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Abstract: In the case law of the CJEU, Art. 51 of the Charter of Fundamental Rights of the European Union is often read as based on a dichotomic distinction between national rules and behaviors falling within and, respectively, outside the scope of the Charter. Only the first category of rules and behaviors shall abide by the Charter, while the second category can, in principle, derogate from it. In its recent judgment of 24 June 2019 in case C-619/18, Commission v. Poland (Indépendance de la Cour suprême), the Grand Chamber of the Court of Justice seems to depart from this classical conception and to shape, albeit implicitly, a third genus of situations: those where national provisions falling in principle outside the scope of the Charter must, however, abide by the Charter if they are implementing obligations flowing from the founding Treaties.
Keywords: Art. 47 of the Charter of Fundamental Rights – Commission v. Poland (Indépendance de la Cour suprême) – Åkerberg Fransson – Art. 19 TEU – direct effects – indirect effects.
I. Situazioni europee e situazioni nazionali ai sensi dell’art. 51 della Carta
Il tema dei rapporti tra la Carta dei diritti fondamentali e le norme nazionali è, notoriamente, complesso. Due questioni sembrano emergere a prima vista. La prima, ben nota in dottrina e in giurisprudenza, concerne la determinazione dell’ambito di applicazione della Carta. La seconda, meno esplorata, riguarda il tipo di effetti prodotti dalla Carta rispetto alle norme nazionali ricadenti nel suo ambito di applicazione.
Quanto alla prima questione, è noto che l’art. 51 della Carta stabilisce, al par. 1, che le norme in essa contenute “si applicano […] agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione” (corsivo aggiunto). La Corte di giustizia ha interpretato tale disposizione, in particolare in Åkerberg Fransson, nel senso che le norme della Carta debbano applicarsi all’atto nazionale che “rientr[i] nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione”.[1] Giacché non possono “esistere casi rientranti nel diritto dell’Unione senza che tali diritti fondamentali trovino applicazione”, “[l]’applicabilità del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta”.[2] Specularmente, sempre in Åkerberg Fransson, la Corte di giustizia ha anche chiarito che la Carta non può produrre effetti rispetto agli atti nazionali che si collochino “al di fuori” delle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione europea.[3] Si tratterebbe peraltro di un’impossibilità assoluta, tanto che le norme della Carta non potrebbero essere applicate nei confronti di un atto nazionale che non rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione neppure se fossero, da esso, espressamente richiamate.[4]
Dall’art. 51 della Carta, e dalla dottrina Åkerberg Fransson, scaturirebbe dunque una rigida dicotomia: allorché gli Stati membri adottino atti rientranti nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, si applicherebbe la Carta; allorché gli Stati membri adottino atti non rientranti nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, si applicherebbero le rispettive Costituzioni nazionali. Non vi è posto, in questa concezione dicotomica, per situazioni, per così dire, “intermedie”.
Questa considerazione apre la strada alla seconda questione, relativa alle problematiche derivanti dall’applicazione di tale rigida dicotomia. L’applicazione del modello dicotomico di Åkerberg Fransson, infatti, potrebbe determinare, pur se esclusivamente in via fattuale, differenziazioni di trattamento tra individui che si trovassero in situazioni, sì differenti de jure, ma de facto analoghe. Invero, applicando l’art. 51 della Carta e la dottrina Åkerberg Fransson, in talune circostanze (quelle collocabili nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione) gli individui godrebbero dei molteplici diritti loro riconosciuti in virtù della Carta mentre, in altre circostanze che pur potrebbero essere fattualmente analoghe (quelle non collocabili nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione), agli individui non sarebbe riconosciuta alcuna tutela.
A titolo esemplificativo si pensi alla materia del diritto del lavoro. In tale settore il lavoratore, che per ventura si trovi in una situazione ricadente nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, vedrebbe la propria sfera soggettiva di vantaggio notevolmente determinata per mezzo della Carta. Un altro lavoratore, in una situazione fattualmente analoga a quella del primo, ma che per ventura fosse puramente interna, non vedrebbe la sua sfera giuridica arricchita dalla Carta.
Tale differenziazione emerge, ad esempio, nel recente caso Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften.[5] In esso veniva in rilievo il diritto soggettivo ad un periodo annuale di ferie retribuite, il cui mancato riconoscimento può verificarsi, com’è evidente, tanto in situazioni sussumibili nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione quanto in situazioni puramente interne. La sentenza ha anzi tutto riconosciuto la diretta efficacia dell’art. 31, par. 2, della Carta: “[i]l diritto a un periodo di ferie annuali retribuite, sancito per ogni lavoratore dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, riveste […], quanto alla sua stessa esistenza, carattere allo stesso tempo imperativo e incondizionato”.[6] Subito, però, la Corte di giustizia ha precisato che tale diritto, sorto appunto per effetto diretto della Carta, potesse considerarsi parte della sfera giuridica individuale soltanto in talune circostanze: l’art. 31, par. 2, della Carta era invero “di per sé sufficiente a conferire ai lavoratori un diritto invocabile in quanto tale in una controversia contro il loro datore di lavoro”, ma soltanto nell’ambito di “una situazione disciplinata dal diritto dell’Unione e, di conseguenza, rientrante nell’ambito di applicazione della Carta”.[7] Appunto, era soltanto in relazione “alle situazioni che rientrano nel campo di applicazione della [Carta]”, che “il giudice nazionale [avrebbe dovuto] disapplicare una normativa nazionale contrastante” con l’art. 31 della Carta.[8]
II. Le disparità di trattamento ex art. 51 della Carta in tema di tutela giurisdizionale effettiva
Lo iato che de facto si determina tra l’intensità della tutela garantita dalla Carta nelle situazioni che rientrino nel suo ambito applicativo, e l’irrilevanza delle situazioni che da esso fuoriescano, diviene particolarmente evidente con riguardo all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali. Com’è noto, tale disposizione stabilisce che “ogni individuo […] ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice”, vale a dire ad un ricorso tramite il quale “la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge”.[9]
Interpretando tale disposizione la Corte di giustizia ne ha peraltro evidenziato la natura ambivalente.
