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Abstract: In a recent case (judgment of 23 January 2018, case C-179/16, Hoffmann-La Roche and others), the Court of Justice held that an arrangement put in place between two undertakings marketing two competing products, which concerned the dissemination of misleading information relating to adverse reactions resulting from the use of one of those medicinal products, with a view to reducing competitive pressure, constituted a restriction of competition “by object” for the purposes of Art. 101, para. 1, TFEU. The purpose of this Insight is to provide an analysis of the case, focusing on both the opinion of the Advocate General and the judgment, and to provide further examples that prove that the dissemination of misleading information in the pharmaceutical field has become a competition law problem.
Keywords: competition law – misleading information – medicinal products – side effects – CJEU – restriction of competition by object.
I. Introduzione
Compiendo una scelta in linea con lo spirito dei tempi, l'Oxford English Dictionary scelse post-truth quale parola dell'anno nel 2016.[1] La ragione alla base di tale decisione fu individuata nel fatto che, nonostante il termine esistesse da ormai un decennio, soltanto in quell'anno era arrivato a dominare il dibattito pubblico, data la rilevanza che il richiamo a fattori emotivi e opinioni personali – in luogo della considerazione di dati obiettivi – aveva assunto nell'orientare l'esito del referendum sulla Brexit e delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America.[2]
Il tema, di natura originariamente sociologica, è di sicuro interesse anche per il giurista, viste le ricadute giuridiche che esso finisce per avere, in primis, nel campo del diritto costituzionale, per quel che attiene ai limiti della libertà di espressione e di informazione in relazione alla divulgazione delle cosiddette fake news.[3] Meno evidenti possono risultare le connessioni con il diritto della concorrenza; eppure, una recente sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea conferma che anche in tale ambito informazioni ingannevoli o fondate su dati non certi possono – purtroppo – assumere una peculiare rilevanza. Infatti, nella causa Hoffmann-La Roche,[4] i giudici di Lussemburgo sono giunti ad affermare – tra l'altro – che la diffusione di simili informazioni sugli effetti collaterali negativi derivanti dall'uso off-label di taluni medicinali[5] costituisce una restrizione della concorrenza per oggetto, ai sensi dell'art. 101, par. 1, TFUE.
Scopo del presente Insight, allora, è quello di presentare il caso (par. 2) e la linea argomentativa seguita dall'AG Saugmandsgaard Øe (par. 3) e dalla Corte (par. 4) per fondare la suddetta conclusione. Verrà, inoltre, fornito un rapido excursus quanto alla rilevanza che al tema delle informazioni ingannevoli è data nelle fonti di diritto derivato dell’Unione europea, per quindi prendere in considerazione alcuni precedenti, i quali confermano l'emersione di un problema significativo per la tutela della concorrenza e della salute (par. 5). Infine (par. 6), si darà conto di come la sentenza in commento porti a ritenere che, in futuro, sarà sempre di più richiesto alle case farmaceutiche di fondare le proprie affermazioni su dati scientifici dimostrati; ulteriormente, alla luce della medesima pronuncia, si sottolineerà come la Corte di giustizia sembri aver definitivamente fatto proprio un approccio restrittivo alla nozione di restrizione alla concorrenza per oggetto.
II. Il caso
Nell'ambito di un programma di ricerca, la Genentech Inc., società controllata dal gruppo Roche, scopre che una proteina prodotta dall'organismo umano è alla base dello sviluppo di patologie tumorali. A partire da questo dato, arriva a sviluppare due farmaci: l'Avastin, destinato al trattamento di alcuni tipi di cancro, e il Lucentis, specifico per la cura della degenerazione maculare senile, una malattia legata all'invecchiamento che colpisce la porzione centrale della retina. Considerato che la Genentech Inc. svolge la propria attività esclusivamente negli Stati Uniti, essa concede lo sfruttamento in licenza dei due medicinali relativamente al resto del mondo ad altre società e, propriamente, alla Roche con riferimento all'Avastin e al gruppo Novartis per quel che riguarda il Lucentis.[6] L'Agenzia italiana del farmaco rilascia l'autorizzazione all'immissione in commercio dell'Avastin nel settembre 2005, del Lucentis nel maggio 2007. Nell'intervallo di tempo tra le due autorizzazioni, alcuni medici notano che l'Avastin favorisce un miglioramento delle condizioni di salute dei pazienti non soltanto con riferimento alla loro condizione tumorale, ma anche per quel che riguarda la degenerazione maculare senile. Comincia allora a diffondersi l'uso off-label dell'Avastin per curare tale patologia, cosa che continua anche dopo l'immissione in commercio del Lucentis, dato il minor costo delle terapie basate sul ricorso al primo farmaco. In ragione di ciò, l’Avastin diviene il principale concorrente del Lucentis.
