La revisione della politica europea di vicinato e il controverso rapporto tra condizionalità e geometria variabile

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Abstract: This comment examines the reform of the European Neighbourhood Policy (ENP) as illustrated by the European Commission and the High Representative of the Union, Mogherini, in November 2015. The objective of the new ENP is to increase the stability of the neighbours and to promote their growth. It is envisaged the possibility to device a new instrument to financially support the neighbour countries and to simplify the mechanism to monitor the progresses of these countries in carrying out domestic reforms. In addition, the reformed ENP will be prominently based on the principle of variable geometry. This implies that the European Union (EU) is ready to engage with all its neighbours, albeit with different degrees of intensity. At the moment there are at least three categories of neighbours: there are those who are interested to get as close as possible to the EU and to adhere to EU economic and political model (Georgia, Moldova and Ukraine but also to Tunisia and Morocco), those that do not respect values such as respect for human rights and democracy but are interested in cooperating with the EU in area of mutual interests (Azerbaijan) and those that are selectively interested in the EU cooperation (Armenia). The more intense cooperation is reserved to by the EU to neighbour countries that undertake economic and political reforms. However, the EU will also engage with partner countries that are interested to deepen the cooperation with the EU only in limited sectors or are not willing to adhere to the EU model. The greater degree of variable geometry in the ENP cannot be easily reconciled with the methodology of political conditionality which inspires the ENP and, more broadly, the EU external relations. At the same time, a more flexible ENP best serves the EU interests. The conclusion that may be drawn is that the EU is becoming a more pragmatic global actor.

Keywords: European Neighbourhood Policy – enlargement policy – conditionality – EU values – principle of differentiation.
 

I. La riforma della PEV: gli elementi di continuità

La politica europea di vicinato (PEV)[1] è una delle azioni esterne dell’Unione europea (UE) attraverso la quale essa promuove i principi che hanno informato la sua creazione (art. 21, par. 1, TUE). Si tratta di un settore di attività strategico per l’UE considerati i forti legami con la sua sicurezza interna, evidenziati dalla stessa Strategia per la Sicurezza europea del 2003. Tuttavia, l’impostazione dei rapporti tra UE e gli Stati vicini è al centro di numerose critiche.[2] Infatti, nel corso degli anni non sono stati realizzati gli obiettivi originariamente proposti dalla comunicazione “Un’Europa ampliata”:[3] creare con i vicini[4] una zona comune di prosperità e stabilità. Certamente la forte instabilità causata dalla prima primavera araba del 2011 ha costituto un importante ostacolo al raggiungimento degli scopi che l’UE si prefiggeva. A ciò si aggiunga che la crisi dell’Ucraina del 2014 ha costretto a considerare la Russia non più come “partner strategico”, ma come Stato che destabilizza uno dei vicini dell’Unione con aspirazioni europee e a stabilire misure restrittive ad ampio raggio. Tuttavia, gli insuccessi della politica in esame non possono essere ricondotti solo a ‘fattori esterni’, cioè agli eventi geopolitici sopra descritti.

Nel novembre 2015 l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e la Commissione europea hanno raccomandato una serie di cambiamenti da apportare alla PEV in un documento congiunto,[5] dopo aver aperto per la prima volta una consultazione pubblica sui cambiamenti da introdurre. La discussione sulle linee di riforma si è aperta nel marzo 2015 quando viene reso pubblico un documento di riflessione, nella forma di una comunicazione congiunta,[6] che pone ben 74 interrogativi su come si possa rendere più efficace la PEV per i Paesi vicini, tenendo presenti gli interessi dell’Unione. Lo stimolo all’adozione della revisione deriva dall’impegno del Presidente della Commissione europea Junker di riformare la PEV, ad un anno dall’insediamento dell’istituzione da lui presieduta. Si tratta di una iniziativa necessaria per cercare di convincere gli Stati membri e l’opinione pubblica europea del valore aggiunto che può presentare l’inserimento dei rapporti contrattuali tra l’UE e i suoi vicini all’interno di un quadro unitario, posto che essi non sono riconducibili ad una autonoma politica esterna.[7]

La riforma delineata dal documento congiunto di novembre 2015, ed approvata dal Consiglio nel dicembre 2015,[8] non comporta una rivoluzione copernicana della PEV; essa presenta comunque alcuni elementi di rottura rispetto agli obiettivi, al metodo e agli strumenti che hanno caratterizzato questa componente dell’azione esterna fino ad oggi. Altre novità, di carattere secondario, riguardano il tipo di strumenti giuridici che saranno utilizzati per dare attuazione a questa politica. Come è noto, la PEV si distingue per il notevole uso di atti di soft law.[9] Infine, il documento di revisione evidenzia alcune ambiguità.

