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Abstract: In the judgment handed down on 9 November 2023 by the Court of Justice in Staatsanwaltschaft Aachen, the Court has acknowledged that the two-step test aimed at protecting fundamental rights, which was developed in relation to the European Arrest Warrant in Aranyosi and Căldăraru and confirmed by subsequent judgments – in particular, LM – also applies in the context of Framework Decision 2008/909/JHA on the transfer of sentenced persons. The Insight comments on the stance taken by the Court. It focuses on the applicability of the test also in connection with other instruments of judicial cooperation in criminal matters, the possibility of a conflict between the protection of fundamental rights and the function of social rehabilitation pursued through the transfer of sentenced persons, and which aspects the executing judicial authority should focus its analysis on when applying the test.
Keywords: Framework Decision 2008/909/JHA – protection of fundamental rights – Aranyosi and Căldăraru – LM – Staatsanwaltschaft Aachen – social rehabilitation of offenders.
I. Introduzione
La sentenza resa il 9 novembre 2023 dalla Corte di giustizia nella causa Staatsanwaltschaft Aachen è di sicuro interesse perché in essa i giudici di Lussemburgo hanno riconosciuto che il test in due fasi funzionale alla tutela dei diritti fondamentali, elaborato in relazione al mandato d’arresto europeo (MAE) nella sentenza Aranyosi e Căldăraru e confermato da una serie di pronunce successive – in particolare, LM – trova applicazione anche nell’ambito della decisione quadro 2008/909/GAI.[1]
Quest’atto fu adottato con lo scopo di sostituire nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione europea la Convenzione di Strasburgo del 1983, conclusa nel contesto del Consiglio d’Europa,[2] con un meccanismo applicativo del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie penali al fine di permettere che un soggetto, condannato in uno Stato membro, continui a scontare il residuo della pena in un altro Stato membro.[3]
Coerentemente con il modello offerto dalla decisione quadro 2002/584/GAI sul MAE, esso delinea una forma di cooperazione giudiziaria, ossia, una cooperazione che ha luogo tra autorità giudiziarie, e non tra autorità governative. Di conseguenza, la possibilità che il trasferimento abbia luogo riposa non sulla discrezionalità politica dell’esecutivo dello Stato membro di esecuzione, bensì sulla valutazione tecnica svolta dalla competente autorità giudiziaria di quello Stato, la quale sarà tenuta a riconoscere ed eseguire la pena nel suo ordinamento, a meno che non ritenga di far valere uno dei motivi di rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione tipizzati nella decisione quadro.
Tra tali motivi, non ne rientra uno concernente il fatto che l’esecuzione della pena contrasterebbe con la tutela dei diritti fondamentali. Per la verità, qualche elemento pare emergere dalla decisione quadro, che prevede che l’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione possa opporre un rifiuto se l’esecuzione viola il ne bis in idem, se la sentenza è stata resa in contumacia nello Stato membro di emissione senza responsabilità del soggetto condannato per la sua mancata partecipazione alla vicenda processuale o ancora se la pena irrogata comprende una misura di trattamento medico o psichiatrico o altra misura privativa della libertà personale cui non può darsi seguito nello Stato membro di esecuzione in base al suo sistema giuridico o sanitario (art. 9(1)(c)(i)(k)).
Dunque, a parte i casi ora ricordati e nonostante la previsione secondo cui la decisione quadro non pregiudica l’obbligo di rispettare i diritti e i principi giuridici fondamentali posti dall’art. 6 TUE (art. 3(4)), l’autorità giudiziaria di esecuzione sarebbe tenuta a eseguire sempre la pena, anche ove reputasse che ciò non sia rispettoso di quei diritti e principi.
Come noto, tale impostazione è il derivato del modo con cui il Consiglio dell’Unione europea intese il principio della fiducia reciproca al tempo in cui la decisione quadro sul MAE e gli atti applicativi del principio del reciproco riconoscimento a quella ispirati furono adottati.[4] La fiducia reciproca, “presupposto ideologico e pratico” del reciproco riconoscimento,[5] comporta la condivisione da parte degli Stati membri di un’impostazione valoriale, che fa sì che essi possano fidarsi l’uno dell’altro e cooperare. Il problema risiede nel fatto che, secondo l’approccio del Consiglio, questo avrebbe dovuto essere inteso come un dato non da confermare costantemente nel corso del tempo, bensì definitivamente acquisito (dunque, come fiducia cieca).[6]
Si consideri al riguardo anche la lettura fornita dalla Corte di giustizia, secondo la quale la fiducia reciproca obbliga ogni Stato membro a ritenere che tutti gli altri Stati membri rispettano il diritto dell’Unione e, in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo, fatte salve circostanze eccezionali.[7] Ne consegue che non dovrebbe risultare necessario contemplare un motivo di rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione concernente la tutela dei diritti fondamentali, visto che gli Stati membri già rispettano quei diritti e, quindi, gli atti della cooperazione giudiziaria in materia penale non possono lederli.
Nel 2016, con la sentenza Aranyosi e Căldăraru, la Corte di giustizia ha valorizzato il riferimento alle circostanze eccezionali che permetterebbero di contrastare la presunzione di rispetto del diritto dell’Unione europea e dei diritti fondamentali e la previsione dell’art. 1(3) della decisione quadro sul MAE, ove è stabilito che l'obbligo di rispettare i diritti e i principi giuridici fondamentali sanciti dall'art. 6 TUE non può essere modificato per effetto della decisione quadro. Nella sentenza, venivano presi in considerazione due casi relativi a MAE emessi da un’autorità ungherese e un’autorità rumena che avrebbero dovuto essere eseguiti in Germania. Il profilo problematico si ricollegava al fatto che sia l’Ungheria, sia la Romania erano state condannate dalla CtEDU per violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU) in ragione delle condizioni di detenzione nei loro istituti di pena. Vi era così il rischio che i destinatari dei MAE venissero esposti alla violazione di quel diritto, garantito anche nell’ordinamento dell’Unione europea (art. 4 della Carta dei diritti fondamentali).
