esportazioni effettuate dai distributori verso operatori in altri Stati membri. In questo senso, nell’ambito dei lavori del Comitato farmaceutico istituito dalla Commissione europea è stato elaborato un documento, pubblicato nel 2018,[25] all’esito del monitoraggio riguardante l’attuazione degli obblighi di servizio pubblico sopra menzionati, nel quale si individuano i limiti alle restrizioni che gli Stati membri possono introdurre alla libera circolazione dei prodotti farmaceutici al fine di prevenire carenze nelle forniture. In particolare, riecheggiando i principi già seguiti anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia, tali limitazioni devono essere “adeguate, necessarie e proporzionate a tutelare la salute e la vita delle persone prevenendo l’insorgere della carenza di medicinali”, nonché “adottate in base a criteri trasparenti, accessibili al pubblico e non discriminatori che sono noti in anticipo agli operatori economici, in modo da garantire che qualunque restrizione non venga imposta in modo arbitrario”. Seppure entro un perimetro ben definito, tali indicazioni testimoniano, ancora una volta, la volontà di trovare un equilibrio tra i principi di libera circolazione che costituiscono il fondamento del mercato interno e la prevenzione di possibili fenomeni distorsivi che ne possono derivare, rispetto alle quali è necessario apprestare adeguate misure di intervento.

Anche in tempi più recenti, la risoluzione della questione delle carenze di medicinali nell’Unione è rimasta tra le principali priorità politiche,[26] divenuta ancor più pressante alla luce dell’emergenza pandemica, ed è stata inclusa nel quadro dell’ampia iniziativa di riforma sulla nuova Strategia farmaceutica per l’Europa,[27] proposta dalla Commissione a novembre 2020 quale pilastro fondamentale della costruzione di un’Unione europea della salute.[28] In particolare, l’obiettivo di contrastare le carenze e garantire l’obbligo di fornitura continua è specificamente trattato nell’ambito della linea di azione dedicata al rafforzamento della resilienza, enumerando, tra i motivi “complessi” da cui origina tale problematica, “il commercio parallelo, […], la debolezza degli obblighi di servizio pubblico, […] le questioni legate alla fissazione dei prezzi e al rimborso”.[29] Per il raggiungimento di questa finalità, la Commissione illustra, da un lato, una serie di misure legislative focalizzate sulla catena di approvvigionamento dei medicinali[30] e, dall’altro, forme di cooperazione che possano orientare l’elaborazione delle politiche nazionali in materia di prezzi e rimborso dei farmaci. Inoltre, viene fatto espresso rinvio ad uno studio volto ad approfondire le cause dei fenomeni di carenza dei medicinali e del relativo quadro giuridico, che è successivamente stato pubblicato a dicembre 2021.[31] Con riferimento ai profili rilevanti in questa sede, è interessante notare come il commercio parallelo abbia registrato valutazioni divergenti tra gli stakeholders richiesti di individuare le motivazioni delle carenze di farmaci verificatesi tra il 2004 e il 2020,[32] con la conseguenza che esso non è stato considerato come causa specifica di tali situazioni, ma soltanto annoverato nella più ampia categoria delle problematiche connesse alla catena distributiva. Ciononostante, nella formulazione delle raccomandazioni volte ad informare le future misure legislative dell’Unione, alcune di esse hanno espressamente riguardato il fenomeno delle importazioni parallele, più precisamente le proposte di elaborazione di principi comuni per l’adozione di provvedimenti nazionali aventi effetti restrittivi sugli scambi tra Stati membri e di mantenimento di un margine di flessibilità per le importazioni in casi di emergenza (quali il ritiro di un determinato farmaco dal mercato o carenze particolarmente gravi). Si è tuttavia ribadita la necessaria conformità di ogni eventuale soluzione da adottarsi, sotto il primo profilo, con il diritto primario in materia di libera circolazione delle merci nel mercato interno e, sotto il secondo profilo, con la legislazione secondaria a carattere settoriale (ad esempio, quanto ai requisiti per l’autorizzazione all’importazione).