Prima di esaminare quanto annunciato, occorre soffermarsi su taluni elementi di continuità tra PEV attuale e passata. In primo luogo, la condizionalità politica è il metodo che l’UE continuerà ad usare per realizzare gli obiettivi della PEV. Il cosiddetto “incentive-based approach” (o principio del ‘più per più’) che offre ricompense ai Paesi interessati ad impostare il loro modello di Stato sulla base dei principi e dei valori comuni all’UE – non viene abbandonato. L’UE ritiene che tale metodo abbia costituito uno stimolo ad intraprendere il processo di riforma per l’affermazione del buon governo, della democrazia, del rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani. Viene espressa la convinzione che grazie al principio sopramenzionato si siano innescati processi di riforma in Georgia, Moldavia e Ucraina. Questi Stati hanno accettato di legarsi all’UE con accordi di associazione[10] che implicano anche la creazione di un’area economica sulla base di un processo graduale di convergenza verso gli standards europei. Inoltre, accordi aventi come obiettivo la creazione di un’area di libero scambio globale e approfondita sono in corso di negoziazione anche con i vicini meridionali, Marocco e Tunisia, in cui è in atto un processo di transizione democratica. Così, per realizzare i fini della PEV si utilizzeranno le tecniche seguite finora e consistenti nell’assistenza finanziaria e macro finanziaria agli Stati vicini[11] che si sono impegnati in processi di riforma interna.

In secondo luogo, la piena distinzione tra la PEV e la politica di allargamento viene confermata, seppure implicitamente. La conclusione di accordi di associazione nell’ambito della PEV non implica che gli Stati associati abbiano compiuto un primo passo verso l’adesione. Tale prospettiva, pur non esclusa, è congelata, per lo meno nel medio termine. Nessun allargamento è previsto nel corso del mandato della Commissione in carica. Lo scopo della PEV è di agire da catalizzatore dei processi di riforma politica ed economica nei Paesi vicini, ma non necessariamente di preparare tali Stati all’adesione all’UE.

II. Gli elementi di novità e alcuni elementi di ambiguità

La revisione della PEV comporta una serie di novità che possono essere così esposte in forma sintetica: l’Unione effettua una valutazione più realistica dei cambiamenti politici che può determinare nei Paesi del vicinato; stabilisce che sia prioritario stabilizzare tali Paesi e sottolinea l’esigenza di impostare i rapporti con i suoi vicini sulla base del principio della “differenziazione rafforzata” che consiste nel concludere accordi dal contenuto e da un livello di ambizione diverso, a seconda delle aspirazioni, degli interessi dei suoi partners e del loro impegno ad attuare riforme interne. Tuttavia, nell’interpretazione di chi scrive, la carenza di riforme negli Stati vicini non osterà allo sviluppo delle relazioni contrattuali. Si annuncia altresì che l’Unione si concentrerà su un numero più limitato di settori di cooperazione con gli Stati vicini. Infine, si afferma che il sostegno finanziario a questi ultimi sarà caratterizzato da maggiore flessibilità e che il quadro degli strumenti di controllo della Commissione sull’attuazione delle riforme da parte dei partners dell’Unione sarà semplificato.

Passiamo ad un esame più dettagliato della revisione della PEV. Il primo elemento di novità è la scomparsa dell’idea, desumibile dalla comunicazione della Commissione “Un Europea ampliata”, che l’Unione, seguendo le stesse tecniche usate per i Paesi candidati all’allargamento, riesca a determinare – attraverso legami più stretti e attraverso la prospettiva di una partecipazione al mercato interno (ma senza quella dell’adesione) – una maggiore stabilità e prosperità negli Stati vicini, così come avvenuto con i Paesi diventati membri nel 2004.

L’UE è consapevole dei limiti del suo potere di trasformazione. Il documento congiunto in esame effettua una valutazione più realistica, rispetto al passato, dell’impatto che l’UE può produrre nei Paesi vicini, alcuni dei quali sono sconvolti da guerre civili protratte (Siria), che hanno ripercussioni sulla stabilità di altri Stati (Libano e Giordania), o da conflittualità di lungo corso (come nel caso del conflitto tra Israele e Palestina). Anche i Paesi del partenariato orientale sono caratterizzati da conflitti regionali (come nel caso dell’Azerbaijan e Armenia per il Nagorno-Karabak,[12] ma anche la Georgia per le regioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud) o da conflitti interni come nel caso della Moldavia per la Transnistria. Il conflitto più recente, ma non meno insidioso per l’UE, è quello tra l’Ucraina e le Repubbliche separatiste, sostenute dalla Russia. L’UE affronta tale instabilità esercitando talvolta (ma non sempre) un ruolo attivo a titolo della Politica estera e di Sicurezza comune (PESC) o della Politica di Sicurezza e di Difesa comune (PSDC) in relazione a tali conflitti, e/o adottando sanzioni mirate, in larga maggioranza autonome – cioè adottate dall’Unione sulla base di valutazioni di politica estera autonome rispetto a quelle del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – qualora la leadership politica dei vicini o attori non statali (rispettivamente) compiano violazioni dei diritti umani o minaccino la stabilità di un Paese.[13]