Successivamente, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana (AGCM) avvia un procedimento nei confronti delle società del gruppo Roche e del gruppo Novartis in relazione a una possibile intesa orizzontale volta a realizzare una differenziazione artificiosa tra Avastin e Lucentis. Propriamente, le società vengono accusate di aver prodotto e diffuso informazioni ingannevoli dirette ad amplificare la percezione dei rischi legati alla verificazione di effetti collaterali negativi in conseguenza dell'uso off-label dell'Avastin, al fine di favorire l'uso on-label del Lucentis, in modo da massimizzare i loro profitti, generando al tempo stesso costi supplementari per il servizio sanitario nazionale.
Sanzionate per dette condotte, le società propongono ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, che respinge le loro doglianze, e quindi dinanzi al Consiglio di Stato, il quale sospende il procedimento e solleva cinque questioni pregiudiziali d'interpretazione, al fine di appurare se:
a) possano considerarsi concorrenti le imprese parti di un accordo di licenza nell'ipotesi in cui l'impresa licenziataria operi nel mercato rilevante in virtù dell'accordo stesso;
b) il mercato rilevante debba essere individuato o meno sulla base del contenuto delle autorizzazioni all'immissione in commercio;
c) i farmaci prescritti off-label possano essere considerati sostituibili e dunque possano essere inclusi nel mercato rilevante;
d) ai fini della determinazione del mercato rilevante, assuma rilievo il fatto che l'offerta dei farmaci sul mercato sia avvenuta nel rispetto della disciplina in materia;
e) possa considerarsi restrittiva della concorrenza per oggetto la condotta concertata volta ad enfatizzare la minore sicurezza o efficacia di un farmaco, ove tale circostanza, ancorché non suffragata da dati scientifici, non possa neppure essere incontrovertibilmente esclusa.
III. Le conclusioni dell'AG Saugmandsgaard Øe
Quanto alla seconda, terza e quarta questione, l'Avvocato generale considera come l'AGCM abbia definito il mercato rilevante includendo tutti i prodotti destinati al trattamento delle patologie vascolari oculari. Il problema sta nello stabilire se l'Avastin ne faccia parte o meno.
Come noto, il mercato rilevante del prodotto comprende tutti i prodotti che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle loro caratteristiche, dei loro prezzi e dell'uso a cui sono destinati.[7] In ambito farmaceutico, però, la domanda non è definita dalle decisioni dei consumatori, bensì da quelle dei medici, orientate dalle autorizzazioni all'immissione in commercio che incidono, dunque, sulla sostituibilità fra medicinali in vista di un medesimo uso terapeutico. Tuttavia, la prassi prescrittiva off-label può portare a concludere che due prodotti siano intercambiabili, a prescindere da quanto previsto dalle rispettive autorizzazioni. Tale conclusione non è inficiata da considerazioni ulteriori relative al fatto che l'utilizzo off-label di un farmaco contrasterebbe con la normativa in materia. A opinione dell'Avvocato generale, spetta ai pubblici poteri, e non a soggetti di diritto privato, operare al fine di garantire il rispetto della legge.[8] Dunque, non è legittimata una condotta anticoncorrenziale, neppure ove essa miri a eliminare una situazione di asserita illegalità.[9]
Quanto alla prima questione, l'Avvocato generale nota che, alla luce della disciplina rilevante in materia,[10] le imprese parti di un accordo di trasferimento di tecnologia sono considerate concorrenti nel mercato in cui sono venduti i prodotti realizzati attraverso la tecnologia sotto licenza se, in mancanza di tali accordi, esse sarebbero state concorrenti effettive o potenziali nel medesimo mercato. Dunque, le imprese non possono essere considerate concorrenti nell'ipotesi in cui il licenziatario operi nel mercato in parola solamente in forza dell'accordo di trasferimento. Nel caso concreto, appare evidente che la Novartis, senza l'accordo relativo al Lucentis, non sarebbe mai stata concorrente della Genentech visto che, precedentemente a detto accordo, non si era mai occupata dello sviluppo di medicinali diretti a curare patologie vascolari oculari. Ciò, però, non è sufficiente a escludere l'applicazione dell'art. 101, par. 1, TFUE o a legittimare un'ipotesi di esenzione ai sensi del par. 3 di tale articolo: questo perché le condotte collusive rilevanti non miravano a limitare la produzione o la vendita di prodotti integranti la tecnologia concessa in licenza alla Novartis da parte della Genentech o di altre società del gruppo Roche.