Talvolta, la Corte ha valorizzato la dimensione “individuo-centrica” dell’art. 47. Un esempio è ravvisabile nel caso Egenberger, nel quale la Corte ha riconosciuto la sua diretta efficacia: l’art. 47 della Carta, “relativo al diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, è sufficiente di per sé e non deve essere precisato mediante disposizioni del diritto dell’Unione o del diritto nazionale per conferire ai singoli un diritto invocabile in quanto tale”.[10] Nelle situazioni che comportano l’attuazione del diritto dell’Unione nell’ambito del diritto degli Stati membri “ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta”, il giudice nazionale è quindi tenuto ad assicurare “la tutela giuridica spettante ai singoli in forza [dell’art.] 47 della Carta e a garantire la [sua] piena efficacia […], disapplicando all’occorrenza qualsiasi disposizione nazionale contraria”.[11]
Altre volte, la Corte di giustizia ha evidenziato la dimensione “euro-centrica” della stessa norma. Nel caso Lesoochranárske zoskupenie VLK, ad esempio, la Corte ha chiarito, in primo luogo, che è “in forza del principio di leale cooperazione enunciato dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE” che sugli Stati membri incombe l’obbligo di garantire l’effettività della tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche che il diritto europeo conferisce ai singoli e, in secondo luogo, che in talune circostanze “tale obbligo [in capo agli Stati] deriva altresì dall’articolo 47 della Carta”.[12] Queste argomentazioni, in Lesoochranárske zoskupenie VLK come in altri casi analoghi, sono state invariabilmente accompagnate dal riferimento all’art. 19, par. 1, TUE, il quale prevede che “[g]li Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione”. Sottolineava invero la Corte che “l’articolo 19, paragrafo 1, TUE impone, peraltro, agli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per garantire una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione”.[13]
L’art. 47 della Carta obbligherebbe quindi gli Stati membri a doppio titolo. Essi sarebbero tenuti a garantire una tutela giurisdizionale effettiva nei confronti degli individui i quali, rispetto a ciò, vanterebbero quindi un diritto soggettivo. Gli Stati sarebbero però tenuti a garantire una tutela giurisdizionale effettiva anche nei confronti dell’Unione, in virtù dell’obbligo di leale cooperazione con essa nonché dell’art. 19 TUE.
Sul piano concreto, l’ambivalenza della posizione giuridica posta in capo agli Stati dall’art. 47 della Carta non può che determinare un esponenziale accrescimento della tutela individuale. Gli individui che si trovino in situazioni rientranti nell’ambito applicativo del diritto europeo sarebbero, in virtù dell’art. 47 della Carta, al contempo titolari del diritto soggettivo ad una tutela giurisdizionale effettiva nei confronti dello Stato, e beneficiari del corrispondente obbligo degli Stati nei confronti dell’Unione. D’altro canto, gli individui che si trovino in situazioni giuridiche non rientranti all’interno dell’ambito applicativo del diritto europeo, ed ai quali gli Stati membri non garantiscano strumenti giurisdizionali effettivi, non potrebbero invocare la Carta ed ottenere alcuna tutela fondata su di essa.
La distanza che intercorre tra la disciplina applicabile alle situazioni giuridiche rientranti nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e quelle che da tale ambito fuoriescano tende però, e sorprendentemente, ad attenuarsi nella giurisprudenza recente. In essa, la Corte sembra delineare, per lo meno in nuce, i contorni delle situazioni che si sono definite, in precedenza, “intermedie”. In altre parole, nella sua prassi più recente la Corte sembra avere implicitamente riconosciuto la possibilità che sussistano situazioni giuridiche che non rientrino direttamente nella sfera di applicazione del diritto dell’Unione ex art. 51 della Carta e rispetto alle quali, però, la Carta possa, non di meno, produrre taluni effetti.
Ciò potrebbe essere avvenuto, in particolare, nella pronuncia emessa dalla Grande Camera della Corte di giustizia nel caso Commissione c. Polonia (Indépendance de la Cour suprême) (d’ora in avanti, Commissione c. Polonia), sulla quale conviene ora portare l’attenzione.