Alla luce dell’alto livello di instabilità dei vicini meridionali e orientali, l’Alto Rappresentante e la Commissione pongono l’accento sulla stabilizzazione e tale obiettivo risulta prioritario. Non è possibile aumentare la prosperità degli Stati vicini in assenza di stabilità politica. Ciò distingue il presente approccio da quello inaugurato nel 2011, quando la PEV aveva subito una prima revisione e l’UE sembrava meno preoccupata della stabilità dei Paesi vicini e più orientata a sostenere i Paesi impegnati a dar vita ad una “democrazia a tutti gli effetti”.[14] In quegli anni l’UE sembrava più propensa ad agire per consolidare il processo di transizione democratica, frutto della primavera araba, che a favorire la stabilità, assicurata dai precedenti regimi autoritari. Nel 2015, l’obiettivo primario della PEV diventa essenzialmente la stabilità dei vicini. Si tratta di una finalità sicuramente meno ambiziosa dell’insieme di quelle originarie proposte dalla Comunicazione “Un’Europa ampliata”, cioè aumentare la stabilità e la prosperità negli Stati del vicinato, stimolandoli ad adottare riforme politiche ed economiche al loro interno.
Nel documento di revisione della PEV si sottolinea come le cause di instabilità siano anche di carattere economico (elevati livelli di disoccupazione giovanile) ed è su queste che tale politica sembrerebbe voler incidere. Questo profilo merita alcune osservazioni con riguardo agli strumenti a disposizione dell’Unione per favorire la stabilità dei vicini. Per promuovere la crescita occorrerebbe un sostegno economico più forte da parte dell’UE e politiche migratorie più aperte e ispirate all’accoglienza. Invece, tanto l’uno quanto l’altra non sono adeguate. Lo strumento europeo di vicinato contribuisce al sostegno finanziario dei Paesi vicini con cifre tutto sommato modeste: 15 miliardi di euro.[15] Nel documento in esame c’è un timido segnale che l’UE potrebbe creare un nuovo strumento per sostenere finanziariamente i Paesi interessati.[16] Comunque, il Consiglio nelle sue conclusioni sulla revisione della PEV non sembra dare un chiaro sostegno a questa idea.[17]

Quanto alla politica di immigrazione, l’ottica del supporto dell’UE verso i Paesi dai quali proviene l’immigrazione illegale, causata sia dai conflitti che da precarie condizioni economiche, è quella di “evitare movimenti di popolazione incontrollati”.[18] L’UE si impegna ad assistere gli Stati partner sul cui territorio si trovano gli sfollati al fine di rafforzare la loro capacità di gestire l’afflusso e lo stanziamento di queste persone ed eventualmente ad organizzare programmi di rimpatrio. Quanto alle opportunità di mobilità lavorativa, l’UE si limita ad offrire soluzioni che presentano un beneficio reciproco come la mobilità di lavoratori qualificati e l’agevolazione del riconoscimento delle loro qualifiche. Nella revisione della PEV si prevede che, insieme agli Stati membri, l’Unione promuoverà modelli di accordi con i Paesi di provenienza dei flussi migratori intesi alla mobilità delle persone qualificate. Le iniziative proposte potrebbero contribuire ad alleviare l’instabilità nei Paesi vicini ma è indubbio che la loro portata è minima.