[11] Al contrario, il loro obiettivo era di indirizzare le scelte di soggetti terzi – i medici – in modo da limitare gli usi dell'Avastin in ambito oftalmico. Il richiamo operato dalle ricorrenti alla teoria delle restrizioni accessorie non va ad inficiare queste conclusioni. Secondo tale teoria, può non sussistere un'alterazione della concorrenza qualora la conclusione o l'attuazione di un accordo proconcorrenziale o neutro sotto il profilo concorrenziale esiga l'inserimento di restrizioni all'autonomia contrattuale e ciò appaia necessario al fine della penetrazione di un'impresa in una zona in cui non operava in precedenza.[12] Il punto è che la teoria delle restrizioni accessorie deve essere fatta oggetto di interpretazione restrittiva, a pena di privare altrimenti di effetto utile l'art. 101 TFUE. Dunque, essa si applica soltanto alle restrizioni strettamente necessarie alla realizzazione dell'accordo principale. Dato che i comportamenti anticoncorrenziali non erano diretti a restringere l'autonomia delle parti contraenti l'accordo di licenza relativo al Lucentis, ma a limitare dinamiche concorrenziali determinate dall'azione di soggetti terzi, l'Avvocato generale nega che sussista una restrizione accessoria conforme ai criteri individuati dalla Corte di giustizia.[13]
Infine, quanto alla quinta questione, l'Avvocato generale sottolinea come condotte collusive dirette a diffondere affermazioni circa l'asserita minore sicurezza di un medicinale rispetto a un altro costituiscano di certo una restrizione della concorrenza per oggetto. Ciò, perché esse comportano un deterioramento delle informazioni disponibili sul mercato e della loro qualità, con la conseguenza che il processo decisionale degli operatori economici all'origine della domanda di medicinali viene ad essere alterato. Tale circostanza ricorre anche nell'ipotesi in cui dati esatti siano presentati in maniera selettiva o incompleta, ove questo modo di procedere sia idoneo a indurre in errore i destinatari dello stesso. Peraltro, le suddette condotte non possono costituire oggetto di un'eventuale eccezione ai sensi dell'art. 101, paragrafo 3 TFUE, neppure ove dirette a escludere un uso asseritamente illegale di un medicinale. Coerentemente a quanto affermato con riferimento alla prima questione, l'Avvocato generale indica che, fino a quando l'illiceità della prescrizione o della commercializzazione di un medicinale off-label non sia stata confermata da una decisione dei giudici competenti, “non spetta alle imprese emettere una valutazione anticipata su tale illiceità, eliminando in maniera concordata, tramite la diffusione di notizie fuorvianti, la pressione concorrenziale che dette attività esercitano sulle vendite di un altro prodotto”.[14]
IV. La sentenza della Corte di giustizia
Quanto alla seconda, terza e quarta questione, la soluzione della Corte di giustizia non aggiunge molto a quanto già sostenuto dall'Avvocato generale. Secondo la Corte, la nozione di mercato rilevante implica la sussistenza di una concorrenza reale tra i prodotti e i servizi considerati e, dunque, un sufficiente grado di intercambiabilità tra gli stessi. L'intercambiabilità deve essere valutata alla luce delle caratteristiche dei prodotti e dei servizi, delle condizioni della concorrenza, della struttura della domanda e dell'offerta del mercato. Secondo la Corte, all'epoca del procedimento avviato dall'AGCM, nessuna autorità competente aveva riconosciuto l'illiceità dell'utilizzo off-label dell'Avastin; al contrario, tale farmaco era stato prescritto ripetutamente in luogo del Lucentis. Di conseguenza, nel mercato rilevante vanno ricompresi non solamente i medicinali autorizzati per il trattamento delle patologie previste, ma anche gli altri che, ancorché non coperti da un'autorizzazione all'immissione in commercio per lo stesso fine, siano utilizzati in tal modo, presentando dunque un concreto rapporto di sostituibilità con i primi.[15]
