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Keywords: international protection – detention – administrative detention – asylum – returning illegal immigrants.
Con il decreto legislativo del 18 agosto 2015 n. 142, entrato in vigore il 30 settembre 2015, sono state trasposte la direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione e la direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale: le due direttive costituiscono una sorta di testo unico, attraverso la ‘rifusione’ di norme delle due precedenti direttive 2005/85/CE e 2003/9/CE. Il provvedimento, negli artt. 6 e 7, regolamenta il trattenimento nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE) dei richiedenti protezione internazionale, istituto sul quale ci si soffermerà in questa nota.
È anzitutto confermato il principio per cui il richiedente non può essere trattenuto per il solo fatto di aver presentato domanda di protezione; come consentito dalla direttiva 2013/33/UE, la normativa nazionale prevede alcune precise ipotesi, in cui il trattenimento può essere disposto caso per caso dal Questore con provvedimento scritto, motivato e tradotto in una lingua che si suppone essere compresa all’interessato.
Fermo restando che la misura è una extrema ratio, utilizzabile solo quando misure non detentive alternative siano risultate impraticabili,[1] il trattenimento può essere disposto solo nei confronti del richiedente che ha commesso alcuni gravi reati, che si trovi nelle condizioni di pericolosità sociale in cui sarebbero applicabili le misure di prevenzione, che possa costituire un pericolo per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato,[2] che sia sospettato di operare con organizzazioni terroristiche, che al momento della presentazione della domanda era già trattenuto in un CIE ai fini dell’esecuzione di un provvedimento di respingimento o di espulsione (ove ricorrano fondati motivi per ritenere che la domanda sia stata presentata al solo fine di impedire l’esecuzione del provvedimento di espulsione), o nel caso di pericolo di fuga.[3]
Competente alla convalida del trattenimento del richiedente asilo e alle sue eventuali proroghe è il tribunale in composizione monocratica. Per quanto l’ambito di applicazione soggettivo sia limitato ai richiedenti protezione, la previsione costituisce una significativa novità in materia di trattenimento, posto che con la legge n. 271/2004, la convalida dei provvedimenti amministrativi di espulsione e trattenimento è diventata una competenza del Giudice di pace. A suo tempo, la scelta del legislatore di sottrarre la materia alla magistratura togata era stata criticata in dottrina per l’inidoneità dell’organo, inquadrato in una dimensione conciliativa, a svolgere funzioni di garanzia e di controllo sulla legittimità della coercizione personale.[4]
Il trattenimento non può protrarsi oltre il tempo strettamente necessario all’esame della domanda; il richiedente trattenuto che presenta ricorso giurisdizionale avverso la decisione di rigetto della Commissione territoriale competente, rimane in stato di trattenimento per tutto il tempo in cui è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale in conseguenza del ricorso giurisdizionale proposto.
In questo caso, il Questore chiede la proroga del trattenimento in corso per periodi ulteriori non superiori a sessanta giorni, di volta in volta prorogabili da parte del tribunale. Il comma 8 dell’art. 6 fissa il termine di durata massima della misura che in ogni caso non può superare i 12 mesi.
Dunque, la durata complessiva del trattenimento a cui possono essere sottoposti i richiedenti asilo appare molto superiore al periodo massimo di trattenimento consentito nei confronti degli stranieri trattenuti ad altro titolo, durata ridotta nel 2014 a 30 giorni, prorogabili due volte, fino ad un termine massimo complessivo di 90 giorni.[5] Seppure la prima ipotesi di trattenimento sia collegata a situazioni di pericolo per la sicurezza, o a casi in cui vi sia un fumus di insussistenza del diritto di asilo, emerge una sproporzione difficilmente giustificabile tra la durata massima del trattenimento dello straniero espellendo e la durata massima del trattenimento del richiedente asilo, che potrebbe essere di dubbia compatibilità con il principio di uguaglianza, tenuto anche conto che la direttiva stabilisce che il richiedente asilo “sia trattenuto solo per un periodo il più breve possibile” (art. 9, par. 1).[6]
Circa le modalità della detenzione, l’art. 7, in attuazione degli artt. 10 e 11 della direttiva, prevede che siano garantiti la necessaria assistenza e il rispetto della dignità umana; sono assicurati, inoltre, la considerazione della differenza di genere ai fini della sistemazione, la fruibilità di spazi all’aperto ed è tutelata, ove possibile, l’unità del nucleo familiare.