Un ulteriore elemento di novità è costituito dall’intenzione di differenziare maggiormente i rapporti contrattuali tra l’UE e le parti contraenti nella raggiunta consapevolezza che non tutti i vicini sono interessati ad approfondire nello stesso modo i rapporti con l’UE.[19] Infatti, i processi di riforma interna sono costosi (sia dal punto di vista politico per i leaders che li intraprendono, che economico) e gli incentivi offerti dall’Unione non sono stati avvertiti finora come sufficientemente significativi. Inoltre, spesso vicini quali Egitto, Bielorussia, Azerbaijan, tenendo da parte gli Stati in preda a guerre civili (Siria e Libia), contestano i valori che l’UE difende sul piano esterno risultando dunque ben poco interessati al loro radicamento; oppure sono attratti dalle opportunità di integrazione economica offerte dai ‘vicini dei vicini’ (come dimostra l’adesione dell’Armenia all’Unione economica eurasiatica).[20] In questo quadro, l’Unione differenzierà la sua offerta di cooperazione e introdurrà nella PEV rapporti di cooperazione a ‘geometria variabile’. Possiamo però dire che non sia facile identificare gruppi di Stati che ‘viaggiano a velocità simili’ nei loro rapporti con l’Unione. Tra questi potrebbero essere inclusi Georgia, Moldavia e Ucraina per aver concluso un accordo di associazione che contempla la creazione di un’area di libero scambio globale ed avanzata. Occorre precisare che l’applicazione delle disposizioni dell’accordo relative all’istituzione di tale area è stata sospesa per effetto delle pressioni russe[21] ma a partire dal 1° gennaio 2016 esse sono applicate in via provvisoria,[22] in attesa che tutti gli Stati membri dell’Unione ratifichino l’accordo di associazione. A questo primo gruppo di Stati se ne potrebbe aggiungere un altro nel vicinato del Sud, formato da Marocco e Tunisia, considerati Stati che hanno intrapreso la strada delle riforme. Ma a parte questi due insiemi di Stati simili non è possibile individuarne altri. Piuttosto ogni vicino ha interessi a sviluppare rapporti con l’Unione sulla base di proprie specificità. Si pensi all’Azerbaijan interessato a stabilire rapporti di cooperazione settoriale con l’Unione, oppure all’Armenia che è aperta alla cooperazione politica ma non a partecipare al mercato interno.[23] La situazione della Bielorussia è ancora diversa dato che fino al 2015 ha mantenuto al minimo i rapporti con l’Unione. Con riguardo a quest’ultimo Paese si segnalano importanti sviluppi legati all’evoluzione della situazione interna. Di recente sono state abolite le misure di congelamento dei beni nei confronti di 170 persone e tre imprese bielorusse, a seguito della decisione del governo di rilasciare alcuni prigionieri politici. Questa decisione sembrerebbe legata anche al fatto che nell’ottobre 2015 si sono svolte elezioni presidenziali “non violente” (ciò non vuol dire, naturalmente, che esse siano state anche democratiche).[24]

Occorre sottolineare, come già detto, che il documento di revisione della PEV considera la differenziazione come un elemento di novità. In realtà, di per se stesso, non lo è. Infatti, sin dalle sue origini la PEV si propone di differenziare i rapporti con gli Stati vicini;[25] l’idea viene ribadita dopo la prima primavera araba nel 2011.[26] In occasione della presente riforma il termine “differenziazione” ha un significato diverso: implica che l’UE svilupperà rapporti anche con quei Paesi che, pur non avendo aspirazione a convergere verso il modello politico ed economico dell’Unione, sono comunque interessati alla cooperazione. In altre parole, pur mantenendo fermo il principio del ‘più per più’, che implica lo sviluppo dei rapporti contrattuali dell’Unione con quei Paesi che adottano le riforme interne concordate con l’Unione, l’UE cala il sipario sulla seconda componente dello “incentive-based approach”, quello del ‘meno per meno’. Più precisamente, anziché mantenere al minimo i rapporti contrattuali con gli Stati che non attuano le riforme politiche ed economiche che si erano impegnati a promuovere al loro interno, offrendo quindi ‘meno’ a questi Stati di fronte alla loro inerzia sul versante delle riforme, l’Unione decide di sviluppare le sue relazioni con questi Stati attraverso la conclusione di nuovi accordi. Ci saranno, quindi, gruppi di vicini i cui rapporti con l’Unione saranno caratterizzati da velocità diverse. Nel documento si evidenzia che agli Stati che intendono impostare i rapporti con l’UE ad una ‘velocità inferiore’ rispetto ad altri saranno proposti accordi commerciali più flessibili di quelli conclusi con Georgia, Moldavia e Ucraina: il documento afferma che l’UE andrà al di là degli accordi commerciali esistenti. Come esempio viene individuato l’accordo sulla valutazione della conformità e accettazione dei prodotti industriali[27] (a cui è legato ad esempio Israele) che mira a liberalizzare gli scambi di specifici prodotti industriali e si basa sull’allineamento delle legislazione e regolamentazione tecnica del Paese contraente a quella dell’Unione. E’ intuibile che un simile accordo favorirebbe l’importazione di prodotti provenienti dal territorio di quest’ultima ma potrebbe costituire la base di futuri sviluppi e andrebbe nella direzione di intrattenere rapporti di buon vicinato con tutti i vicini dell’Unione, a prescindere dalla volontà di questi di adottare riforme politiche interne.

Nella prassi, il principio di “differenziazione rafforzata”[28] ha già trovato attuazione. Infatti, si segnala che nel dicembre 2015 è stato annunciato l’avvio di negoziati per la conclusione di un nuovo accordo UE-Armenia che sostituirà l’accordo di partenariato e cooperazione; esso non dovrà contenere obblighi relativi alla creazione di un’area di libero scambio globale e approfondita (al contrario degli accordi di associazione con Moldavia, Georgia e Ucraina), in considerazione dell’appartenenza di questo Paese all’Unione Economica eurasiatica.[29] Inoltre, nel febbraio 2016 si è aperta la discussione per la negoziazione di un nuovo accordo con l’Azerbaijan che sviluppi (“upgrade”) i rapporti bilaterali disciplinati da un accordo di partenariato e cooperazione degli anni novanta. La propensione dell’UE ad intrattenere rapporti con tale Stato è dovuta alla considerazione che la cooperazione può rivelarsi necessaria al fine di tutelare gli interessi dell’UE. Nonostante questo Paese sia ben lontano dal rispettare i valori di cui all’art. 2 TUE, esso rimane un partner essenziale per la sicurezza energetica dell’Unione.[30] Queste considerazioni hanno indotto l’Unione a considerare il rispetto dei suoi valori non come una pre-condizione per lo sviluppo dei rapporti contrattuali, ma come un obiettivo da raggiungersi nel corso del tempo.