Anche con riferimento alla prima questione, la Corte non si discosta dall'impostazione dell'Avvocato generale. La diffusione di informazioni asseritamente ingannevoli sugli effetti collaterali negativi dell'Avastin ai fini del trattamento di patologie oftalmiche non può ritenersi necessaria per l'attuazione dell'accordo tra Genentech e Novartis. Questo perché detto comportamento “non ha costituito oggetto dell'accordo né è stato convenuto in occasione della conclusione di quest'ultimo, ma piuttosto diversi anni dopo tale conclusione, e ciò al fine di frapporre ostacoli alla sostituibilità creatasi – segnatamente attraverso pratiche di prescrizione da parte dei medici – tra gli impieghi dell'Avastin e quelli del Lucentis.”[16] Quanto all'eccezione di cui all'art. 101, par. 3, TFUE, la Corte conclude nel senso che, mancando del carattere di indispensabilità ivi richiesto, essa non può trovare validamente applicazione.[17]
Infine, per quel che riguarda la quinta questione, la Corte rileva preliminarmente che la nozione di restrizione della concorrenza per oggetto dev’essere interpretata in maniera restrittiva, potendo questa essere applicata soltanto a quelle forme di coordinamento tra imprese che, per la loro stessa natura, rivelano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente a far ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario. Dunque, devono essere presi in considerazione elementi quali il tenore delle sue disposizioni, gli obiettivi perseguiti e il contesto giuridico ed economico entro cui l'intesa si colloca. Con riferimento a tale ultimo profilo, è necessario che siano presi in considerazione la natura dei beni o dei servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato rilevante.[18] Nel caso specifico, la Corte considera come la divulgazione di informazioni ingannevoli non possa che spingere i medici a rinunciare a prescrivere un determinato medicinale, provocando così una diminuzione della domanda dello stesso. Ciò comporta non soltanto una violazione della normativa farmaceutica dell'Unione, con conseguente applicazione di sanzioni,[19] ma anche un pregiudizio alla concorrenza tale da determinare una restrizione per oggetto rilevante ex art. 101, par. 1, TFUE.[20]
V. Le informazioni ingannevoli nel diritto dell'Unione e quale problema rilevante per il diritto della concorrenza
In generale, sembra potersi affermare che il tema affrontato nel caso Hoffmann-La Roche non rappresenti qualcosa di completamente nuovo per il diritto dell'Unione europea. La questione delle informazioni ingannevoli emerge, infatti, in diversi atti normativi sovranazionali. Si pensi, ad esempio, alla direttiva 2005/29 in materia di pratiche commerciali sleali.[21] All'art. 6, par. 1, essa chiarisce che è considerata ingannevole “una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta, […] e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”
quando essa riguarda elementi relativi al prodotto, al professionista e agli impegni del professionista, al prezzo, alla manutenzione e ai diritti del consumatore.
Si possono, inoltre, prendere in considerazione le direttive in materia di pubblicità ingannevole, la più recente delle quali individua come tale ogni forma di pubblicità che “in qualsiasi modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, dato il suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il comportamento economico di dette persone o che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente”.[22]
Con riferimento al settore farmaceutico, all'art. 106 bis della direttiva 2001/83,[23] modificata dalla direttiva 2010/84,[24] si prevede che il titolare di un'autorizzazione all’immissione in commercio che intenda pubblicare informazioni relative a questioni di farmacovigilanza riguardanti l’uso di un determinato medicinale sia tenuto ad informare le autorità nazionali competenti, l’Agenzia europea per i medicinali e la Commissione contemporaneamente o prima di renderle pubbliche, garantendo che esse siano presentate al pubblico in modo obiettivo e non fuorviante. Questa previsione è confermata dall'art. 24, par. 5, del regolamento 726/2004,[25] ove si stabilisce che il titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio non possa comunicare al pubblico informazioni relative a problemi di farmacovigilanza in relazione ai propri medicinali autorizzati senza notifica preventiva o contestuale all'Agenzia europea per i medicinali e fermo il fatto che le informazioni devono essere presentate in modo obiettivo e non fuorviante.