Pertanto, secondo la Corte di giustizia, ove l’autorità giudiziaria di esecuzione abbia a disposizione informazioni dalle quali emerge un rischio concreto di trattamento inumano o degradante dei detenuti nello Stato membro di emissione, essa deve svolgere un test articolato in due fasi. La prima deve essere condotta sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati sulle condizioni di detenzione in atto nello Stato membro di emissione, i quali devono portare a reputare che in quello Stato membro siano in atto carenze sistemiche, generalizzate, che colpiscono determinati gruppi di persone o determinati centri di detenzione. Gli elementi di cui si è detto possono derivare in primis dalla giurisprudenza di corti internazionali o dello Stato membro di emissione o da atti del Consiglio d’Europa o delle Nazioni Unite. Se l’esito della prima fase del test è negativo, l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta a consegnare il destinatario del MAE. Altrimenti, deve eseguire la seconda parte del test, stabilendo in modo concreto e preciso se sussistono motivi gravi e comprovati per sostenere che il destinatario del MAE corra il rischio di essere esposto a quelle carenze, vedendo così leso il suo diritto a causa delle condizioni di detenzione nello Stato membro di emissione. Per provvedere al riguardo, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve chiedere informazioni all’autorità giudiziaria di emissione. Se queste portano a escludere il rischio in concreto, il MAE va eseguito. In caso contrario, l’autorità giudiziaria di esecuzione potrà decidere se sospendere ed eventualmente abbandonare la procedura di consegna.[8]
Questa lettura è stata in seguito confermata dalla Corte di giustizia in relazione al divieto di trattamenti inumani o degradanti (sentenza cosiddetta ML[9] e sentenza Dorobantu)[10], al diritto a un giudice indipendente (sentenze cosiddette LM[11] e L e P)[12], al diritto a un tribunale costituito per legge (sentenza Openbaar Ministerie (Tribunal établi par la loi dans l’État membre d’émission)[13] e ordinanza Minister for Justice and Equality (Tribunal établi par la loi dans l’État membre d’émission - II)),[14] al diritto a essere giudicato da un giudice non manifestamente incompetente (sentenza Puig Gordi)[15] e al rispetto della vita privata e familiare e all’interesse superiore dei minori (sentenza GN (Motif de refus fondé sur l’intérêt supérieur de l’enfant))[16].
Come è stato detto, “the Court has replaced a theoretical dogma of trust with a decentralised review over the protection of individual rights at national level. Trust is now coupled by a form of control,”[17] definibile come horizontal Solange.[18]
Con riferimento al diritto a un giudice indipendente, è interessante notare che in L e P la Corte ha ribadito che il test va sempre svolto nelle sue due fasi e che, quindi, non è sufficiente concludere che nello Stato membro di emissione siano in atto carenze sistemiche o generalizzate che hanno compromesso l’indipendenza del potere giudiziario, come avvenuto per esempio in Polonia in anni recenti.[19] Al contrario, anche l’esame imposto dalla seconda fase deve essere eseguito, al fine di dimostrare che il singolo giudice che sarà chiamato o che è stato chiamato – a seconda che si tratti di MAE processuale o MAE in executivis – a giudicare della causa non sia indipendente. Opinare diversamente equivarrebbe a introdurre una forma di rifiuto automatico non disciplinata dalla decisione quadro e che invece risulterebbe praticabile solamente ove venissero applicate sanzioni dal Consiglio dell’Unione europea sulla base di quanto disposto dall’art. 7(3) TUE in relazione alla tutela dei valori fondativi dell’Unione.[20] Pertanto, la seconda fase deve essere eseguita in ogni caso, anche nell’ipotesi in cui si registri un aggravamento delle carenze in atto nello Stato membro di emissione.[21]
La sentenza Staatsanwaltschaft Aachen è allora meritevole di essere presa in considerazione perché con essa, per la prima volta, la Corte di giustizia sostiene che il test sia applicabile anche a un altro atto della cooperazione giudiziaria in materia penale applicativo del principio del reciproco riconoscimento, il quale, al pari della decisione quadro sul MAE, non contempla un motivo di rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione relativo alla tutela dei diritti fondamentali.
Chiariti i profili di fatto (sezione 2), le conclusioni dell’Avvocato generale (sezione 3) e il ragionamento della Corte (sezione 4), il commento si concentra sull’applicabilità del test anche nell’ambito di altri strumenti della cooperazione giudiziaria in materia penale, sull’ipotesi di contrasto tra tutela dei diritti fondamentali e funzione di reinserimento sociale perseguita tramite il trasferimento dei detenuti e su quali aspetti debba focalizzare la propria analisi l’autorità giudiziaria di esecuzione nell’applicare il test (sezione 5). Le conclusioni (sezione 6) riassumono l’analisi qui svolta.
II. Il fatto
Nel 2018, M.D., cittadino polacco, residente abituale in Germania assieme alla propria famiglia dal 2011, veniva condannato da un tribunale polacco a una pena detentiva di sei mesi per i reati di appropriazione indebita e falsificazione di documenti.[22] L’esecuzione veniva sospesa. La condanna aveva luogo in contumacia in quanto M.D., pur avendo ricevuto presso l’indirizzo polacco indicato nel corso delle indagini preliminari notifica dell’ordine di comparizione all’udienza, non si presentava. M.D. dichiarava in seguito di non essere stato consapevole dello svolgimento del processo a suo carico.
Successivamente, era disposta la revoca della misura della libertà condizionale adottata nei suoi confronti ed era ordinata l’esecuzione della pena detentiva. A tal fine, veniva emesso un MAE, che però non veniva eseguito da parte della competente autorità tedesca, dato il radicamento di M.D. in Germania.[23]
In ragione di ciò, il Tribunale regionale di Stettino chiedeva alla Procura generale di Berlino di considerare la possibilità di eseguire in Germania, sulla base della procedura definita dalla decisione quadro 2008/909/GAI, la pena inflitta a M.D. La richiesta veniva inoltrata alla Procura di Aquisgrana (ossia, la Staatsanwaltschaft Aachen), competente territorialmente, a giudizio della quale sussistevano le condizioni per procedere in tale modo. Pertanto, la Procura di Aquisgrana chiedeva al Tribunale del Land di dichiarare ammissibile l’esecuzione della pena di sei mesi in Germania.
Consapevole dei problemi posti dalla crisi dello Stato di diritto in atto in Polonia, con ampi richiami alla giurisprudenza sviluppata al riguardo dalla Corte di giustizia[24] e dalla CtEDU,[25] nonché alla proposta di attivazione della procedura ex art. 7(1) TUE presentata dalla Commissione europea nel dicembre 2017,[26] il Tribunale del Land di Aquisgrana reputava di avere a propria disposizione informazioni oggettive, affidabili, precise e debitamente aggiornate riguardanti il funzionamento del sistema giudiziario in Polonia e l’incompatibilità delle riforme approvate sul punto in quello Stato membro con il valore dello Stato di diritto ex art. 2 TUE.