Un ulteriore elemento di novità è costituto dalla decisione di introdurre più flessibilità nella programmazione e nell’uso degli strumenti di assistenza finanziaria, come l’ENI, e un maggiore coordinamento tra questi e le attività dell’UE svolte a titolo di politica estera e di difesa. Quanto al primo profilo, al momento gli strumenti finanziari presentano poca flessibilità e non consentono di essere erogati in tempi rapidi. A questo proposito, la Commissione e l’Alto Rappresentante si impegnano a verificare la possibilità di creare un margine di flessibilità (“flexibility cushion”) nell’ambito dello strumento europeo di vicinato per poter assistere i Paesi colpiti da eventi imprevisti.[31] Quanto al secondo il profilo, l’esigenza di coordinamento dovrebbe consentire la sospensione, per ragioni di politica estera, dell’erogazione dei finanziamenti in situazioni di crisi interne al Paese dovute, ad esempio, alla repressione violenta della popolazione civile o ad involuzioni democratiche.

Il quarto elemento di novità è rappresentato dal fatto che a livello bilaterale l’UE individuerà un numero di priorità di cooperazione più ristretto rispetto al passato. I settori di cooperazione considerati d’ora in poi prioritari sono il commercio, la sicurezza energetica, i trasporti, la mobilità e la sicurezza. In particolare, in quest’ultimo ambito i settori specifici considerati per la cooperazione sono quelli che risultano prioritari nell’Agenda europea sulla sicurezza:[32] la lotta al terrorismo, il cybercrime, alla corruzione, al crimine organizzato e la prevenzione della radicalizzazione.

Ci sono poi delle novità con riguardo ad alcuni strumenti giuridici non vincolanti attraverso i quali la PEV viene attuata. Mentre fino ad oggi venivano adottati e resi pubblici simultaneamente i cosiddetti Progress Reports annuali della Commissione per ciascuno Stato del vicinato, d’ora in poi, invece, l’UE svilupperà un nuovo meccanismo di valutazione che dovrebbe risultare ‘più leggero’. Ci saranno due tipi di rapporti: uno che riguarderà ciascun Paese e si concentrerà sul raggiungimento degli obiettivi strategici concordati; esso sarà alla base della discussione nell’ambito dei consigli di associazione o cooperazione creati dagli accordi di associazione (non è chiaro se tale rapporto sarà pubblico). E’ presumibile che questi rapporti saranno più snelli degli attuali Progress Reports dato che i Paesi del vicinato potranno scegliere di concentrarsi su un numero di obiettivi strategici più ristretto rispetto al passato. Questi rapporti continueranno ad essere strumenti di controllo dell’attuazione degli obiettivi della cooperazione nei rapporti bilaterali. Pertanto, il ridimensionamento del rapporto non implicherà necessariamente una diminuzione dell’intensità del controllo da parte dell’UE. L’altro sarà un rapporto generale che riguarderà gli sviluppi politici ed economici nei Paesi della politica di vicinato nel loro complesso e sarà presumibilmente pubblico. Sulla base di questi documenti, e in particolare del grado di rispetto del diritto e dei diritti umani, l’Unione deciderà anche di calibrare il supporto finanziario ai partners sulla base dello strumento europeo di vicinato. Viene pertanto ribadito il principio della flessibilità nell’erogazione del supporto finanziario dell’Unione ai vicini.

Come preannunciato, il documento di revisione della PEV evidenzia alcune ambiguità. Ad esempio, esso prevede che l’UE si impegnerà a cooperare con i vicini in materia di sicurezza: “The measures set out in this Joint Communication seek to offer ways to strengthen the resilience of the EU’s partners in the face of external pressures and their ability to make their own sovereign choices”.[33] Non è chiaro, tuttavia, che tipo di sostegno in materia di sicurezza l’UE è disposta a dare agli Stati quali Moldavia, Ucraina e Georgia le cui scelte sovrane sono spesso fortemente condizionate dalla Russia.