Dunque, il tema risulta noto e affrontato, tanto sul piano normativo quanto su quello giurisprudenziale.[26] Per quel che riguarda il diritto della concorrenza, alla luce di una serie di precedenti in materia, sembra potersi dire che la diffusione di informazioni ingannevoli e/o non dimostrate rappresenta di certo un problema rilevante. Al riguardo, non può non richiamarsi il caso AstraZeneca, in cui i giudici di Lussemburgo hanno riconosciuto che la presentazione alle autorità pubbliche di informazioni ingannevoli, idonee a indurle in errore e a permettere di conseguenza il rilascio di una licenza esclusiva cui l’impresa non aveva diritto, o al quale avrebbe avuto diritto per un periodo più limitato, costituisce una pratica particolarmente restrittiva della concorrenza. La natura ingannevole di tali dichiarazioni deve essere valutata in concreto e tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso; la dimostrazione della natura volontaria del comportamento e della malafede dell’impresa in posizione dominante non è necessaria per individuare un abuso di posizione dominante. D'altro canto, sussiste in capo all'impresa in posizione dominante l'obbligo di informare le autorità pubbliche al fine di consentire la correzione di eventuali irregolarità nella concessione di un diritto esclusivo.[27]
A conferma di quanto si sta dicendo, si può notare come l'Autorité de la concurrence e la Cour de Cassation francesi abbiano già avuto modo più volte di confrontarsi con la problematica. In un'occasione, il tema ha riguardato le condotte di una società farmaceutica consistenti nella diffusione di informazioni denigratorie relative a un farmaco generico e nella modifica delle condizioni di commercializzazione di quello di marca al fine di spingere i farmacisti a favorire quest'ultimo. Quanto al primo profilo – che qui interessa – l'autorità ha rilevato l'assenza di dati dimostrati circa i pretesi effetti negativi riconducibili al farmaco generico o la sua minore efficacia. Ulteriormente, è stato sottolineato come le condotte poste in essere dalla società produttrice del farmaco di marca fossero finalizzate esclusivamente alla difesa dei propri interessi commerciali, integrando così, alla luce delle caratteristiche del mercato, un abuso di posizione dominante.[28] Il riferimento ai dati dimostrati quale elemento determinante nel valutare le condotte denigratorie come possibili forme di abuso di posizione dominante è stato poi ripreso in un ulteriore caso.[29]
Quindi, è stato riconosciuto come costituisse un abuso di posizione dominante la pratica della Sanofi-Aventis di denigrare i farmaci generici e di diffondere dubbi tra i medici e i farmacisti quanto all'equivalenza tra quelli e il prodotto di marca, nonché quanto ai profili di responsabilità professionale derivanti dal prescrivere gli uni anziché l'altro.[30] Secondo l'Autorité de la concurrence, al fine dell'accertamento della responsabilità è necessario verificare il livello di diffusione delle informazioni, se le informazioni siano fondate su dati certi o asserzioni non verificate, quindi se esse siano in grado di influenzare la struttura del mercato rilevante, considerando i loro effetti – anche soltanto potenziali – sugli operatori economici e sulla clientela. Premesso che di certo il gioco della concorrenza presuppone un certo livello di competizione, ciò non legittima tuttavia ogni tipo di comportamento né, soprattutto, la scelta di screditare un soggetto, un prodotto o un servizio a mezzo di informazioni inesatte e non obiettive. La differenza rispetto a un esercizio legittimo del diritto di critica risulta chiara, dato che, in questo caso, la condotta è riferibile a un operatore economico, il quale cerca di trarre un beneficio in termini concorrenziali, pregiudicando al tempo stesso la posizione dei suoi concorrenti.[31]
In un caso ulteriore, l'Autorité de la concurrence ha concluso nel senso che il ricorso a informazioni non verificate, dirette tra l'altro a diffondere tra medici e farmacisti il timore quanto al rischio di forme non dimostrate di instabilità psichica derivante dal passaggio dal farmaco di marca a quello generico, integri al tempo stesso un abuso di posizione dominante e un accordo rilevante ex art. 101 TFUE.[32] In seguito, la Cour de Cassation ha ribadito tale impostazione.[33]
VI. Conclusioni
Alla luce dei casi di cui si è riferito (tanto Hoffmann-La Roche quanto AstraZeneca e i precedenti francesi), va preso atto dell'emersione di una tendenza giurisprudenziale alla luce della quale, da un lato, si deve riconoscere che la diffusione di informazioni ingannevoli è un problema rilevante per il diritto della concorrenza; dall'altro, che le case farmaceutiche dovranno prestare sempre più attenzione alle informazioni che diffondono, sia nel caso in cui esse siano dirette alle pubbliche autorità, sia nell'ipotesi in cui i destinatari siano medici e farmacisti, dato che esse non potranno non essere basate su dati scientifici che le supportino adeguatamente.