In attesa di verificare quali saranno, in concreto, gli interventi che la Commissione europea intraprenderà per affrontare situazioni di carenze di farmaci, alla luce degli obiettivi individuati nella nuova Strategia farmaceutica e delle proposte elaborate nello studio pubblicato lo scorso dicembre, che sono destinati ad avere ripercussioni significative sui flussi del commercio parallelo all’interno dell’Unione, emerge nuovamente, sul piano generale, l’interdipendenza delle competenze in capo alle istituzioni e agli Stati membri che contraddistingue la politica della salute pubblica. A conclusione di queste brevi considerazioni, appare infatti chiaro l’intento non solo di adottare misure migliorative della normativa europea già esistente, ma anche di esercitare in modo effettivo il potere di coordinamento dell’azione degli Stati membri in ambiti, quali ad esempio la politica dei prezzi e rimborsi dei medicinali, che, pur rimanendo di loro esclusiva responsabilità, presentano margini di ulteriore “integrazione” al fine di raggiungere più efficacemente gli scopi di protezione sottesi alla materia in questione.[33] In quest’ottica, sembra quindi delinearsi l’ulteriore potenziale[34] della menzionata Unione europea della salute, per il momento nei limiti dell’attuale art. 168 TFUE e, se vi sarà la volontà politica di riforma dei Trattati, nel quadro di una futura base giuridica ancor più incisiva.

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European Papers, Vol. 7, 2022, No 1, European Forum, Insight of 6 May 2022, pp. 69-78
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/547

* Ricercatore a tempo determinato di Diritto dell’Unione europea, Università degli Studi di Verona, diletta.danieli@univr.it.

[1] Più ampiamente sul commercio parallelo di farmaci, vedi, tra gli altri, H Later-Nijland, ‘Parallel Trade’ in S Shorthose (a cura di) Guide to EU Pharmaceutical Regulatory Law (Wolters Kluwer 2017) 641; E Navarro Varona e C Caballero Candelario, ‘The Pharmaceutical Sector and Parallel Trade’ e P Caro de Sousa, ‘Free Movement and Competition in the European Market for Pharmaceuticals’, entrambi in P Figueroa e A Guerrero (a cura di), EU Law of Competition and Trade in the Pharmaceutical Sector (Edward Elgar Publishing 2019) rispettivamente 405 e 431.

[2] Causa C-488/20 Delfarma ECLI:EU:C:2021:956.

[3] Come chiarito già nella risalente giurisprudenza della Corte di giustizia: cfr. causa 78/70 Deutsche Grammophon Metro SB ECLI:EU:C:1971:59. Su tali profili, anche nella prospettiva del diritto internazionale e comparato, che esulano dal limitato ambito di indagine di questo commento, cfr. I Calboli e E Lee (a cura di), Research Handbook on Intellectual Property Exhaustion and Parallel Imports (Edward Elgar Publishing 2016).

[4] Si rinvia a S Shorthose (a cura di) Guide to EU Pharmaceutical Regulatory Law cit., per una trattazione esaustiva sul vasto corpus normativo in materia.

[5] L’unico atto di diritto derivato emanato in questo ambito (direttiva 89/105/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988 riguardante la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi delle specialità per uso umano e la loro inclusione nei regimi nazionali di assicurazione malattia), stabilisce solamente requisiti procedurali finalizzati ad ottenere “una visione d'insieme delle intese nazionali in materia di prezzi”, rappresentando tuttavia uno strumento ormai datato e non particolarmente efficace.

[6] L’art. 168 TFUE costituisce, come è noto, la base giuridica specifica della competenza di sostegno e coordinamento detenuta dall’Unione europea nel settore della sanità pubblica, che, oltre a prevedere una generale clausola di mainstreaming di un livello elevato di protezione della salute in tutte le politiche (par. 1), circoscrive gli ambiti di intervento delle istituzioni a misure finalizzate ad “affrontare problemi comuni di sicurezza” (par. 4) e “di incentivazione per proteggere e migliorare la salute umana” (par. 5). In argomento v. amplius TK Hervey e JV McHale, European Union Health Law: Themes and Implications (Oxford University Press 2015); F Bestagno, ‘La tutela della salute tra competenze dell’Unione europea e degli Stati membri’ (2017) Studi sull’integrazione europea 317; A de Ruijter, EU Health Law and Policy: The Expansion of EU Power in Public Health and Health Care (Oxford University Press 2019); C Pesce, ‘Sanità’ in P De Pasquale e F Ferraro (a cura di), Manuale di diritto dell’Unione europea di Giuseppe Tesauro (Editoriale scientifica 2021) 469.

[7] La disciplina sull’immissione in commercio di farmaci per uso umano nel territorio dell’Unione europea, che prevede procedure alternative a livello centralizzato e nazionale, è stata armonizzata mediante la direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 novembre 2001 recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano e il regolamento (CE) n. 726/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 che istituisce procedure comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l’agenzia europea per i medicinali. In proposito, si rinvia a M Martens e N Carbonelle, ‘The EU Regulatory Framework for Medicinal Products for Human Use’ in P Figueroa e A Guerrero (a cura di), EU Law of Competition and Trade cit. 503, 519-532.