In secondo luogo, nella nuova PEV viene considerato importante cercare di coinvolgere di più gli Stati membri nel “re-energising work with our neighbours”.[34] La PEV è infatti considerata una politica gestita essenzialmente dalla Commissione e dal Servizio europeo per l’azione esterna (a partire dalla sua creazione), mentre gli Stati membri mantengono un atteggiamento di disimpegno.[35]

Tuttavia, quale ruolo in concreto ci si aspetta che questi ultimi svolgano? Inoltre, in quali aree essi saranno maggiormente coinvolti? Il documento di revisione della PEV non rivela in modo chiaro la risposta ad alcuno dei due interrogativi. Tuttavia, quanto al primo, si può ipotizzare che, al fine di rendere più attraente per gli Stati vicini la cooperazione con l’Unione europea e di far pressione su di essi affinché intraprendano la via delle riforme, agli Stati membri potrebbe essere richiesto di cooperare con le istituzioni dell’Unione nelle aree di loro competenza che sono in qualche modo collegate all’attuazione della politica di vicinato. Ad esempio, uno dei settori in cui la cooperazione con l’UE è particolarmente importante per gli Stati vicini è quello della mobilità. Come è noto, gli Stati membri rimangono competenti a determinare il volume di ingressi nel loro territorio di cittadini di Stati terzi che cercano un lavoro, ex art. 79, par. 5, TFUE. Ebbene, per rispondere al secondo interrogativo, gli Stati membri potrebbero aprire all’immigrazione legale gli Stati del vicinato che realizzano riforme interne contribuendo così ad offrire loro incentivi concreti all’attuazione di un programma di riforme. In altre parole, gli Stati membri faciliterebbero l’attuazione della PEV. Questa interpretazione sembra indirettamente confermata dal testo del documento nel quale si legge: “In cooperation with Member States, we will promote a skilled labour migration scheme, including the possibility of offering preferential schemes for nationals of the ENP countries willing to engage on further cooperation on migration with the EU”.[36]

III. Le implicazione sistemiche

Infine, occorre brevemente riflettere sulle implicazioni sistemiche della revisione della PEV.

Dall’analisi del documento del novembre 2015 emerge la volontà dell’UE di mantenere all’interno di uno stesso quadro politico i rapporti con i vicini dell’Est e del Sud, siano essi Stati “willing” o “unwilling” di intraprendere riforme politiche ed economiche interne. Tuttavia, ci sono dei dubbi sul se la PEV costituisca ancora un quadro concettuale unitario per i rapporti con gli Stati vicini e non si sia invece frantumata in un fascio di rapporti bilaterali tra l’UE e i suoi vicini, in considerazione del livello di geometria variabile che esiste e che esisterà sempre più all’interno della PEV. Infatti, accanto a Stati che hanno rapporti speciali e più stretti con l’UE in vista della loro posizione geografica e in quanto più aderenti ai suoi valori (Georgia, Moldavia e Ucraina), ci sono altri Stati che si stanno orientando verso il modello dell’Unione ma non hanno una prospettiva di adesione (Tunisia, Marocco), altri che sono selettivamente interessati all’UE (Armenia) e altri ancora che sono poco interessati ad avvicinarsi all’Unione (Azerbaijan e Bielorussia).

Infine, ci sono Paesi troppo instabili per poter stabilire rapporti con essa (Libia e Siria) e Stati che sono assai simili all’UE ma non hanno prospettive di adesione (Israele). Quanto agli altri Paesi, essi risultano difficilmente collocabili in una delle precedenti categorie. In conclusione, è difficile qualificare questo quadro anche solo come una “politica-ombrello”,[37] per non parlare di una vera e autonoma politica esterna. Del resto, è significativo il fatto che lo stesso art. 8 TUE,[38] che legittima lo sviluppo di rapporti privilegiati tra l’UE e i Paesi limitrofi, non sia mai stato utilizzato come base giuridica[39] a fondamento di atti riconducibili a questa politica, e in particolare non sia neppure citato negli accordi di associazione conclusi con Georgia, Moldavia e Ucraina nel 2014. Inoltre, anche dal punto di vista della collocazione nel Trattato esso non è inserito nella parte V del TFUE insieme alle altre politiche esterne dell’Unione che non siano la Politica estera e di sicurezza comune. In conclusione, più che una vera e propria “politica”, ispirata a principi comuni, la PEV costituisce un mero quadro politico che si basa su rapporti molto eterogenei con gli Stati del vicinato. La sua esistenza sembra tuttavia giustificata dalla necessità di stabilire un quadro unico di rapporti con gli Stati vicini che si imponga a tutti gli Stati dell’Unione. In assenza di questo quadro, dai contorni un po’ indefiniti, ciascun membro dell’Unione si sentirebbe libero di sviluppare rapporti bilaterali con gli Stati del vicinato.

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European Papers, Vol. 1, 2016, No 1, European Forum, Insight of 16 April 2016, pp. 263-274
ISSN
2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/22

* Professore associato di Diritto dell'Unione europea, Università di Pisa, poli.sara@gmail.com.