Ciò portava il Tribunale del Land a chiedersi se l’esecuzione dovesse essere rifiutata sulla base dell’impostazione risultante dalla sentenza LM con riferimento al diritto a un giudice indipendente. Al riguardo, tuttavia, il Tribunale sottolineava che nel ragionamento della Corte di giustizia risultava centrale il riferimento al considerando 10 del preambolo della decisione quadro sul MAE, ove si afferma che l'attuazione di tale meccanismo può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all'art. 6(1) TUE, ai sensi dell’art. 7 TUE. Una previsione analoga non si ravvisa nella decisione quadro 2008/909/GAI e questo avrebbe potuto legittimare un rifiuto di riconoscere ed eseguire la pena inflitta in un altro Stato membro semplicemente sulla base di una valutazione circa la sussistenza di carenze sistemiche o generalizzate o di altro tipo (prima parte del test), senza bisogno di procedere a una valutazione in concreto (seconda parte del test).
Al riguardo, il Tribunale del Land richiamava anche la sentenza OG e PI, nella quale la Corte di giustizia, intervenendo ulteriormente sulla nozione di autorità giudiziaria di emissione di un MAE, ha affermato che tale autorità deve essere indipendente e che l’indipendenza deriva da regole statutarie e organizzative idonee a porre quell’autorità al riparo da influenze e pressioni esterne, provenienti in primis dall’esecutivo.[27] Ne sarebbe derivato, quindi, che l’analisi da condurre avrebbe dovuto riguardare solo i profili di natura sistemica concernenti il potere giudiziario, e non il singolo soggetto, destinatario del MAE, i cui diritti avrebbero potuto essere (o essere stati, a seconda dei casi) violati.
Alla luce di tale ricostruzione, il Tribunale del Land poneva alla Corte di giustizia quattro quesiti pregiudiziali. In primo luogo, veniva chiesto se possa essere rifiutata l’esecuzione ove sussistano indizi che le condizioni presenti nello Stato membro di emissione al momento della pronuncia della sentenza da eseguire o delle successive decisioni connesse siano incompatibili con il diritto fondamentale a un processo equo, poiché in tale Stato membro il sistema giudiziario non è più conforme al principio dello Stato di diritto. Ulteriormente, veniva sollevata la questione se l’esecuzione possa essere rifiutata ove gli indizi suddetti riguardino la non conformità al principio dello Stato di diritto del sistema giudiziario al momento della decisione sulla dichiarazione di esecutività.
In caso di risposta affermativa alla prima questione, si chiedeva se, prima di rifiutare il riconoscimento, occorra svolgere anche la seconda parte del test LM.
Nell’ipotesi in cui la Corte di giustizia avesse concluso che non spetta ai giudici nazionali, ma alla Corte medesima stabilire se le condizioni in uno Stato membro siano incompatibili con il diritto a un processo equo, si domandava ulteriormente se il sistema giudiziario nella Repubblica di Polonia fosse conforme al principio dello Stato di diritto alla data della condanna di M.D., della revoca della libertà condizionale o al momento del rinvio pregiudiziale.
III. Le conclusioni dell’Avvocato generale
Secondo l’Avvocato generale Nicholas Emiliou, la decisione quadro 2008/909/GAI presenta delle analogie significative con la decisione quadro sul MAE tali da permettere di applicare anche ai trasferimenti interstatali di detenuti la soluzione elaborata in LM quanto al diritto a un giudice indipendente. Da ciò deriva che anche la seconda parte del test deve essere eseguita.[28]
Il riferimento alla sentenza OG e PI e la mancata riproposizione nella decisione quadro 2008/909/GAI del considerando 10 della decisione quadro sul MAE non pregiudicano tale conclusione. Quanto a OG e PI, l’Avvocato generale rileva che in quel caso la Corte di giustizia non si è interrogata con riferimento alla sussistenza di carenze sistemiche o generalizzate, ma allo stato di subordinazione delle procure tedesche rispetto al potere esecutivo. Nella causa in commento, la richiesta di riconoscere una pena detentiva inflitta in un altro Stato membro proviene da un organo giurisdizionale – e non da un pubblico ministero –, la cui indipendenza non può essere posta in discussione, se non in circostanze eccezionali. Queste circostanze possono avere un impatto differente a seconda del sistema giudiziario interessato ed è per tale ragione che si impone una verifica in concreto (seconda parte del test) e non solo in termini generali (prima parte del test).[29]
Relativamente al considerando 10, l’Avvocato generale ammette che la Corte di giustizia ha fondato il proprio ragionamento in LM su quel profilo della decisione quadro sul MAE. Tuttavia, l’assenza di un’indicazione analoga nella decisione quadro 2008/909/GAI non può condurre a un esito diverso, visto che la mancata esecuzione della seconda parte del test porterebbe a un’esclusione generalizzata nell’applicazione dei principi di fiducia reciproca e reciproco riconoscimento nei confronti di un determinato Stato membro.[30]
Ne deriva che il test deve essere svolto nelle sue due fasi e il compito spetta all’autorità giudiziaria di esecuzione, e non alla Corte di giustizia come in qualche modo suggerito dal Tribunale del Land di Aquisgrana con la sua quarta questione pregiudiziale. È vero che una valutazione uniforme sarebbe indubbiamente di aiuto, però tale valutazione potrebbe derivare solamente dall’applicazione della procedura di tutela dei valori dell’Unione ex art. 7 TUE e non può essere demandata ai giudici di Lussemburgo.[31]
Per quel che riguarda la questione relativa al momento con riferimento al quale considerare l’applicazione del motivo di rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione connesso alla tutela dei diritti fondamentali e in cui effettuare il test, secondo l’Avvocato generale rileva quello in cui è stata emessa la sentenza originaria che irroga la pena detentiva. Se il test non porta alla conclusione che il riconoscimento e l’esecuzione devono essere rifiutati, ove vi siano evidenze rilevanti portate all’attenzione dell’autorità giudiziaria di esecuzione, il test deve essere eseguito un’ulteriore volta in relazione al momento in cui la circostanza decisiva che ha causato la revoca della sospensione dell’esecuzione della pena ha avuto luogo, perché “la persona interessata può fornire elementi specifici per indicare che la circostanza decisiva che ha portato alla revoca della sospensione dell’esecuzione della pena è una conseguenza tangibile delle carenze sistemiche e generalizzate”.[32]
IV. La sentenza della Corte di giustizia