III. Il caso Commissione c. Polonia (Indépendance de la Cour suprême) e la disciplina delle situazioni “intermedie”
III.1. Il caso
La sentenza Commissione c. Polonia nasce da un procedimento di infrazione avviato dalla Commissione, la quale aveva chiesto alla Corte di giustizia di accertare che la Polonia avesse violato il diritto dell’Unione.[14] In particolare la Polonia, emanando una normativa che abbassava l’età di pensionamento dei giudici della Corte suprema da 70 a 65 anni, avrebbe violato il diritto europeo per due ragioni. In primo luogo, tale normativa si applicava anche ai giudici in carica, ossia quelli nominati presso tale organo giurisdizionale prima della sua entrata in vigore e, in secondo luogo, la normativa nazionale conferiva al presidente della Repubblica il potere discrezionale di prorogare l’incarico dei giudici della Corte suprema al di là dei 65 anni.[15] La rimozione dei giudici prima del termine del mandato, e l’attribuzione del potere discrezionale di prorogarne l’incarico in capo ad un organo politico, minavano, ad avviso della Commissione, l’indipendenza dei componenti della Corte suprema e dunque l’indipendenza dell’organo ai sensi del combinato disposto dell’art. 19, par. 1, TUE e dell’art. 47 della Carta.[16]
Nelle sue conclusioni, l’AG Tanchev sottolineava la necessità scindere l’accertamento dell’applicabilità del combinato disposto invocato dalla Commissione e di accertare separatamente l’applicabilità, nel caso di specie, dell’art. 19, par. 1, TUE e dell’art. 47 della Carta. Avendo le due norme ambiti di applicazione differenti, qualora si fosse esaminata l’applicabilità del loro combinato disposto si sarebbe invero corso il rischio, secondo l’Avvocato generale, “che disposizioni del Trattato come l’articolo 19, paragrafo 1, TUE [venissero] usate come ‘sotterfugi’ per eludere i limiti dell’ambito di applicazione della Carta, come stabiliti dall’articolo 51, paragrafo 1, di quest’ultima”.[17]
Quanto all’art. 19 TUE, l’AG Tanchev riteneva che esso fosse senz’altro applicabile al caso: in base a tale disposizione, gli Stati membri devono garantire che tutti gli organi giurisdizionali nazionali competenti a “pronunciarsi su questioni riguardanti l’applicazione o l’interpretazione del diritto dell’Unione”, tra i quali vi era la Corte suprema polacca, “soddisfino i requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva, compreso quello relativo all’indipendenza del potere giudiziario”.[18] Quanto invece all’art. 47 della Carta, l’AG Tankev evidenziava la sua inapplicabilità nel caso concreto: nulla invero dimostrava che la normativa polacca in questione desse attuazione al diritto europeo ex art. 51 della Carta e, dunque, tutte le censure proposte dalla Commissione avrebbero dovuto essere “respinte in quanto irricevibili nella parte in cui si fondano sull’articolo 47 della Carta”.[19]
L’argomentazione della Corte si discostava però dalle conclusioni dell’Avvocato generale. In particolare, la Corte iniziava il suo ragionamento chiarendo come dall’art. 19, par. 1, TUE discendesse in capo agli Stati membri l’obbligo di predisporre tutti “i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare ai singoli il rispetto del loro diritto a una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione”.[20] Stupisce, in primo luogo, che la Corte non abbia neppure menzionato l’obbligo di leale cooperazione tra gli Stati e l’Unione, come di consueto fa, ricostruendo il contenuto dell’art. 19, par. 1, TUE.[21] In secondo luogo, stupisce che le prescrizioni dell’art. 19, par. 1, TUE siano state descritte utilizzando le espressioni che, di consueto, la Corte utilizza per illustrare il contenuto dell’art. 47 della Carta.[22] Peraltro, ancor più singolarmente, la Corte di giustizia motivava tale “scelta descrittiva” in ragione della sostanziale identità di contenuto tra le due norme.[23] Invero, essa precisava come adempiere all’art. 19, par. 1, TUE implicasse senz’altro adempiere all’art. 47 della Carta: la disposizione del Trattato in effetti “impone a tutti gli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva, segnatamente ai sensi dell’articolo 47 della Carta”.[24]
Non che tra l’art. 19, par. 1, TUE e l’art. 47 della Carta non vi siano differenze. La Corte ha ammesso, infatti, come proposto dall’AG Tanchev, che l’ambito di applicazione delle due norme differisce: mentre l’ambito applicativo dell’art. 19 TUE coincide con “i ‘settori disciplinati dal diritto dell’Unione’”, l’ambito applicativo dell’art. 47 della Carta coincide con la più ristretta area nella quale “gli Stati membri attuano [il diritto europeo], ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta”.[25] Tuttavia, nel caso di specie, secondo la Corte di giustizia tale differenza non è dirimente. La Corte ha invero indicato come la Polonia, pur laddove non stesse attuando il diritto dell’Unione, e non fosse quindi vincolata al rispetto dell’art. 47 della Carta, avrebbe comunque dovuto, a norma dell’art. 19 TUE, “garantire che gli organi facenti parte […] del suo sistema di rimedi giurisdizionali [soddisfacessero] i requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva”.[26] Nel novero di questi organi, in virtù della sua competenza ad interpretare ed applicare il diritto dell’Unione, veniva ricompresa la Corte suprema polacca. Anche con riguardo alla Corte suprema polacca, proseguiva infatti la Corte di giustizia, è “di primaria importanza preservare l’indipendenza di detto organo, come confermato dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, che menziona l’accesso a un giudice ‘indipendente’ tra i requisiti connessi al diritto fondamentale ad un ricorso effettivo”.[27] Peraltro, l’art. 19 TUE non comportava soltanto che la Corte suprema dovesse formalmente soddisfare il requisito dell’indipendenza perché ciò stabiliva l’art. 47 della Carta, ma prevedeva pure che il requisito dell’indipendenza dovesse sostanzialmente intendersi proprio come inteso nell’art. 47 della Carta.[28] Solo così, in effetti, si sarebbe potuto garantire il “diritto fondamentale a un equo processo, che riveste importanza cardinale quale garanzia della tutela dell’insieme dei diritti derivanti al singolo dal diritto dell’Unione e della salvaguardia dei valori comuni agli Stati membri enunciati all’articolo 2 TUE, segnatamente del valore dello Stato di diritto”.[29]
Per numerose ragioni, l’analisi delle quali non rientra nell’oggetto del presente lavoro, la Corte di giustizia stabiliva che la normativa polacca avesse leso l’indipendenza dei componenti della Corte suprema e, quindi, accoglieva il ricorso della Commissione. Ciò che sembra però interessante segnalare è che la violazione dichiarata dalla Corte riguardava soltanto l’art. 19, par. 1, TUE.[30]
III.2. Il suo contesto giurisprudenziale
Sembra evidente come la Corte abbia concretizzato, in un certo senso, il rischio che l’art. 19 TUE venisse utilizzato come il cavallo di Troia per eludere, per lo meno de facto, i limiti dell’ambito di applicazione della Carta di cui all’art. 51 della stessa come interpretato in Åkerberg Fransson.