[1] Essa interessa i Paesi del vicinato orientale (Bielorussia, Georgia, Ucraina, Azerbaijan, Armenia e Moldavia) e quelli del vicinato meridionale (Algeria, Giordania, Egitto, Israele, Libano, Marocco, Siria, territori occupati palestinesi e Tunisia).
[2] D. Kochenov, E. Basheska, The European Neighbourhood Policy’s value conditionality: from enlargements to post-Crimea, in S. Poli (ed.), The European Neighbourhood Policy: values and principles, London: Routledge, in corso di stampa; G. Harpaz, Approximation of Laws under the European Neighbourhood Policy: the challenges that lie ahead, in European Foreign Affairs Review, n. 3, 2014, p. 429 et seq.; A. Magen, The shadow of enlargement: can the European Neighbourhood Policy achieve compliance?, in Columbia Journal of European Law, n. 12, vol. 2, 2006, p. 383 et seq. Con riguardo alle critiche quanto all’incoerente applicazione del principio di condizionalità nei rapporti con gli Stati de Sud del Caucaso vedi N. Ghazaryan, The European Neighbourhood Policy and the Democratic Values of the EU, Oxford: Hart Publishing, 2014.
[3] Comunicazione COM (2003) 104 final, della Commissione europea “Un’Europa ampliata - Prossimità: Un nuovo contesto per le relazioni con i nostri vicini orientali e meridionali”. Si veda anche comunicazione COM (2004) 373 final, della Commissione europea “European Neighbourhood Policy Strategy Paper”.
[4] All’epoca della comunicazione “Un’Europa ampliata” i Paesi che si immaginava potessero rientrare nella politica di vicinato erano Bielorussia, Ucraina, Russia e i Paesi del Mediterraneo meridionale. Solo nel 2004 sono stati fatti rientrare in questa politica anche i Paesi del Caucaso del Sud, su pressione del Parlamento europeo.
[5] Comunicazione congiunta JOIN (2015) 50 final, dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e della Commissione europea “Riesame della politica europea di vicinato”.
[6] Documento di consultazione congiunto JOIN (2015) 6 final, dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e della Commissione europea “Verso una nuova politica europea di vicinato”.
[7] Secondo autorevole dottrina, la PEV più che una “policy competence” sarebbe qualificabile come un “policy method, with a distinct rationale and set of instruments and objectives tailored towards the neighbourhood, drawing on policy-specific competences of the EU and Member States”. B. Van Vooren, R. Wessel, EU External Relations Law, Cambridge: Cambridge University Press, 2014, p. 544.
[8] Outcome 15278/15 of the Council of the European Union.
[9] Si tratta delle comunicazioni della Commissione, degli Strategy papers, dei rapporti della Commissione sui singoli Paesi e di strumenti di natura bilaterale come i Piani di azione.
[10] Accordo di associazione tra l’Unione Europea e la Comunità Europea per l’energia atomica e gli Stati membri da un lato, e Georgia, dall’altro, del 30 agosto 2014; accordo di associazione tra l’Unione Europea e la Comunità Europea per l’energia atomica e gli Stati membri da un lato, e la Repubblica di Moldova, dall’altro, del 30 agosto 2014; accordo di associazione tra l’Unione Europea e la Comunità Europea per l’energia atomica e gli Stati membri da un lato, e l’Ucraina, dall’altro, del 29 maggio 2014.
[11] Come avvenuto già nel caso della Georgia, Giordania, Ucraina e Tunisia. Per approfondimenti, mi si permetta di rinviare al mio, Promoting EU values in the neighbourhood through EU financial instruments and restrictive measures, in S. Poli (ed.), The European Neighbourhood Policy: values and principles, cit.
[12] Si veda il recente saggio di N. Ronzitti, Il conflitto del Nagorno Karabakh e il diritto internazionale, Torino: Giappichelli, 2014.
[13] Per inciso, nel documento di revisione non sono citate le misure restrittive adottate dall’Unione a sostegno del processo di transizione democratica in Stati quali Tunisia ed Egitto e consistenti nel congelare i beni dei membri della leadership politica e dei loro familiari responsabili di essersi appropriati di fondi pubblici. Non sono neppure citate le sanzioni adottate contro le Repubbliche separatiste ucraine e la Russia a cui si aggiungono quelle adottate nei confronti della Moldavia (indirizzate alla leadership politica della Transnistria), ma è chiaro che al momento non è in discussione alcun cambiamento riguardo al mantenimento di tali misure. L’unica eccezione, come vedremo più avanti riguarda, le sanzioni contro la Bielorussia.
[14] Questa si basa su libere ed eque elezioni, sul rispetto di diritti civili quali il diritto di esercitare la libertà di espressione, la libertà di pensiero, di coscienza e di culto; deve essere possibile formare partiti politici concorrenti e accedere a una giustizia imparziale esercitata da giudici indipendenti. Inoltre, in uno Stato democratico l’Unione si aspetta che la sicurezza sia garantita da forze armate e di polizia responsabili e che sia garantito l’accesso ad un’amministrazione pubblica competente e non corrotta. Comunicazione congiunta COM (2011) 303 dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e della Commissione europea “Nuova strategia della politica di vicinato”, pp. 2-4.