[8] Da un punto di vista geografico, il commercio parallelo di farmaci origina, tradizionalmente, dagli Stati membri meridionali (Paesi di esportazione), che mantengono livelli di prezzo mediamente più bassi, verso i mercati degli Stati membri del nord dell’Unione (Paesi di importazione). Secondo i dati annualmente aggiornati dalla Federazione europea delle associazioni e delle industrie farmaceutiche (EFPIA), il valore delle importazioni parallele in Europa ha raggiunto i 5.758 milioni di euro nel 2019, rappresentando in alcuni Stati membri una significativa percentuale delle vendite nel mercato di riferimento (ad esempio, il 25 percento in Danimarca, il 9,8 in Svezia e l’8,7 in Germania): cfr. EFPIA, The Pharmaceutical Industry in Figures. Key Data 2021www.efpia.eu 4-5. In Italia, l’impatto di tale fenomeno è in generale limitato, ma comunque in crescita, ed è stato analizzato, per la prima volta, nel 2021 da Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali 2016-2018 sull’importazione parallela ed esportazione dei medicinali per uso umano, 1° Rapporto nazionale 2016-2018 www.aifa.gov.it.

[9] Per ulteriori approfondimenti sui profili economici del commercio parallelo di farmaci, qui solo accennati, v., tra gli altri, P Kanavos e J Costa-Font, ‘Pharmaceutical Parallel Trade in Europe: Stakeholders and Competition Effects’ (2005) Economic Policy 753; F Müller-Langer, ‘Parallel Trade and its Ambiguous Effects on Global Welfare’ (2012) Review of International Economics 177; B Durand, ‘Competition Law and Pharma: An Economic Perspective’ in P Figueroa and A Guerrero (a cura di), EU Law of Competition and Trade cit. 22-27.

[10] Esulando tale casistica dall’ambito di indagine di questa analisi, sia consentito il rinvio a D Danieli, The EU Pharmaceutical Market: Crossing Paths Between Regulation, Competition Law and Free Movement (Edizioni Scientifiche Italiane 2020) 32-52.

[11] Secondo la normativa polacca applicabile (art. 33a della legge del 6 settembre 2011 recante disciplina del diritto farmaceutico), la scadenza dell’AIC di un medicinale è prevista in conseguenza della mancata immissione in commercio dello stesso entro un termine di tre anni dal rilascio dell’autorizzazione, o laddove il farmaco non sia stato immesso in commercio per un periodo di tre anni consecutivi, non incidendo invece eventuali profili di rischio per la salute umana.

[12] Si trattava dell’art. 21a(3a) della legge polacca del 2011 in materia di diritto farmaceutico cit.

[13] Al riguardo si vedano l’art. 104 e seguenti della direttiva 2001/83.

[14] In particolare, la causa C-172/00 Ferring ECLI:EU:C:2002:474, in cui la cessazione automatica della validità dell’autorizzazione all’importazione parallela di un farmaco, in ragione della revoca dell’AIC del medicinale di riferimento su istanza del suo titolare, era stata giudicata incompatibile con l’art. 28 TCE (attuale art. 34 TFUE), a meno che non fosse sorretta da motivi attinenti alla tutela della sanità pubblica di cui all’art. 30 TCE (attuale art. 36 TFUE). La revoca dell’AIC determinata dalla volontà del relativo titolare non sarebbe infatti in grado di incidere sulla qualità, sicurezza ed efficacia del farmaco, che rimane legittimamente commercializzato nello Stato membro di esportazione sulla base dell’autorizzazione rilasciata in tale Paese (Ferring cit. par. 36).

[15] Delfarma cit. par. 33.

[16] Anche in questo senso, confermando l’orientamento già espresso nella causa C-15/01 Paranova Läkemedel e a. ECLI:EU:C:2003:256, in cui la Corte, sulla scia del precedente Ferring cit., non aveva ritenuto contrastante con gli art. 28 e 30 TCE una normativa nazionale che avesse l’effetto di restringere le importazioni parallele di un farmaco in forza della revoca dell’AIC del medicinale di riferimento, se giustificata da ragioni di tutela della salute (più precisamente, nella misura in cui la revoca dell’autorizzazione all’importazione parallela era finalizzata a prevenire un rischio derivante dal mantenimento del farmaco in questione nel mercato dello Stato membro di importazione).

[17] Delfarma cit. par. 41.