Vero è che molte delle argomentazioni svolte dalla Corte di giustizia in Commissione c. Polonia erano state anticipate in altri casi e, in particolare, nel caso Associação Sindical dos Juízes Portugueses e nel caso Minister for Justice and Equality.[31]
Nel caso Associação Sindical dos Juízes Portugueses la Corte aveva già sostenuto che “[i]l principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, cui fa riferimento l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, […] è attualmente affermato all’articolo 47 della Carta”.[32] Inoltre, essa aveva anticipato che con riguardo a qualsiasi giudice nazionale che possa pronunciarsi “su questioni riguardanti l’applicazione o l’interpretazione del diritto dell’Unione, […] lo Stato membro interessato deve garantire che […] soddisfi i requisiti inerenti a una tutela giurisdizionale effettiva, conformemente all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE”.[33] Ancora, in Associação Sindical dos Juízes Portugueses la Corte aveva stabilito che, per attuare le prescrizioni dell’art. 19 TUE, “preservare l’indipendenza di detto organo è di primaria importanza, come confermato dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, che menziona l’accesso a un giudice ‘indipendente’ tra i requisiti connessi al diritto fondamentale ad un ricorso effettivo”.[34]
Vi sono, però, differenze di rilievo tra il caso Associação Sindical dos Juízes Portugueses ed il caso Commissione c. Polonia. Anzi tutto, al contrario di quanto accaduto in Commissione c. Polonia, in Associação Sindical dos Juízes Portugueses l’art. 19, par. 1, TUE è ancora descritto come una declinazione dell’obbligo di leale cooperazione in capo agli Stati. Chiariva invero la Corte che è “segnatamente, in virtù del principio di leale cooperazione enunciato all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, TUE” che agli Stati membri spetta “garantire, nei loro rispettivi territori, l’applicazione e il rispetto del diritto dell’Unione”, e che è “[p]er tale motivo, come prevede l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE” che “gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare ai singoli il rispetto del loro diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione”.[35] Tali affermazioni evidentemente collocano gli individui, ancora, in una posizione ambivalente: titolari del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva e beneficiari di un obbligo dal medesimo contenuto che gli Stati debbono ottemperare nei confronti dell’Unione. Inoltre, occorre considerare che la pronuncia resa in Associação Sindical dos Juízes Portugueses si conclude in senso favorevole alla normativa nazionale oggetto, indirettamente, di esame pregiudiziale. Dunque la sentenza non rivela quali conseguenze si producano, in capo agli individui versanti in situazioni giuridiche non comprese nella sfera di applicabilità della Carta ex art. 51, in virtù del combinato disposto tra l’art. 19, par. 1, TUE e l’art. 47 della Carta.[36] Viceversa, come si è osservato, la pronuncia Commissione c. Polonia si conclude con la sanzione della normativa nazionale oggetto di esame.
Nel caso Minister for Justice and Equality la Corte ha invece descritto il contenuto dell’art. 19 TUE senza effettuare alcun riferimento all’obbligo degli Stati di cooperare lealmente con l’Unione europea. La Corte ha infatti chiarito, in primo luogo, che “[c]onformemente all’articolo 19 TUE […] compete ai giudici nazionali […] garantire la piena applicazione del diritto dell’Unione in tutti gli Stati membri nonché la tutela giurisdizionale dei diritti spettanti ai soggetti dell’ordinamento in forza di detto diritto” e, in secondo luogo, che “affinché sia garantita tale tutela, è di primaria importanza preservare l’indipendenza di detti organi, come confermato dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, che menziona l’accesso a un giudice ‘indipendente’ tra i requisiti connessi al diritto fondamentale a un ricorso effettivo”.[37]
Tuttavia, sebbene tali affermazioni siano più vicine a quelle che la Corte avrebbe poi compiuto in Commissione c. Polonia di quanto lo siano quelle contenute in Associação Sindical dos Juízes Portugueses, occorre evidenziare che tra il caso Minister for Justice and Equality ed il caso Commissione c. Polonia intercorre una differenza dirimente. In Minister for Justice and Equality la questione posta all’attenzione della Corte di giustizia riguardava l’interpretazione di una normativa dell’Unione concernente il mandato di arresto europeo e mirava a consentire al giudice nazionale di comprendere come andasse attuata sul piano nazionale.[38] In Minister for Justice and Equality si versava dunque senz’altro nell’ambito di applicazione della Carta ex art. 51 della stessa. I diritti individuali derivanti dall’art. 47 erano di conseguenza direttamente applicabili alla fattispecie. Viceversa, nel caso Commissione c. Polonia, come osservato, si versava in una situazione nella quale la Carta non sarebbe stata applicabile.
Ecco che, allora, se per certi versi la pronuncia Commissione c. Polonia presenta diversi elementi di continuità rispetto alle sentenze Associação Sindical dos Juízes Portugueses e Minister for Justice and Equality, per altri versi essa innova sensibilmente rispetto ad ambedue.
III.3. L’impianto teorico alla sua base
In Commissione c. Polonia si è verificato un fenomeno singolare: il contenuto di una norma direttamente efficace ma inapplicabile alla fattispecie, l’art. 47 della Carta, è stato assorbito all’interno di una norma non direttamente efficace ma applicabile alla fattispecie, l’art. 19, par. 1, TUE.