Considerando ulteriormente la sentenza Hoffmann-La Roche, deve rilevarsi come la Corte abbia affermato che la nozione di restrizione della concorrenza per oggetto deve essere interpretata restrittivamente, potendo essa essere applicata soltanto a talune forme di coordinamento tra imprese che rivelano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente affinché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario. Al fine di condurre tali valutazioni, risultano rilevanti elementi quali il tenore delle disposizioni dell'intesa, gli obiettivi perseguiti da questa e il contesto giuridico ed economico entro cui essa si colloca. Per quel che attiene a quest’ultimo profilo, è stata sottolineata in particolar modo l'importanza della natura dei beni o dei servizi coinvolti e delle condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato considerato.[34]
Dunque, in presenza di un grado di dannosità sufficiente, l’esame degli effetti derivanti dalla restrizione non risulta necessario. Ciò porta a ritenere ormai superato quell'orientamento, pure emerso nella giurisprudenza della Corte, secondo il quale, al fine di stabilire la sussistenza di un oggetto anticoncorrenziale, si sarebbe dovuto procedere a verificare se la pratica concordata fosse idonea in concreto a produrre effetti dannosi per la concorrenza, tenuto conto del contesto giuridico ed economico, con la conseguenza che la questione relativa a se, ed in quale misura, un tale effetto si fosse prodotto avrebbe assunto rilievo soltanto al fine di calcolare l’importo delle ammende e di valutare il diritto al risarcimento dei danni.[35]
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European Papers, Vol. 3, 2018, No 2, European Forum, Insight of 13 June 2018, pp. 1005-1016
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/222
* Assegnista di ricerca, Università degli Studi di Torino, alessandro.rosano@unito.it.
[1] Oxford Dictionaries, Word of the Year 2016 is..., 8 novembre 2016, en.oxforddictionaries.com, ove si chiarisce che tale aggettivo “relating to or denoting circumstances in which objective facts are less influential in shaping public opinion than appeals to emotion and personal belief”, è passato in breve tempo dall'essere totalmente ignorato all'essere utilizzato dai maggiori media senza bisogno di ricorrere a definizioni o ulteriori chiarimenti.
[2] Sul tema, si rinvia a M. D'Ancona, Post-Truth: The New War on Truth and How to Fight Back, London: Ebury Press, 2017 e S. Fuller, Post-Truth: Knowledge as a Power Game, London: Anthem Press, 2018.
[3] Si vedano T. McGonagle, “Fake News”: False Fears or Real Concern?, in Netherlands Quarterly of Human Rights, 2017, p. 203 et seq.; L. K. Royster, Fake News: Potential Solutions to the Online Epidemic, in North Carolina Law Review, 2017, p. 270 et seq.; G. Pitruzzella, O. Pollicino, S. Quintarelli, Parole e potere: libertà d'espressione, hate speech e fake news, Milano: Egea editore, 2017.
[4] Corte di giustizia, sentenza del 23 gennaio 2018, causa C-179/16, F. Hoffman-La Roche e altri c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
[5] Come tale, si intende “l’impiego nella pratica clinica di farmaci già registrati ma usati in maniera non conforme a quanto previsto dal riassunto delle caratteristiche del prodotto autorizzato. L’uso off-label riguarda, molto spesso, molecole conosciute e utilizzate da tempo, per le quali le evidenze scientifiche suggeriscono un loro razionale uso anche in situazioni cliniche non approvate da un punto di vista regolatorio. […] La legge permette un uso ‘diverso’ del farmaco qualora il medico curante, sulla base delle evidenze documentate in letteratura e in mancanza di alternative terapeutiche migliori, ritenga necessario somministrare un medicinale al di fuori delle indicazioni d’uso autorizzate” (così Agenzia Italiana del Farmaco, Off-label, in Bollettino di informazione sui farmaci, 2006, p. 140).
[6] Ciò perché la Roche non è attiva nel settore oftalmico.
[7] Senza pretesa di esaustività, si rinvia a Corte di giustizia: sentenza del 14 febbraio 1978, causa 27/76, United Brands, par. 10-12; sentenza del 9 novembre 1983, causa 322/81, Michelin, par. 37; Tribunale, sentenza del 17 dicembre 2003, causa T-219/99, British Airways, par. 91.
[8] Conclusioni dell'AG Saugmandsgaard Øe presentate il 21 settembre 2017, causa C-179/16, F. Hoffman-La Roche e altri c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, par. 76-77, 84-89.