Il ragionamento della Corte di giustizia parte dalla considerazione del già richiamato art. 3(4) della decisione quadro 2008/909/GAI, ai sensi del quale la decisione quadro non può pregiudicare l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi giuridici fondamentali sanciti dall’art. 6 TUE. A questo si aggiunge il considerando 13 del medesimo atto, ove si ribadisce tale statuizione e si sottolinea che la decisione quadro rispetta i diritti contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare quelli posti al Capo VI della stessa, intitolato Giustizia, entro cui si colloca l’art. 47, dedicato al diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale. Nello stesso considerando si aggiunge che nessun elemento della decisione quadro dovrebbe essere interpretato nel senso che non sia consentito rifiutare di eseguire una sentenza qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che la pena sia stata irrogata al fine di punire una persona per motivi legati al sesso, alla razza, alla religione, all’origine etnica, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o all’orientamento sessuale oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi. Da ciò deriva che l’autorità giudiziaria di esecuzione può rifiutare l’esecuzione di una pena inflitta in un altro Stato membro se ha a propria disposizione elementi che indicano l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate suscettibili di ledere l’indipendenza del potere giudiziario in quello Stato membro e di pregiudicare così il contenuto essenziale del diritto fondamentale a un equo processo della persona interessata.[33]
A tal fine, deve essere applicato il test in due fasi e, con riferimento alla seconda fase, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve accertare “in maniera concreta e precisa, in quale misura le carenze constatate in occasione della prima fase possano aver avuto un’incidenza sul funzionamento degli organi giurisdizionali dello Stato membro di emissione competenti a decidere nei procedimenti intentati nei confronti della persona interessata, e se, alla luce della situazione personale di quest’ultima, della natura del reato per il quale essa è stata giudicata e del contesto fattuale nel quale si inscrive la condanna di cui vengono chiesti il riconoscimento e l’esecuzione, nonché, eventualmente, delle informazioni supplementari fornite da detto Stato membro in applicazione della decisione quadro sopra citata, esistano motivi seri e comprovati per ritenere che un tale rischio si sia effettivamente avverato nel caso di specie”.[34] La Corte di giustizia è lapidaria nel ricordare che l’applicazione del test è di competenza dell’autorità giudiziaria di esecuzione, e non della Corte stessa.[35]
La Corte liquida la problematica relativa all’assenza di un equivalente del considerando 10 della decisione quadro sul MAE senza dedicarle particolari considerazioni mentre, per quel che riguarda la sentenza OG e PI, conferma la lettura proposta dall’Avvocato generale, sostenendo che l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate non ha necessariamente un’incidenza su tutte le decisioni emesse dai giudici di uno Stato membro.[36]
Relativamente alla data alla quale l’autorità giudiziaria di esecuzione deve collocarsi per applicare il test, posto che la decisione quadro 2008/909/GAI attiene al riconoscimento e all’esecuzione di condanne penali, la verifica deve essere svolta facendo riferimento alla situazione in atto nello Stato membro di emissione alla data di condanna, prendendo in considerazione tutte le evoluzioni registratesi fino a quel momento. Invece, non occorre, in linea di principio, valutare le evoluzioni successive.[37]
La soluzione prospettata dalla Corte in relazione a questa questione riposa sul fatto che si tratta di accertare se le carenze sistemiche o generalizzate hanno avuto un’incidenza concreta sul procedimento penale che ha condotto alla condanna. Pertanto, non serve interrogarsi quanto alla situazione in atto alla data in cui l’autorità giudiziaria di esecuzione decide sul riconoscimento e sull’esecuzione. Infatti, scopo del procedimento in questo caso è che la persona interessata rimanga nello Stato membro di esecuzione per scontare la pena, e non che sia consegnata allo Stato membro di emissione.[38]
Parimenti non deve analizzarsi la situazione in atto alla data della revoca della sospensione condizionale se essa è stata disposta a seguito della violazione di una condizione oggettiva eventualmente stabilita assieme alla pena. Questo dipende dal fatto che la revoca è una semplice misura di esecuzione che non modifica né la natura, né la durata della pena.[39] Se però la revoca è la conseguenza di un’ulteriore condanna penale, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve valutare la situazione in atto alla data della nuova condanna.[40]
V. Considerazioni critiche
Dalla lettura della pronuncia Staatsanwaltschaft Aachen può ricavarsi una prima conseguenza importante. Il test in due fasi sviluppato a partire da Aranyosi e Căldăraru con riferimento al divieto di trattamenti inumani o degradanti e applicato al diritto a un processo equo a partire da LM è lo standard di riferimento per quel che attiene alla tutela dei diritti fondamentali nell’ambito degli strumenti della cooperazione giudiziaria in materia penale fondati sul principio del reciproco riconoscimento.
Elaborato in relazione al MAE, esso vale pure per la decisione quadro 2008/909/GAI in ragione delle analogie tra questa e la decisione quadro 2002/584/GAI, secondo quanto chiarito dalla Corte di giustizia. Ne deriva allora che a esso dovrà farsi ricorso anche ove si pongano questioni di protezione dei diritti nel contesto degli altri meccanismi basati sul reciproco riconoscimento, nell’ipotesi in cui i rispettivi atti istitutivi non contemplino un motivo di rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione rilevante. Anche in questi casi bisognerà procedersi valorizzando quelle clausole che affermano che gli atti considerati non contrastano con l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali.[41] Al riguardo, si pensi alla decisione quadro 2005/214/GAI sul riconoscimento delle sanzioni pecuniarie,[42] alla decisione quadro 2008/947/GAI sul riconoscimento delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive[43] e alla decisione quadro 2009/829/GAI sul riconoscimento delle misure alternative alla detenzione cautelare.[44]
Diversa è la situazione che si registra quanto ad atti più recenti, nei quali è espressamente previsto un motivo di rifiuto inerente alla tutela dei diritti fondamentali. Si pensi alla direttiva 2014/41 sull’ordine europeo di indagine in materia penale,[45] al regolamento 2018/1805 sul riconoscimento dei provvedimenti di congelamento e confisca[46] e al regolamento 2023/1543 sull’ordine europeo di produzione e sull’ordine europeo di conservazione di prove elettroniche.[47] In queste ipotesi, la giurisprudenza della Corte deve comunque fungere da guida ai fini dell’applicazione concreta dei motivi di rifiuto.[48]
Al di là di certi entusiasmi che hanno accompagnato la prima lettura della sentenza,[49] va detto che essa non sembra comunque idonea a portare a esiti significativi a livello concreto. Va intanto ricordato che i trasferimenti realizzati annualmente sulla base della decisione quadro 2008/909/GAI sono relativamente pochi[50] se paragonati, per esempio, al numero di MAE emessi ed eseguiti nello stesso periodo.[51] Con riferimento ai MAE, in limitatissime ipotesi si è registrato un rifiuto di riconoscere ed eseguire un mandato per ragioni concernenti la tutela dei diritti fondamentali: nel 2020 furono appena 108,[52] nel 2021, 86.[53] Può ritenersi, quindi, che l’applicazione del test nell’ambito della decisione quadro 2008/909/GAI si verificherà in un numero ancor più contenuto di casi.