Vi sono, in tale fenomeno, dei tratti che ricordano la tecnica dell’interpretazione conforme. Com’è noto, tale tecnica si sostanzia nella ricostruzione del contenuto di una norma (la norma-oggetto) in funzione del contenuto di un’altra norma (la norma-parametro).[39] L’interpretazione conforme ha peraltro carattere necessario, nel senso che la conformità della norma-oggetto alla norma-parametro è presentata, o prospettata, come necessaria dall’operatore giuridico.[40] In effetti, in Commissione c. Polonia ricorrono ambedue gli elementi. La Corte di giustizia ha ricostruito il contenuto di una norma-oggetto, ossia l’art. 19 TUE, in funzione del contenuto di una norma-parametro, ossia l’art. 47 della Carta, evidenziando peraltro il carattere necessario di tale operazione.[41]
Tuttavia, non sembra che l’impianto argomentativo sviluppato dalla Corte in Commissione c. Polonia sia tout court sussumibile nello schema classico dell’interpretazione conforme. In Commissione c. Polonia, in effetti, la funzione tradizionalmente attribuita alla tecnica dell’interpretazione conforme sarebbe stata, in un certo senso, tradita. In genere, invero, il giudice ricorre alla tecnica dell’interpretazione conforme al fine di appianare una divergenza tra due o più norme applicabili alla fattispecie.[42] Ebbene nel caso in esame non soltanto una delle due norme non sarebbe stata applicabile alla fattispecie, ma inoltre l’interpretazione conforme non è utilizzata per conciliare il disposto di norme apparentemente in conflitto tra loro. È indubbio che non vi sia alcun conflitto tra l’art. 19 TUE e l’art. 47 della Carta. Peraltro, è ragionevole ritenere che proprio per via dell’interpretazione dell’art. 19 TUE in conformità con l’art. 47 della Carta si sia prodotto l’unico contrasto normativo rilevabile, ossia quello tra la normativa nazionale e il diritto dell’Unione (certo non le norme coinvolte nell’interpretazione conforme).
Sembra invece ragionevole ritenere che l’impianto argomentativo sviluppato dalla Corte di giustizia in Commissione c. Polonia sia fondato sull’assunto dell’esistenza, nell’art. 19, par. 1, TUE, di un rinvio implicito all’art. 47 della Carta. In altre parole, l’art. 19, par. 1, TUE pare esser stato letto come se, prevedendo un rinvio implicito all’art. 47 della Carta, fosse ineludibilmente destinato a ripeterne il contenuto. Di ciò è peraltro possibile trovare tracce almeno in due passaggi della pronuncia. Anzi tutto, laddove la Corte ha sostenuto che “l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE impone a tutti gli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva, segnatamente ai sensi dell’articolo 47 della Carta, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione”.[43] Inoltre, laddove la Corte ha sostenuto che, affinché la tutela giurisdizionale possa dirsi effettiva, “è di primaria importanza preservare l’indipendenza di detto organo, come confermato dall’articolo 47, secondo comma, della Carta”.[44] A stretto rigore, dunque, l’interpretazione dell’art. 19, par. 1, TUE non dovrebbe conformarsi all’art. 47 della Carta. Non dovrebbe cioè, per utilizzare un’espressione sovente utilizzata dalla Corte di giustizia, essere letto “alla luce della lettera e dello scopo” della norma-parametro.[45] Le prescrizioni dell’art. 47 della Carta, invero, sarebbero già parte del contenuto dell’art. 19 TUE. Ecco perché il conflitto di una norma nazionale con l’art. 19 TUE comporta, inevitabilmente, il conflitto anche con l’art. 47 della Carta.
IV. Conclusioni
Alla luce di quanto esposto, si può concludere che, nel caso Commissione c. Polonia, l’incorporazione del contenuto dell’art. 47 della Carta all’interno dell’art. 19 TUE abbia prodotto un risultato ben preciso: una norma nazionale che non ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 47 della Carta viene sanzionata per via della sua difformità proprio con il contenuto dell’art. 47 della Carta. Ciò comporta, tra le altre, due conseguenze giuridiche, per lo meno sul piano astratto: una relativa alla sfera giuridica degli Stati ed un’altra che riguarda invece la sfera giuridica degli individui.
Quanto alla sfera giuridica degli Stati, pare evidente come l’obbligo posto loro in capo dall’art. 47 della Carta veda notevolmente estesa la sua portata. Esso non ricorrerebbe più soltanto allorché gli Stati agiscano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione ex art. 51 della Carta, ma ricorrerebbe invece in tutte le situazioni che siano comunque rilevanti per il diritto dell’Unione. In termini concreti, ciò comporta che gli Stati membri non siano più tenuti soltanto a garantire che vi sia un sistema giurisdizionale effettivo per la tutela dei diritti attribuiti ai singoli dalle norme europee. Essi sarebbero invece obbligati a rendere conforme all’art. 47 della Carta l’intera disciplina concernente l’attività degli organi giurisdizionali nazionali astrattamente competenti ad applicare e interpretare il diritto dell’Unione.
Quanto alla sfera giuridica degli individui coinvolti in situazioni giuridiche che fuoriescano dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione ex art. 51 della Carta, pare evidente come questa venga notevolmente arricchita di tutele. Tali individui verserebbero in una situazione “intermedia”.[46] Questi invero, qualora non ottenessero dagli Stati membri una tutela giurisdizionale effettiva, non sarebbero più “disconosciuti” dalla Carta dei diritti fondamentali, sebbene non potrebbero comunque invocarla direttamente. In particolare, pur non potendo invocare alcun diritto sorto sul loro capo per effetto diretto dell’art. 47 della Carta (il quale resterebbe invocabile nelle sole situazioni che soddisfacessero il requisito di cui all’art. 51 della Carta), tali individui potrebbero chiedere agli Stati di rispettare le prescrizioni dell’art. 19, par. 1, TUE. Facendo ciò, la loro posizione giuridica di vantaggio relativa al godimento della tutela giurisdizionale effettiva nei confronti dello Stato, prevista proprio dall’art. 19, par. 1, TUE ed avente un contenuto congruente a quello del diritto soggettivo di cui all’art. 47 della Carta, sarebbe comunque garantita.