[15] Regolamento (UE) n. 232/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea che istituisce uno strumento europeo di vicinato.
[16] “The Commission will (…) conduct an in-depth assessment over the coming months with a view to developing options, including an instrument, that could better and more efficiently address the financial needs of neighbourhood countries, at the same time supporting their on-going necessary reform efforts”. Comunicazione congiunta JOIN (2015) 50 final, cit., p. 20.
[17] “The Council supports increasing the flexibility of existing financing instruments in order to improve the EU's capability to respond flexibly to crisis situations”. Outcome 15278/15, cit., par. 15.
[18] Comunicazione congiunta JOIN (2015) 50 final, cit., p. 4.
[19] “Differentiation and greater mutual ownership will be the hallmark of the new ENP, recognising that not all partners aspire to EU rules and standards, and reflecting the wishes of each country concerning the nature and focus of its partnership with the EU”. Comunicazione congiunta JOIN (2015) 50 final, cit., p. 2.
[20] L’Armenia ha aderito all’Unione economica eurasiatica con un accordo firmato il 10 ottobre 2014.
[21] Ciò è dovuto al fatto che la creazione dell’area di libero scambio tra l’Unione e l’Ucraina avrebbe, secondo la Russia, comportato danni economici alla Russia.
[22] Per maggiori informazioni sui rapporti trilaterali tra Unione europea, Russia e Ucraina, si veda The trilateral talks on DCFTA implementation, 21 dicembre 2015.
[23] Nel 2013 questo Stato ha annunciato la sua intenzione di unirsi all’unione economica eurasiatica stabilita tra la Russia, Bielorussia e Kazakhstan ed ha annunciato che non era più interessata a ratificare un accordo di associazione con l’UE che prevedeva un’area di libero scambio globale e approfondita. La decisione è dovuta alle pressioni esercitate dalla Russia e alla dipendenza economica e militare dell’Armenia rispetto a tale Paese. N. Ghazaryan, The European Neighbourhood Policy and the Democratic Values of the EU, cit., p. 185.
[24] Si veda il comunicato stampa del servizio europeo per l’azione esterna n. 85/16 del 25 febbraio 2016.
[25] Comunicazione COM (2003) 104 final, della Commissione europea, cit., punto 4. P. Van Elsuwege, Variable Geometry in the European Neighbourhood Policy: The Principle of Differentiation and Its Consequences, in E. Lannon (ed.), The European Neighbourhood Policy’s challenges, Bruxelles, College of Europe Studies, PIE Peter Lang, 2012, p. 66 et seq.
[26] Comunicazione congiunta COM (2011) 303, cit., p. 2.
[27] Comunicazione congiunta JOIN (2015) 50 final, cit., p. 8.
[28] Così è stata definita dal Consiglio nelle sue conclusioni sulla riforma della politica europea di vicinato. Outcome 15278/15, cit., par. 5.
[29] Si veda il comunicato stampa del Servizio europeo per l’azione esterna del 7 dicembre 2015.
[30] Si veda il discorso dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini del 29 dicembre 2016.
[31] Comunicazione congiunta JOIN (2015) 50 final, cit., p. 20.
[32] Per maggiori informazioni si veda la scheda informativa della Commissione europea, Agenda europea sulla sicurezza: domande e risposte, 28 aprile 2015.
[33] Comunicazione congiunta JOIN (2015) 50 final, cit., p. 4.
[34] Comunicazione congiunta JOIN (2015) 50 final, cit., p. 3.
[35] S. Gstöhl, The contestation of values in the European Neighbourhood Policy: Challenges of capacity, consistency and competition, in S. Poli (ed.), The European Neighbourhood Policy: values and principles, cit., p. 74.
[36] Comunicazione congiunta JOIN (2015) 50 final, cit., p. 16.
[37] B. Van Vooren, R. Wessel, EU External Relations Law, cit., p. 544.
[38] D. Hanf, The European Neighbourhood Policy in the light of the new ‘neighbourhood clause’ (Article 8 TEU), in E. Lannon (ed.), The European Neighbourhood Policy’s challenges, cit., pp. 109-127; C. Hillion, Anatomy of EU norm export towards the neighborhood: the impact of Article 8 TEU, in R. Petrov, P. Van Elsuwege (eds), Legislative Approximation and Application of EU Law in Eastern Neighborhood of the European Union. Towards a Common Regulatory Space?, London: Routledge, 2014, p. 13 et seq.
[39] Per un’analisi di questo tema nell’ambito delle relazioni esterne dell’Unione europea si veda M.E. Bartoloni, Politica estera e azione esterna dell’Unione europea, Napoli: Editoriale Scientifica, 2012.

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