[18] I requisiti a carattere temporale previsti per la scadenza di un’AIC, secondo la normativa nazionale rilevante, sono già stati precedentemente richiamati.

[19] Cfr. Ferring cit. par. 38, dove la Corte di giustizia ha sostenuto che una adeguata farmacovigilanza sul medicinale importato parallelamente potesse continuare ad essere assicurata mediante una collaborazione tra le competenti autorità degli Stati membri in cui il medicinale di riferimento è ancora oggetto di una valida AIC (successivamente, v. anche causa C-602/19 Kohlpharma ECLI:EU:C:2020:804, par. 47-48).

[20] La banca dati European Union Drug Regulating Authorities Pharmacovigilance, operativa dal dicembre 2001, è gestita dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e raccoglie le segnalazioni di reazioni avverse ai medicinali autorizzati (oppure oggetto di trials clinici) nello Spazio Economico Europeo: cfr. European Medicines Agency, EudraVigilance www.ema.europa.eu.

[21] Richiamando sul punto la precedente causa C-387/18 Delfarma ECLI:EU:C:2019:556.

[22] Come affermato sin dalla causa 104/75 De Peijper ECLI:EU:C:1976:67.

[23] Art. 81 della direttiva 2001/83 cit.

[24] Art. 23 bis della direttiva 2001/83 cit.

[25] Commissione europea, Documento sull'obbligo di fornitura continua inteso a contrastare il problema della carenza di medicinali. Approvato in sede di riunione tecnica ad hoc nell'ambito del comitato farmaceutico sulla carenza di medicinali il 25 maggio 2018 ec.europa.eu.

[26] Si veda, ad esempio, la risoluzione del Parlamento europeo del 17 settembre 2020 sulla penuria di medicinali - come affrontare un problema emergente, in cui si invita espressamente la Commissione “a valutare l’impatto del commercio parallelo sulla carenza di medicinali negli Stati membri e ad affrontare in modo adeguato i problemi, adottando le misure necessarie per garantire che i medicinali raggiungano tutti i pazienti nell’UE in modo tempestivo” (par. 67).

[27] Comunicazione COM(2020) 761 final della Commissione del 25 novembre 2020 sulla strategia farmaceutica per l’Europa.

[28] Per approfondimenti sulle prospettive evolutive, v. il numero speciale ‘Beyond COVID-19: Towards a European Health Union’ (2020) European Journal of Risk Regulation (in particolare, i contributi di A Alemanno, 'Towards a European Health Union: Time to Level Up' 721; T Hervey e A De Ruijter, 'The Dynamic Potential of European Union Health Law' 726; G Bazzan, 'Exploring Integration Trajectories for a European Health Union' 736; V Delhomme, 'Emancipating Health from the Internal Market: For a Stronger EU (Legislative) Competence in Public Health' 747; M Guy, 'Towards a European Health Union? What Role for Member States?' 757).

[29] Comunicazione COM(2020) 761 final cit. par. 4.1.

[30] Tali misure sono peraltro indicate tra le “iniziative faro sull’autonomia strategica aperta” dell’Unione nel settore dei medicinali, con una proposta di revisione della legislazione applicabile prevista per l’anno 2022: comunicazione COM(2020) 761 final cit. par. 4.1.

[31] Commissione Europea, Future-proofing Pharmaceutical Legislation – Study on Medicines Shortages, Final report (Revised) op.europa.eu.

[32] Anche in questo contesto, è emersa infatti la già ricordata contrapposizione di interessi tra i rappresentanti delle imprese produttrici (in particolare di farmaci branded), per i quali il commercio parallelo è tra le principali cause che hanno influenzato negativamente la capacità di assicurare l’approvvigionamento di medicinali, e gli stessi importatori paralleli (rappresentati nell’associazione Affordable Medicines Europe), che non hanno ravvisato un collegamento significativo tra tale forma di commercio e le situazioni di carenza di farmaci: cfr. Commissione Europea, Future-proofing Pharmaceutical Legislation cit. par. 5.5.

[33] Già in precedenza, in dottrina era stata sottolineata la capacità espansiva della competenza dell’Unione ai sensi dell’art. 168(7) TFUE: JW van den Gronden e E Szyszczak, ‘Conclusions: Constructing a ‘Solid’ Multi-Layered Health Care Edifice’ in JW van den Gronden ed altri, (a cura di) Health Care and EU Law (TMC Asser Press 2011) 481.

[34] Sul punto, v. T Hervey e A De Ruijter, ‘The Dynamic Potential of European Union Health Law’ cit.

 

 

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