Non sembra peraltro chiaro se, in base alla sentenza Commissione c. Polonia, si possa parlare di un diritto soggettivo invocabile, da parte degli individui, in situazioni giuridiche che fuoriescano dalla portata del diritto dell’Unione, ex art. 19 TUE. Ciò lo si potrebbe fare soltanto ammettendo che in detta pronuncia la Corte abbia riconosciuto la diretta efficacia dell’art. 19, par. 1, TUE. A ben vedere, ciò non sembra sia avvenuto. Ripetere il contenuto di una norma, come la Corte sembra aver fatto in Commissione c. Polonia, perché si interpreta una norma come se contenesse un rinvio ad un’altra, non implica di per sé che la norma rinviante ripeta tutti gli effetti della norma oggetto di rinvio. Perché la norma rinviante produca effetti che altrimenti non avrebbe potuto produrre, quali sono proprio gli effetti diretti, occorre, senz’altro, una espressa statuizione in tal senso della Corte di giustizia. È peraltro ragionevole ritenere che manchi davvero poco a che la Corte formuli tale statuizione. Invero, una volta disancorato l’obbligo degli Stati di cui all’art. 19 TUE dall’obbligo di leale cooperazione verso l’Unione, ed una volta ancorato il contenuto dell’art. 19 TUE a quello dell’art. 47 della Carta, sembra mancare davvero poco perché si possa individuare, all’interno dell’art. 19, un diritto individuale corrispettivo all’obbligo statale[47].
Va da sé che, qualora venisse riconosciuto che l’art. 19, par. 1, TUE possa produrre effetti diretti, la situazione “intermedia” del genere delineato in Commissione c. Polonia si estinguerebbe e si verrebbe a creare nuovamente una dicotomia conforme allo schema delineato in Åkerberg Fransson. In particolare, una volta accertata la diretta efficacia dell’art. 19 TUE: gli individui che si trovassero a versare in situazioni che “rientr[ino] nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione”,[48] per ottenere la soddisfazione del proprio diritto alla tutela giurisdizione effettiva invocherebbero, come del resto avrebbero sempre fatto, l’art. 47 della Carta; viceversa, gli individui che si trovassero “al di fuori” delle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione,[49] che prima di collocarsi nella situazione “intermedia” erano privi di tutele, per ottenere la soddisfazione del proprio diritto alla tutela giurisdizione effettiva invocherebbero l’art. 19, par. 1, TUE.
È dunque ragionevole ipotizzare che le situazioni “intermedie”, per lo meno quelle del genere delineato in Commissione c. Polonia, siano con tutta probabilità strumentali e provvisorie, siano cioè una sorta di “infant disease” del diritto dell’Unione.[50] Esse costituirebbero uno strumento mediante il quale fornire una tutela indiretta, e fors’anche parziale, agli interessi giuridici fondamentali (come già detto, non sembra possibile definirli “diritti soggettivi”) di individui che ne erano, in precedenza, sprovvisti. D’altro canto, esse sarebbero anche destinate ad estinguersi non appena si completasse il trasferimento, o per dir meglio la consunzione, del diritto soggettivo proveniente dalla Carta all’interno delle altre fonti, più largamente applicabili, del diritto dell’Unione europea.[51]
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European Papers, Vol. 4, 2019, No 2, European Forum, Insight of 31 July 2019, pp. 615-628
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/313
* Assegnista di ricerca in diritto dell’Unione europea, “La Sapienza” Università di Roma, aurora.rasi@uniroma1.it.
[1] Corte di giustizia, sentenza del 26 febbraio 2013, causa C-617/10, Åkerberg Fransson [GC], par. 21.
[2] Ibidem.
[3] Ivi, par. 19.