A parte questo, però, bisogna chiedersi in quali fattispecie il test possa risultare veramente utile. La vicenda di M.D. è particolarissima, dato che egli già risiedeva in Germania al tempo della condanna. La situazione che normalmente dovrebbe verificarsi quando si applica la procedura di trasferimento dei detenuti è quella che vede un soggetto nell’atto di scontare una pena nelle carceri di uno Stato membro e che chieda – o cui sia imposto – il trasferimento verso un altro Stato membro. Il fatto che, per esempio, il divieto di trattamenti inumani o degradanti sia stato violato a causa delle condizioni di detenzione nello Stato membro di condanna – e dunque di emissione dell’istanza di trasferimento – non pare avere alcuna importanza ai fini della decisione quadro 2008/909/GAI. Di conseguenza, la mancata esecuzione del trasferimento per violazione dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali farà sì che la persona interessata continui a scontare la pena in uno Stato membro in cui è stata condannata da parte di un’autorità giudiziaria non indipendente e in cui è esposta a condizioni di detenzione lesive del suo diritto ex art. 4 della Carta. Devono qui considerarsi le differenze strutturali tra MAE e trasferimento dei detenuti, che fanno sì che, nel caso del MAE, attraverso il test, il destinatario del mandato non verrà trasferito e, dunque, i suoi diritti fondamentali non potranno essere lesi nello Stato membro di emissione. Nel caso della decisione quadro 2008/909/GAI, invece, il problema centrale è se i diritti verranno lesi nello Stato membro di esecuzione, piuttosto che in quello di emissione.[54] Di conseguenza, è indubbio che l’eccezione alla fiducia reciproca definita dalla Corte di giustizia a partire da Aranyosi e Căldăraru si applichi anche in relazione ai trasferimenti interstatali di detenuti, ma sembra altrettanto indubbio che essa finisca per configurarsi come un esercizio di stile, visto che la protezione di quei diritti risulta teorica o illusoria, anziché concreta ed efficace.[55]
Un’altra questione su cui andrebbe svolta qualche riflessione riguarda il fatto che, come messo in chiaro all’art. 3(1) della decisione quadro 2008/909/GAI, la procedura da essa definita mira a favorire il reinserimento sociale della persona condannata. Si pone allora il problema di come procedere nell’ipotesi in cui la condanna sia stata resa da un’autorità giudiziaria non indipendente se però il trasferimento risulterebbe idoneo a promuovere quella finalità. Allo stato attuale di sviluppo del diritto dell’Unione europea, il reinserimento sociale non ha un suo status giuridico e vale solamente quale obiettivo di policy.[56] Posto che, ricorrendo al test in due fasi, l’autorità giudiziaria di esecuzione può – e non necessariamente deve – rifiutare l’esecuzione, è da ritenersi che spetterà a questa operare un bilanciamento alla luce della situazione concreta, favorendo eventualmente la finalità di reinserimento. È auspicabile però che la Corte offra chiarimenti sul punto, in futuro, per risolvere l’incertezza che attiene alla natura della suddetta finalità nell’ordinamento dell’Unione e per guidare l’azione dei giudici nazionali,[57] anche perché l’approccio adottato dalla Corte nella pronuncia qui in commento rischia di disincentivare ulteriormente il ricorso alla procedura di trasferimento interstatale di detenuti. Sul punto, giova ricordare che la decisione quanto alla trasmissione della sentenza di condanna è rimessa alla valutazione (tecnica, non politica) dell’autorità giudiziaria di emissione, la quale può essere sollecitata da parte dello Stato membro di esecuzione o della persona condannata, ma senza che ciò generi obblighi in capo a quella (art. 4(5) della decisione quadro 2008/909/GAI). Allora, viene spontaneo domandarsi a che pro l’autorità giudiziaria di emissione di uno Stato membro in cui siano conclamati i problemi relativi al rispetto dello Stato di diritto dovrebbe trasmettere la sentenza, potendo presumere che la risposta sarà negativa e che, a tal fine, l’autorità giudiziaria di esecuzione porrà in evidenza le carenze in atto in quello Stato membro.
Infine, alla luce della pronuncia qui commentata, sembra rimanere irrisolto un aspetto relativo all’onere della prova che, secondo quel che risulta dalla giurisprudenza Aranyosi e Căldăraru e LM, ricade sempre sulla difesa, con le difficoltà a ciò connesse che si possono facilmente immaginare. In Staatsanwaltschaft Aachen, la Corte si è premurata di chiarire, richiamando la sentenza Openbaar Ministerie (Tribunal établi par la loi dans l’État membre d’émission), che l’autorità giudiziaria di esecuzione deve svolgere il proprio accertamento circa la seconda parte del test in maniera concreta e precisa, tenendo conto della situazione personale della persona interessata, della natura del reato per il quale essa è stata giudicata, del contesto fattuale nel quale si inscrive la condanna e delle informazioni supplementari fornite dallo Stato membro di emissione. Un ulteriore passaggio della sentenza Openbaar Ministerie (Tribunal établi par la loi dans l’État membre d’émission) a cui presumibilmente sarebbe stato opportuno fare riferimento è quello in cui si chiarisce su cosa debba concentrarsi l’attenzione dell’autorità giudiziaria di esecuzione nello svolgimento della seconda fase del test nel caso di un MAE in executivis. In quell’occasione, la Corte di giustizia ha statuito che l’autorità giudiziaria di esecuzione deve verificare “elementi forniti dalla persona di cui trattasi e relativi alla composizione del collegio giudicante che ha conosciuto della sua causa penale o di qualsiasi altra circostanza rilevante ai fini della valutazione dell’indipendenza e dell’imparzialità di siffatto collegio”.[58] La procedura definita dalla decisione quadro 2008/909/GAI è certamente avvicinabile a un MAE in executivis, visto che, in entrambi i casi, il procedimento penale si è già concluso. Dunque, si sa quale organo giudicante si è pronunciato sulla causa e da chi era composto. Pertanto, può ritenersi che l’analisi da svolgere sia la medesima.