[9] Al riguardo, l'Avvocato generale richiama Corte di giustizia, sentenza del 7 febbraio 2013, causa C-68/12, Slovenská sporiteľňa, par. 21, ove i giudici di Lussemburgo hanno riconosciuto che “il fatto che un’impresa lesa da un accordo tra imprese avente ad oggetto una restrizione del gioco della concorrenza operasse sul mercato pertinente in modo asseritamente illegale al momento della conclusione di tale accordo non incide sulla questione se detto accordo integri una violazione di tale disposizione”.
[10] Si vedano il regolamento (CE) n. 772/2004 della Commissione, del 27 aprile 2004, relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del trattato CE a categorie di accordi di trasferimento di tecnologia e il regolamento (UE) n. 316/2014 della Commissione, del 21 marzo 2014, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi di trasferimento di tecnologia.
[11] Conclusioni dell'AG Saugmandsgaard Øe, F. Hoffman-La Roche e altri c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, cit., par. 92-96, 111-113.
[12] I riferimenti principali sono a Corte di giustizia: sentenza dell'8 giugno 1982, causa 258/78, Nungesser e Eisele, par. 57; sentenza dell'11 settembre 2014, causa C-382/12 P, Mastercard Inc. e altri, par. 89. Sul punto, si vedano altresì Corte di giustizia: sentenza del 30 giugno 1966, causa 56/65, Société Technique Minière; sentenza dell'11 luglio 1985, causa 42/84, Remia, par. 19 e 20; sentenza del 28 gennaio 1986, causa 161/84, Pronuptia, par. 16-22; sentenza del 19 aprile 1988, causa 27/87, Erauw-Jacquery, par. 10; sentenza del 15 dicembre 1994, causa C-250/92, DLG, par. 35; sentenza del 12 dicembre 1995, causa C-399/93, Oude Luttikhuis, par. 12-14; Tribunale, sentenza del 18 settembre 2001, causa T-112/99, M6 e altri, par. 107-116.
[13] Sul punto, l'Avvocato generale (par. 121-123) ha altresì modo di rilevare quanto segue: “Mi sembra difficile sostenere che la realizzazione di un accordo di licenza concernente la concessione di diritti su una tecnologia ai fini della produzione e/o della commercializzazione di un medicinale autorizzato per determinate indicazioni terapeutiche sia impossibile senza un impegno del licenziante ad ostacolare la concorrenza proveniente dalla domanda, da parte dei medici, di un altro medicinale integrante tale tecnologia e prescritto off-label per tali indicazioni. Il fatto che, se del caso, la domanda del medicinale utilizzato off-label influenzi quella del medicinale coperto dall’accordo di licenza e renda in tal modo meno redditizio lo sfruttamento dei diritti sulla tecnologia oggetto di licenza, non è sufficiente a dimostrare il carattere oggettivamente necessario di una siffatta restrizione. Lo stesso vale, a maggior ragione, allorché, come nel caso di specie, le restrizioni non sono state pattuite nell’accordo di licenza bensì tramite una pratica concordata di diversi anni successiva alla sua conclusione”.
[14] Conclusioni dell'AG Saugmandsgaard Øe, F. Hoffman-La Roche e altri c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, cit., par. 151-160 e 167.
[15] Hoffman-La Roche, cit., par. 62-67.
[16] Ivi, par. 73.
[17] Ivi, par. 98.
[18] Ivi, par. 78-80. Per quel che riguarda l'interpretazione restrittiva del concetto di restrizione della concorrenza per oggetto, la Corte richiama Corte di giustizia: sentenza del 27 aprile 2017, FSL e altri c. Commissione, C-469/15 P, par. 53; sentenza del 20 novembre 2008, causa C-209/07, Beef Industry Development e Barry Brothers, par. 17. Per ulteriori riferimenti, si veda infra.
[19] Si veda il regolamento (CE) n. 658/2007 della Commissione del 14 giugno 2007 relativo alle sanzioni pecuniarie in caso di violazioni di determinati obblighi connessi con le autorizzazioni all'immissione in commercio rilasciate a norma del regolamento (CE) n. 726/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, come modificato dal regolamento (UE) n. 488/2012 della Commissione dell’8 giugno 2012.
[20] Hoffman-La Roche, cit., par. 91-94.
[21] Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2005 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio.