[4] Ivi, par. 22. Cfr. anche Corte di giustizia: ordinanza del 12 luglio 2012, causa C466/11, Currà et al.; sentenza del 6 marzo 2014, causa C-216/13, Siragusa; ordinanza del 6 giugno 2013, causa C-14/13, Cholakova. In generale, sul tema dell’interpretazione dell’art. 51, par. 1, della Carta, si rinvia ex multis a: M. Cartabia, The Charter of Fundamental Rights of the European Union, in G. Amato, E. Moavero-Milanesi, G. Pasquino, L. Reichlin (eds), The History of the European Union: Constructing Utopia, Oxford: Hart, 2019; M.E. Bartoloni, Ambito d’applicazione del diritto dell’Unione europea e ordinamenti nazionali. Una questione aperta, Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2018; N. Lazzerini, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. I limiti di applicazione, Milano: Franco Angeli, 2018; B. Pirker, Mapping the Scope of Application of EU Fundamental Rights, in European Papers, Vol. 3, 2018, No 1, www.europeanpapers.eu, p. 133 et seq.; Editorial, Towards a Uniform Standard of Protection of Fundamental Rights in Europe?, in European Papers, Vol. 2, 2017, No 1, www.europeanpapers.eu, p. 3 et seq.; C. Lacchi, Multilevel judicial protection in the EU and preliminary references, in Common Market Law Review, 2016, p. 679 et seq.; L.S. Rossi, “Stesso valore giuridico dei Trattati”? Rango, primato ed effetti diretti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Il diritto dell’Unione europea, 2016, p. 329 et seq., in particolare pp. 341-353; M. Dougan, Judicial review of Member State action under the general principles and the Charter: Defining the “scope of Union law”, in Common Market Law Review, 2015, p. 1201 et seq.; R. Schutze, European Constitutional Law, Cambridge: Cambridge University Press, 2015, p. 435 et seq.; P. Aalto, H. Hofmann, L. Holopainen, E. Paunio, L. Pech, D. Sayers, D. Shelton, A. Ward, Article 47 – Right to an Effective Remedy and to a Fair Trial, in S. Peers, T. Hervey, J. Kenner, A. Ward (eds), The EU Charter of Fundamental Rights: A Commentary, Oxford: Hart, 2014 p. 1197 et seq.; F. Fontanelli, Implementation of EU Law through Domestic Measures after Fransson: The Court of Justice Buys Time and ‘Non-Preclusion’ Troubles Loom Large, in European Law Review, 2014, p. 782 et seq.; F. Fontanelli, The Implementation of European Law by Member States under Article 51(1) of the Charter of Fundamental Rights, in Columbia Journal of European Law, 2014, p. 193 et seq.; E. Muir, The fundamental rights implications of EU legislation: Some constitutional challenges, in Common Market Law Review, 2014, p. 219 et seq.; D. Sarmiento, Who's afraid of the Charter? The Court of Justice, national courts and the new framework of fundamental rights protection in Europe, in Common Market Law Review, 2013, p. 1267 et seq.; E. Hancox, The meaning of “implementing” EU law under Article 51(1) of the Charter: Åkerberg Fransson, in Common Market Law Review, 2013, p. 1411 et seq.
[5] Corte di giustizia, sentenza del 6 novembre 2018, causa C-684/16, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften [GC].
[6] Ivi, par. 74.
[7] Ibidem.
[8] Ivi, par. 75.
[9] Art. 47, co. I e II, della Carta.
[10] Corte di giustizia, sentenza del 17 aprile 2018, causa C-414/16, Egenberger [GC], par. 78. Nello stesso senso, Corte di giustizia, sentenza del 13 settembre 2018, causa C-358/16, UBS Europe et al.
[11] Egenberger [GC], cit., par. 49 e 79. Sul test utilizzato dalla Corte per stabilire se una norma della Carta possa produrre effetti diretti, nonché sulle modalità di dispiegamento di tali effetti diretti, si veda L.S. Rossi, The relationship between the EU Charter of Fundamental Rights and Directives in horizontal situations, in EU Law Analysis, 25 febbraio 2019, eulawanalysis.blogspot.com.
[12] Corte di giustizia, sentenza del 8 novembre 2016, causa C-243/15, Lesoochranárske zoskupenie VLK [GC], par. 50 (corsivo aggiunto). Nello stesso senso cfr. a titolo esemplificativo Corte di giustizia: sentenza del 27 settembre 2017, causa C-73/16, Puškár, par. 57; sentenza del 26 luglio 2017, causa C-348/16, Sacko, par. 29.
[13] Lesoochranárske zoskupenie VLK [GC], cit., par. 50; Puškár, cit. par. 57; Sacko, cit., par. 29. Sul rapporto tra gli articoli 4, par. 3, e 19, par. 1, TUE, si veda M. Klamert, The Principle of Loyalty in EU Law, Oxford: Oxford University Press, 2014, p. 125 et seq.
[14] Corte di giustizia, sentenza del 24 giugno 2019, causa C-619/18, Commissione c. Polonia (Indépendance de la Cour suprême) [GC].
[15] Ivi, par. 1.
[16] Ivi, par. 32 e Corte di giustizia, conclusioni dell’AG Tanchev presentate il 11 aprile 2019, causa C-619/18, Commissione c. Polonia (Indépendance de la Cour suprême), par. 52.
[17] Conclusioni dell’AG Tanchev, Commissione c. Polonia (Indépendance de la Cour suprême), cit., par. 57.
[18] Ivi, par. 61.
[19] Ivi, par. 67.
[20] Commissione c. Polonia (Indépendance de la Cour suprême) [GC], cit., par. 47-48.
[21] Vd. supra.
[22] Vd. supra.
[23] Commissione c. Polonia (Indépendance de la Cour suprême) [GC], cit., par. 49: “il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, cui fa riferimento dunque l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, […] è attualmente affermato all’articolo 47 della Carta”.
[24] Ivi, par. 54.
[25] Ivi, par. 50.
[26] Ivi, par. 55.
[27] Ivi, par. 56-57 (corsivo aggiunto).
[28] Ivi, par. 77.
[29] Ivi, par. 58.
[30] Ivi, par. 97 e 123.
[31] Corte di giustizia: sentenza del 27 febbraio 2018, causa C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses [GC]; sentenza del 25 luglio 2018, causa C-216/18 PPU, Minister for Justice and Equality [GC].
[32] Associação Sindical dos Juízes Portugueses [GC], cit., par. 35. Per un commento alla sentenza si rinvia a M. Krajewski, Associação Sindical dos Juízes Portugueses: The Court of Justice and Athena’s Dilemma, in European Papers, Vol. 3, 2018, No 1, www.europeanpapers.eu, p. 395 et seq.
[33] Associação Sindical dos Juízes Portugueses [GC], cit., par. 40.
[34] Ivi, par. 41 (corsivo aggiunto).
[35] Ivi, par. 35 (corsivo aggiunto).
[36] Ivi, par. 52.
[37] Minister for Justice and Equality [GC], cit., par. 50 e 53.
[38] Ivi, par. 1 e 14-25.