VI. Conclusioni
La sentenza Staatsanwaltschaft Aachen è di indubbio interesse per chi si occupa di cooperazione giudiziaria in materia penale, visto che in essa la Corte di giustizia ha riconosciuto che il test in due fasi emerso con riferimento alla tutela dei diritti fondamentali nell’ambito del MAE si applica anche nel contesto della decisione quadro 2008/909/GAI quanto alle procedure di trasferimento dei detenuti tra Stati membri dell’Unione europea.
Da ciò può ricavarsi che il test sia riproponibile altresì ove si pongano questioni sulla protezione dei diritti in relazione ad altri atti applicativi del principio del reciproco riconoscimento in materia penale se essi non prevedono espressamente un motivo di rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione rilevante sotto questo punto di vista. Nel caso in cui invece l’atto disponga al riguardo, la giurisprudenza della Corte serve comunque a guidare l’applicazione concreta della specifica previsione.
Rimane aperto il tema del ruolo che la funzione di reinserimento sociale dei detenuti assume nell’ordinamento dell’Unione europea e, in particolare, circa la decisione quadro 2008/909/GAI. Non è infatti – ancora – chiaro come debba procedersi nell’ipotesi in cui il trasferimento disposto sulla base di una decisione resa da un’autorità giudiziaria di emissione non indipendente sia comunque idoneo a promuovere il reinserimento del soggetto trasferendo.
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European Papers, Vol. 8, 2023, No 3, European Forum, Insight of 11 January 2024, pp. 1105-1120
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/704
* Ricercatore a tempo determinato di tipo A in Diritto dell’Unione europea, Università della Valle d’Aosta, a.rosano@univda.it.
[1] Causa C-819/21 Staatsanwaltschaft Aachen ECLI:EU:C:2023:841.
[2] Sulla quale K Gavrysh, ‘Il trasferimento della persona condannata tra Convenzione-quadro del 1983 e accordo di esecuzione’ (2021) Rivista di diritto internazionale 325. In generale sulle modalità di cooperazione quanto al trasferimento dei detenuti tra Stati europei prima dell’adozione della decisione quadro 2008/909/GAI, F Bestagno, ‘Il trasferimento dell'esecuzione delle condanne penali tra gli Stati membri dell'Unione europea’ (1994) Il diritto comunitario e degli scambi internazionali 269.
[3] Decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio del 27 novembre 2008 relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea, sulla quale S Neveu, Le transfert de l'exécution des peines privatives et restrictives de liberté en droit européen. À la recherche d'un équilibre entre intérêt individuels et collectifs (Anthemis 2017); S Montaldo (ed.), The Transfer of Prisoners in the European Union. Challenges and Prospects in the Implementation of Framework Decision 2008/909/JHA (Giappichelli 2020); A Rosanò, I trasferimenti interstatali di detenuti nel diritto dell’Unione europea (Cacucci 2022).
[4] Sul principio di fiducia reciproca, K Lenaerts, ‘La vie après l’avis: Exploring the principle of mutual (yet not blind) trust’ (2017) CMLRev 805; S Prechal, ‘Mutual Trust Before the Court of Justice of the European Union’ (2017) European Papers www.europeanpapers.eu 75; LS Rossi, ‘Fiducia reciproca e mandato d’arresto europeo. Il “salto nel buio” e la rete di protezione’ (2021) Freedom, Security and Justice: European Legal Studies 1; C Rizcallah, The Principle of Mutual Trust in European Union Law. An Essential Principle Facing a Crisis of Values (Bruylant 2022); A Willems, The Principle of Mutual Trust in EU Criminal Law (Hart Publishing 2022).
[5] E Pistoia, ‘La cooperazione giudiziaria in materia civile e penale’ in R Torino e C Di Maio (a cura di), Diritto e politiche dell’Unione europea (Wolters Kluwer 2020) 500.
[6] V Mitsilegas, ‘The Symbiotic Relationship between Mutual Trust and Fundamental Rights in Europe’s Area of Criminal Justice’ (2016) New Journal of European Criminal Law 476.
[7] Avis 2/13 Adhésion de l’Union à la CEDH ECLI:EU:C:2014:2454, par. 191-192.
[8] Cause riunite C-404/15 e C-659/15 PPU Aranyosi e Căldăraru ECLI:EU:C:2016:198. Per un commento, si vedano, ex multis, G Anagnostaras, ‘Mutual confidence is not blind trust! Fundamental rights protection and the execution of the European arrest warrant: Aranyosi and Caldararu’ (2016) CMLRev 2016 1675 e S Gáspár-Szilágyi, ‘Joined Cases Aranyosi and Căldăraru: Converging Human Rights Standards, Mutual Trust and a New Ground for Postponing a European Arrest Warrant’ (2016) EurJCrimeCrLCrJ 2016 197.
[9] Causa C-220/18 Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria) ECLI:EU:C:2018:589, sulla quale A Rosanò, ‘Du côté de chez Aranyosi, ovvero ancora su come la Corte di giustizia ha chiarito alcuni aspetti applicativi del test Aranyosi e Căldăraru’ (2019) Diritti umani e diritto internazionale 427.
[10] Causa C-128/18 Dorobantu ECLI:EU:C:2019:857. Per un commento, E Celoria, ‘Le condizioni di detenzione nello Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia: nuove prospettive dopo la sentenza Dorobantu’ (2020) La legislazione penale 1; A Gaudieri, ‘Sovraffollamento carcerario: i criteri dettati dalla sentenza Dorobantu per il calcolo degli spazi. Una "bussola" per le scelte da compiere in periodi di emergenza sanitaria?’ (2020) Freedom, Security & Justice: European Legal Studies 213; L Lionello, ‘Nuovi sviluppi per il test Aranyosi e Căldăraru ed il rapporto tra giurisdizioni: il caso Dorobantu’ (2020) Eurojus 107.