[22] Art. 2, lett. b), della direttiva 2006/114/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, la quale fu adottata al fine di codificare tutti gli interventi di modifica realizzati nel corso del tempo con riferimento alla precedente direttiva 84/450/CEE del Consiglio del 10 settembre 1984, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa.
[23] Direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 novembre 2001 recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano.
[24] Direttiva 2010/84/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 dicembre 2010 che modifica, per quanto concerne la farmacovigilanza, la direttiva 2001/83/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano.
[25] Regolamento (CE) n. 726/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 che istituisce procedure comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l'agenzia europea per i medicinali.
[26] Nei casi più recenti relativi all'applicazione delle normative sopra citate in materia di pratiche sleali e pubblicità ingannevole e comparativa, la Corte di giustizia si è occupata dei concetti di omissione ingannevole. Si vedano Corte di giustizia, sentenza del 7 settembre 2016, causa C-310/15, Deroo-Blanquart, e Corte di giustizia, sentenza dell'8 febbraio 2017, causa C-562/15, Carrefour Hypermarchés.
[27] Tribunale, sentenza del I luglio 2010, causa T-321/05, AstraZeneca, par. 355-359, confermata poi da Corte di giustizia, sentenza del 6 dicembre 2012, causa C-457/10 P, AstraZeneca. Al riguardo, si rinvia a B. Batchelor, M. Hearly, CJEU AstraZeneca Judgment: Groping Towards a Test for Patent Office Dealings, in European Competition Law Review, 2013, p. 171 et seq.
[28] Conseil de la concurrence, decisione n. 07-MC-06 dell’11 dicembre 2007 relativa a una domanda di misure conservative presentata dalla società Arrow Génériques, par. 102-105.
[29] Autorité de la concurrence, decisione n. 09-D-28 del 31 luglio 2009 relativa a talune pratiche di Janssen-Cilag France nel settore farmaceutico, par. 125.
[30] Autorité de la concurrence, decisione n. 13-D-11 del 14 maggio 2013 relativa a talune pratiche attuate nel settore farmaceutico, par. 361-368, 440-450. Propriamente, sia attraverso la rete dei propri rappresentanti, sia a mezzo stampa, la Sanofi-Aventis presentava i prodotti concorrenti e li metteva a confronto con i propri, sottolineando l'esistenza di differenze che, in realtà, riguardavano esclusivamente aspetti di proprietà intellettuale, e non le proprietà chimiche o mediche dei farmaci.
[31] Tale ragionamento e tale decisione sono quindi stati confermati da parte della Cour de Cassation, al termine della vicenda originata dai ricorsi proposti da Sanofi-Aventis contro la pronuncia dell'autorità della concorrenza. Secondo i giudici di Cassazione, la Sanofi-Aventis aveva avviato e attuato con modalità inappropriate e ambigue una strategia di comunicazione diretta a mettere in discussione l'equivalenza tra farmaco di marca e farmaco generico, lasciando credere a medici e farmacisti che la differenza d'indicazione terapeutica fosse legata a ostacoli di natura propriamente medica, quando l'obiettivo era soltanto la protezione del proprio brevetto. E ciò, nonostante fosse dimostrato che il farmaco generico presentava un livello di efficacia e di sicurezza simile a quello di marca. Si veda Cour de Cassation, sentenza del 18 ottobre 2016, n. 890, 15-10.384.
[32] Autorité de la concurrence, decisione n. 13-D-21 del 18 dicembre 2013 relativa a talune pratiche attuate sul mercato francese della buprenorfina ad alto dosaggio messa in commercio cittadino, par. 452 et seq.
[33] Cour de Cassation, sentenza dell’11 gennaio 2017, n. 33, 15-17.134.
[34] Il riferimento principale in materia è Corte di giustizia, sentenza dell'11 settembre 2014, causa C-67/13 P, CB c. Commissione, par. 58 e 78 (su cui G. Murray, In Search of the Obvious: Groupement des Cartes Bancaires and "By Object" Infringements under EU Competition Law, in European Competition Law Review, 2015, p. 47 et seq.). Ulteriormente, si veda Corte di giustizia, sentenza del 26 novembre 2015, causa C-345/14, Maxima Latvija, par. 18.
[35] Si considerino Corte di giustizia: sentenza del 4 giugno 2009, causa C-8/08, T-Mobile Netherlands, par. 31 e, in parte, sentenza del 13 ottobre 2011, causa C-439/09, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique, e sentenza del 14 marzo 2013, causa C-32/11, Allianz Hungária Biztosító Zrt.