È consentito l’accesso ai centri e la libertà di colloquio con i richiedenti dell’UNHCR, degli enti di tutela dei rifugiati, dei familiari, degli avvocati dei richiedenti e dei ministri di culto. Tale accesso può essere limitato (ma non impedito del tutto), per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico o per ragioni connesse alla gestione amministrativa dei centri. Il richiedente è informato delle regole vigenti nel centro in una lingua comprensibile.
Non possono essere trattenuti i richiedenti le cui condizioni di salute sono incompatibili con il trattenimento. È assicurata una verifica periodica della sussistenza delle condizioni di vulnerabilità, definite al successivo art. 17,[7] al fine di valutarne la compatibilità con la permanenza nel centro.
Per quanto si tratti di indicazioni minime imposte dal recepimento della direttiva, è da accogliere con favore l’intervento normativo sulle modalità del trattenimento, che finalmente vengono disciplinate con un certo grado di dettaglio da una fonte primaria. In passato, infatti, la fonte primaria si era limitata ad enunciazioni di principio, rinviando in proposito al regolamento di attuazione, che a sua volta rinviava a fonti sub-regolamentari. Si era parlato di un rovesciamento del sistema delle fonti, che ha determinato in questa materia la centralità della discrezionalità amministrativa (prevalente sulla rappresentanza politica di cui la fonte primaria è manifestazione), a detrimento del principio di uguaglianza e della riserva di legge ex art. 13 Costituzione.[8] L’innovazione sembra essere un primo passo nella giusta direzione, anche se sarebbe necessario intervenire organicamente, almeno con riferimento agli standard minimi di tutela dei diritti fondamentali.
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European Papers, Vol. 1, 2016, No 1, European Forum, Highlight of 16 April 2016, pp. 331-334
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/30
* Ricercatore confermato e Professore aggregato di Istituzioni di diritto pubblico, Università di Macerata, angela.cossiri@unimc.it.
[1] Il rinvio all’art. 14, comma 1bis, del T.U. immigrazione contenuto nell’art. 6, comma 5, del decreto in commento, parrebbe dover essere interpretato in conformità al considerando (20) e all’art. 8, par. 2, della direttiva 2013/33/UE.
[2] La valutazione può ancorarsi in questo caso anche ad una sentenza non definitiva di condanna.
[3] Il decreto legislativo precisa che “la valutazione sulla sussistenza del rischio di fuga è effettuata, caso per caso, quando il richiedente ha in precedenza fatto ricorso sistematicamente a dichiarazioni o attestazioni false sulle proprie generalità al solo fine di evitare l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione ovvero non ha ottemperato ad uno dei provvedimenti di cui all’art. 13, commi 5, 5.2 e 13, nonché all’art. 14 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286” (art. 6, comma 2, lett. d)).
[4] Tale scelta ha superato il vaglio del giudice costituzionale, che l’ha ritenuta parte della discrezionalità legislativa (v. Corte costituzionale, ordinanza n. 109/2006, pronunciata in merito al provvedimento di accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica; v., anche, più recentemente, ordinanza n. 93/2014, sulla convalida del provvedimento di trattenimento).
[5] V. legge n. 161/2014 (legge europea 2013-bis), art. 3, comma 1, lett. e).
[6] Cfr. N. Morandi, G. Schiavone, P. Bonetti (a cura di), Prime note sul decreto legislativo 18 agosto 2015 n. 142, di attuazione della direttiva 2013/33/UE sulle norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e della direttiva 2013/32/UE sulle procedure comuni ai fini del ricconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in ASGI Scheda pratica sul d.lgs. n.142/2015 su accoglienza e procedure di asilo, 2015, p. 6.
[7] Sono considerate persone vulnerabili i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta di esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, le persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale o legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere, le vittime di mutilazioni genitali.
[8] La libertà personale può essere limitata nei soli “modi previsti della legge”. Sulle molte criticità costituzionali della disciplina del trattenimento, si veda A. Pugiotto, La “galera amministrativa” degli stranieri e le sue incostituzionali metamorfosi, in Quaderni costituzionali, n. 3, 2014, p. 573 et seq.