[11] Causa C-216/18 PPU Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario) ECLI:EU:C:2018:586, sulla quale, tra i tanti, T Konstadinides, ‘Judicial independence and the Rule of Law in the context of non-execution of a European Arrest Warrant: LM’ (2019) CMLRev 743; M Krajewski, ‘Who is afraid of the European Council? The Court of Justice's cautious approach to the independence of domestic judges’ (2018) EuConst 792; D Sarmiento, ‘A comment on the CJEU's judgment in LM’ (2018) Maastricht Journal of European and Comparative Law 385.
[12] Causa C-354/20 PPU Openbaar Ministerie (Indépendance de l’autorité judiciaire d’émission) ECLI:EU:C:2020:1033. Per un commento, A Frackowiak-Adamska, ‘Trust until it is too late! Mutual recognition of judgments and limitations of judicial independence in a Member State: L and P’ (2022) CMLRev 113 e A Rosanò, ‘The road not taken? Recenti sviluppi sulla nozione di autorità giudiziaria emittente nell’ambito del MAE’ (2021) La legislazione penale 1.
[13] Cause riunite C-562/21 PPU e C-563/21 PPU Openbaar Ministerie (Tribunal établi par la loi dans l’État membre d’émission) ECLI:EU:C:2022:100, su cui G Anagnostaras, ‘Trust must go on! The Celmer test redefined: Openbaar Ministerie : X v Openbaar Ministerie (C-562/21 PPU)’ (2022) ELR 837.
[14] Causa C-480/21 Minister for Justice and Equality (Tribunal établi par la loi dans l’État membre d’émission - II) ECLI:EU:C:2022:592.
[15] Causa C-158/21 Puig Gordi e a. ECLI:EU:C:2023:57. Per un commento, A Nato, ‘Mandato di arresto europeo e principio di proporzionalità nella sentenza Puig Gordi’ (2023) Studi sull’integrazione europea 345 e J Solanes Mullor, ‘Be careful what you ask for: The European Court of Justice’s EAW jurisprudence meets the Catalan secession crisis and the European rule of law crisis in Puig Gordi and others, C-158/21, EU:C:2023:57’ (2023) Maastricht Journal of European and Comparative Law 201.
[16] Causa C-261/22 GN (Motif de refus fondé sur l’intérêt supérieur de l’enfant) ECLI:EU:C:2023:1017. La pronuncia si segnala, inter alia, perché la Corte ha fatto presente che gli elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati possono ricavarsi anche da informazioni recensite nella banca dati dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali riguardo alle condizioni di detenzione penale nell’Unione (par. 47) e che le informazioni che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione ha il diritto di richiedere possono riguardare sia la prima, sia la seconda fase del test. Tuttavia, l’autorità in questione non può chiedere all’autorità giudiziaria di emissione “informazioni riguardanti unicamente la seconda fase di tale esame nel caso in cui essa ritenga che non sia dimostrata l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate, o di carenze che pregiudichino un gruppo oggettivamente identificabile di persone del quale faccia parte l’interessato o i suoi figli minori” (par. 50).
[17] S Montaldo, ‘On a Collision Course! Mutual Recognition, Mutual Trust and the Protection of Fundamental Rights in the Recent Case-law of the Court of Justice’ (2016) European Papers www.europeanpapers.eu 993.
[18] Sul tema, I Canor, ‘My brother’s keeper? Horizontal Solange: ‘An ever closer distrust among the peoples of Europe’ (2013) CMLRev 383.
[19] Per un’introduzione al riguardo, A Circolo, Il valore dello Stato di diritto nell’Unione europea. Violazioni sistemiche e soluzioni di tutela (Editoriale scientifica 2023) 159 ff. e W Sadurski, Poland’s Constitutional Breakdown (Oxford University Press 2019).
[20] Come si avrà modo di chiarire, mutatis mutandis, con riferimento alla sentenza in commento, la Corte richiama al riguardo il considerando 10 del preambolo della decisione quadro sul MAE, ove si afferma che l'attuazione di tale meccanismo può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all'art. 6(1) TUE, constatata dal Consiglio in applicazione dell'art. 7(1) dello stesso trattato, e con le conseguenze previste al par. 2 dello stesso articolo. A seguito della riforma operata dal Trattato di Lisbona, i riferimenti vanno intesi all’art. 7(2)(3) TUE. A constatare la violazione è il Consiglio europeo, mentre le eventuali sanzioni vengono decise dal Consiglio.
[21] Openbaar Ministerie (Indépendance de l’autorité judiciaire d’émission) cit. par. 60-61.
[22] La ricostruzione offerta in questa sezione si basa sulla sintesi della domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 98(1) del regolamento di procedura della Corte di giustizia, disponibile in curia.europa.eu.
[23] Ai sensi dell’art. 4(no 6), della decisione quadro 2002/584/GAI, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il MAE se il MAE è stato rilasciato ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegna a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno. Per delle prime indicazioni su quest’aspetto, sia sul versante giurisprudenziale, sia su quello dottrinale, C Amalfitano, ‘Mandato di arresto europeo e garanzie di risocializzazione del condannato: tutela anche all’extracomunitario radicato nello Stato di esecuzione’ (12 giugno 2023) I Post di AISDUE www.aisdue.eu 108 e S Montaldo e S Giudici, ‘Nuove opportunità di tutela degli individui nel sistema del mandato d’arresto europeo: le ordinanze 216 e 217 del 2021 della Corte costituzionale’ (2022) La legislazione penale 1.
[24] Ex multis, causa C-192/18 Commissione/Polonia (Indipendenza dei tribunali ordinari) ECLI:EU:C:2019:924; cause riunite C-585/18, C-624/18 e C-625/18 A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema) ECLI:EU:C:2019:982; causa C-824/18 A.B. e a. (Nomina dei giudici della Corte suprema – Ricorso) ECLI:EU:C:2021:153.
[25] Per esempio, CtEDU Xero Flor w Polsce sp. z o.o./Polonia ricorso n. 4907/18 [7 maggio 2021] e Dolińska-Ficek e Ozimek/Polonia, ricorsi nn. 49868/19 e 57511/19 [8 novembre 2021]. Più di recente, può considerarsi CtEDU Wałęsa/Polonia, ricorso n. 50849/21 [23 novembre 2023].