[39] Cfr. E. Cannizzaro, Interpretazione conforme fra tecniche ermeneutiche ed effetti normativi, in A. Bernardi (a cura di), L’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea: profili e limiti di un vincolo problematico, Napoli: Jovene, 2015, p. 3 et seq.; G. Betlem, The Doctrine of Consistent Interpretation – Managing Legal Uncertainty, in Oxford Journal of Legal Studies, 2002, p. 397 et seq.
[40] Ex multis, cfr. Corte di giustizia, sentenza del 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson e Kamann c. Land Nordrhein-Westfalen, par. 26 (“nell’applicare il diritto nazionale, e in particolare la legge nazionale espressamente adottata per l'attuazione della direttiva […], il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato contemplato dall’art. [288, co. III, TFUE]”); sentenza del 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing c. Comercial Internacional de Alimentación, par. 8 (“nell’applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. [288, co. III, TFUE]”); sentenza del 4 giugno 2013, causa C-300/11, ZZ [GC], par. 50 (“occorre determinare se e in quale misura gli articoli 30, paragrafo 2, e 31 della direttiva 2004/38 consentano di non divulgare i motivi circostanziati e completi di una decisione adottata a norma dell’articolo 27 della medesima direttiva, le cui disposizioni devono essere oggetto di un’interpretazione conforme ai precetti che risultano dall’articolo 47 della Carta”).
[41] Cfr., supra, par. III. Ad esempio, ciò è avvenuto nel passaggio nel quale la Corte di giustizia ha interpretato il requisito dell’indipendenza del giudice, qualificato come imposto dall’art. 19 TUE, alla luce dell’art. 47 della Carta. Ci si riferisce, in particolare, al passaggio in cui la Corte, chiarendo cosa debba intendersi per “indipendenza del giudice”, ha stabilito che “l’emanazione di norme che definiscano, segnatamente, sia i comportamenti che integrano illeciti disciplinari sia le sanzioni concretamente applicabili, che prevedano l’intervento di un organo indipendente conformemente a una procedura che garantisca appieno i diritti consacrati agli articoli 47 e 48 della Carta, in particolare i diritti della difesa, e che sanciscano la possibilità di contestare in sede giurisdizionale le decisioni degli organi disciplinari costituisce un insieme di garanzie essenziali ai fini della salvaguardia dell’indipendenza del potere giudiziario” (Commissione c. Polonia (Indépendance de la Cour suprême) [GC], cit., par. 77).
[42] Ex multis, R. Bin, L’interpretazione conforme. Due o tre cose che so di lei, in A. Bernardi (a cura di), L’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea, cit., pp. 17-18: “Interpretare un testo ‘in conformità’ con altre fonti è una pratica normale e consigliata […] che serve ad evitare conflitti tra norme”; “non c’è ordinamento che non riconosca la necessità che l’interprete cerchi di dare alle singole disposizioni il senso che meglio le faccia coesistere con tutte le altre: meglio scegliere la via dell’interpretazione conforme – o ‘in accordance’, secondo l’uso anglosassone – con le altre leggi, piuttosto che accettare passivamente situazioni di contrasto, di antinomia”.
[43] Commissione c. Polonia (Indépendance de la Cour suprême) [GC], cit., par. 54 (corsivo aggiunto).
[44] Ivi, par. 57 (corsivo aggiunto).
[45] Cfr. a titolo esemplificativo Marleasing c. Comercial Internacional de Alimentación, cit., par. 8 e Corte di giustizia: sentenza del 23 maggio 2019, causa C-52/18, Fülla, par. 47; sentenza del 12 febbraio 2019, causa C492/18 PPU, TC, par. 67; sentenza del 13 dicembre 2018, causa C-385/17, par. 50; sentenza del 7 agosto 2018, causa C-122/17, Smith [GC], par. 39.
[46] Cfr., supra, par. I e II.
[47] Non mancano peraltro basi in tal senso nella giurisprudenza della Corte di giustizia. Si pensi, ad esempio, alla sentenza emessa nel caso Berlioz Investment Fund (Corte di giustizia, sentenza del 16 maggio 2017, causa C-682/15 [GC]). In essa, al par. 44, la Corte aveva sostenuto che “[a] norma dell’articolo 47 della Carta, […] ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice. A tale diritto corrisponde l’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione” (corsivo aggiunto). Tale affermazione è peraltro completamente isolata. Invero, nel caso Berlioz Investment Fund la corrispondenza tra l’obbligo di cui all’art. 19 TUE ed il diritto di cui all’art. 47 della Carta è sì affermata ma non è stata né ripresa né ha prodotto alcuna conseguenza. In detto caso si versava in una situazione rientrante nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e, dunque, in una situazione nella quale la Carta era direttamente applicabile ai sensi del suo art. 51. Cfr. L.D. Spieker, Commission v. Poland – A Stepping Stone Towards a Strong “Union of Values”?, in Verfassungblog, 30 maggio 2019, verfassungsblog.de.
[48] Åkerberg Fransson [GC], cit., par. 21.
[49] Ivi, par. 19.
[50] L’espressione è chiaramente tratta da P. Pescatore, The Doctrine of Direct Effect: An Infant Disease of Community Law, in European Law Review, 1983, p. 155 et seq.
[51] In diritto penale è noto come, per risolvere i casi di concorso apparente tra norme, si ricorra tra gli altri al criterio di consunzione. In base ad esso, la disciplina applicabile alla fattispecie concreta è rappresentata dalla norma consumante la quale, comprendendo in sé la disciplina del fatto oggetto di accertamento, assorbe la norma consumata che prevede, invece, solo una parte della disciplina. Cfr. G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale: parte generale, Bologna: Zanichelli, 2011, p. 674 et seq.