[26] Disponibile in eur-lex.europa.eu.
[27] Cause riunite C-508/18 e C-82/19 PPU OG (Parquet de Lübeck) ECLI:EU:C:2019:456, su cui K Ambos, ‘The German Public Prosecutor as (no) judicial authority within the meaning of the European Arrest Warrant: a case note on the CJEU’s judgment in OG (C-508/18) and PI (C 82/19 PPU)’ (2019) New Journal of European Criminal Law 399 e M Böse, ‘The European arrest warrant and the independence of public prosecutors: OG & PI, PF, JR & YC’ (2020) CMLRev 1259.
[28] Causa C-819/21 Staatsanwaltschaft Aachen ECLI:EU:C:2023:386, conclusioni dell’AG Emiliou, par. 24, 51-52. Tra l’altro, l’Avvocato generale richiama la clausola sui diritti fondamentali all’art. 3(4) della decisione quadro 2008/909/GAI, analoga a quella contenuta nella decisione quadro sul MAE (par. 48).
[29] Staatsanwaltschaft Aachen, conclusioni AG Emiliou, cit. par. 56-58.
[30] Ivi par. 60-62.
[31] Ivi par. 64-66.
[32] Ivi par. 82, 88
[33] Staatsanwaltschaft Aachen cit. par. 25-27.
[34] Ivi par. 29-30. Qui la Corte riprende il ragionamento svolto quanto al MAE in Openbaar Ministerie (Tribunal établi par la loi dans l’État membre d’émission) cit. par. 53.
[35] Ivi par. 35.
[36] Ivi par. 31-34.
[37] Ivi par. 36.
[38] Ivi par. 39.
[39] Ivi par. 40.
[40] Ivi par. 41.
[41] Si tratta comunque di una superfetazione, visto che in ogni caso gli atti di diritto derivato devono essere conformi alle fonti di rango primario, tra le quali rientra la Carta dei diritti fondamentali.
[42] Decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005 relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie. Si veda l’art. 3.
[43] Decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio del 27 novembre 2008 relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive. Si veda l’art. 1(4).
[44] Decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio del 23 ottobre 2009 sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare. Si veda l’art. 5.
[45] Direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014 relativa all’ordine europeo di indagine penale. Si veda l’art. 11(1)(f).
[46] Regolamento (UE) 2018/1805 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018 relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca. Si vedano gli artt. 8(1)(f) e 19(1)(h).
[47] Regolamento (UE) 2023/1543 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2023 relativo agli ordini europei di produzione e agli ordini europei di conservazione di prove elettroniche nei procedimenti penali e per l'esecuzione di pene detentive a seguito di procedimenti penali. Si veda l’art. 12(1)(b).
[48] En passant, si fa presente che, secondo il Tribunale dell’Unione, il test in due fasi trova applicazione in via analogica anche per quel che riguarda la verifica da parte della Commissione europea dell’eventuale subordinazione delle autorità nazionali garanti della concorrenza al potere esecutivo. Si veda al riguardo causa T-791/19 Sped-Pro/Commissione ECLI:EU:T:2022:67.
[49] A Zemskova, ‘C-819/21 Staatsanwaltschaft Aachen: Mutual Trust Is Not Blind…Nor Is It Redundant’ eulawlive.com.
[50] Per delle prime indicazioni, C Fernández Bessa, V Ferraris, A Damian, ‘Implementation Strategies: Distinctive Features, Advances and Shortcomings in the Application of Framework Decision 2008/909/JHA in Italy, Romania and Spain’, in S Montaldo (ed.), cit. 121.
[51] Considerando il periodo 2014-2021, i MAE emessi ogni anno sono sempre stati più di 14.000, mentre i MAE eseguiti più di 5.000 (con l’eccezione del 2020, quando furono 4.397). Per questi dati, e-justice.europa.eu.
[52] Commission Staff Working Document, Statistics on the practical operation of the European arrest warrant – 2020, SWD(2022) 417 final, p 22.
[53] Commission Staff Working Document, Statistics on the practical operation of the European arrest warrant – 2021, SWD(2023) 262 final, p. 22. Con riferimento ai dati sia del 2020, sia del 2021, è necessario sottolineare che quelli a disposizione della Commissione europea riguardano soltanto 10 Stati membri e che, nella netta maggioranza dei casi, i rifiuti sono stati opposti da autorità giudiziarie tedesche.
[54] Se ne parla ampiamente in A Rosanò, I trasferimenti interstatali di detenuti nel diritto dell’Unione europea cit. 170 ff.
[55] Si riprende qui la formula ormai tralatizia usata dalla CtEDU, secondo la quale la CEDU “is intended to guarantee rights that are not theoretical or illusory, but practical and effective” (si veda, a titolo di mero esempio tra le numerosissime pronunce in cui la Corte di Strasburgo si esprime in questi termini, CtEDU Gäfgen c. Germania ricorso n. 22978/05 [1 giugno 2010]).
[56] Per un’introduzione al tema, A Martufi, ‘Assessing the resilience of ‘social rehabilitation’ as a rationale for transfer: A commentary on the aims of Framework Decision 2008/909/JHA’ (2018) New Journal of European Criminal Law 43 e S Montaldo, ‘Offenders’ Rehabilitation: Towards a New Paradigm for EU Criminal Law?’ (2018) European Criminal Law Review 223.
[57] Sul punto, alcune indicazioni di sicuro interesse possono ravvisarsi in causa C-919/19 Generálna prokuratura Slovenskej republiky (Résidence du condamné) ECLI:EU:C:2021:454, conclusioni dell’AG Bobek, ove si afferma, tra l’altro, che l’esame condotto dall’autorità giudiziaria di emissione “deve essere specifico per il singolo caso, condotto alla luce delle circostanze individuali e degli antecedenti sociali e professionali di ogni persona condannata, e tenendo sempre a mente lo scopo del reinserimento sociale” (par. 63) e, in particolare, che “l’autorità di emissione dovrebbe valutare l’esistenza della probabilità (positiva) di reinserimento sociale nello Stato membro di esecuzione, e limitarsi a questo. La decisione di trasferimento non può basarsi sulla semplice constatazione (negativa) che una tale prospettiva non sembri esistere nello Stato di emissione” (par. 67; i corsivi sono dell’Avvocato generale).
[58] Openbaar Ministerie (Tribunal établi par la loi dans l’État membre d’émission) cit. par. 102.