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Abstract: This Insight deals with the recent judgment delivered by the Grand Chamber of the European Court of Human Rights in the case KlimaSeniorinnen v Switzerland. The first part of the Insight focuses on the ECtHR’s competence in the context of climate-change litigation. The second part analyses the issues of victim status in complaints alleging harm or risk of harm resulting from State’s failure to combat climate change, focusing on the criteria and threshold for being qualified as a victim under art. 34 ECHR in this context. Finally, considering the prohibition on actio popularis under the ECHR’s system, the third part examines the issue of locus standi of associations to lodge or pursue applications before the ECtHR on behalf of their members or other individuals affected by climate change.
Keywords: European Court of Human Rights (competence) – climate-change litigation – victim status of individual applicants – locus standi (representation) of associations – actio popularis – intergenerational burden-sharing in climate-change context.
I. Introduzione
Con le sentenze KlimaSeniorinnen c. Svizzera, Duarte Agostinho e altri c. Portogallo e altri 32 e Carême c. Francia,[1] la Grande Camera della Corte europea dei diritti umani finalmente si è pronunciata sui casi relativi ai cambiamenti climatici, i cui effetti si stanno dimostrando capaci riverberare sul godimento dei diritti umani tutelati a livello internazionale, e non solo nell’ambito della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU). Nei casi citati, la Corte europea si è invece pronunciata con sentenza nel caso KlimaSeniorinnen mentre ha ritenuto inammissibili i ricorsi relativi ai casi Carême, in ragione della mancanza di qualità di vittima ai sensi dell’art. 34 CEDU, e Duarte Agostinho e altri, sia per l’assenza di giurisdizione degli 32 Stati convenuti, fatta eccezione per il Portogallo, sia, con riferimento a quest’ultimo, per il mancato previo esaurimento dei rimedi interni disponibili al ricorrente.
Già in precedenza, la stretta relazione tra diritti umani e cambiamento climatico aveva trovato riconoscimento dinanzi al Comitato dei diritti umani nel caso Torres Strait Islanders,[2] il quale era stato chiamato a valutare la violazione dei diritti sanciti dal Patto sui diritti civili e politici in conseguenza dall’omissione da parte dello Stato convenuto di adottare adeguate misure di mitigazione e di adattamento. Nei casi più recenti innanzi richiamati, in particolare in KlimaSeniorinnen, il problema della responsabilità statale, per la violazione di obblighi positivi di cui all’8 CEDU (diritto alla vita familiare), si afferma, con tutta la sua portata innovativa, anche nella giurisprudenza della Corte europea,[3] che per la prima volta ha dovuto quindi pronunciarsi su doglianze relative alla mancata prevenzione dei danni prodotti dal cambiamento climatico.[4]
In KlimaSeniorinnen, infatti, ha Corte ha accertato la violazione dell’art. 8 CEDU[5] in ragione delle diverse e critiche carenze nella legislazione svizzera di misure atte a contrastare il cambiamento climatico, compresa la mancanza di quantificazione, attraverso un carbon budget o in altro modo, delle limitazioni delle emissioni nazionali di gas serra. Secondo la Corte, infatti, “[b]y failing to act in good time and in an appropriate and consistent manner regarding the devising, development and implementation of the relevant legislative and administrative framework, the respondent State exceeded its margin of appreciation and failed to comply with its positive obligations in the present context”.[6] Nel presente Insight, tra le altre che emergono dalle sentenze in discorso, ci si soffermerà in particolare su due questioni che appaiono di maggiore interesse: la questione e il riconoscimento del locus standi dell’associazione ricorrente come una forma di legittimazione ad agire diversa da quella che deriva dallo status di vittima.
II. Cambiamento climatico e funzioni della Corte europea dei diritti umani
In via preliminare, la Corte considera che la causa primaria del cambiamento climatico è l’accumulazione di gas serra nell’atmosfera terrestre, da cui derivano complessi e molteplici conseguenze per l’ambiente, nonché effetti nocivi che producono un deterioramento delle condizioni di vita degli individui e delle comunità. Si pone al contempo il problema sia della condivisione intergenerazionale degli oneri, sia dell’impatto più forte che il cambiamento climatico produce sui gruppi sociali più vulnerabili, nei confronti dei quali le delle autorità nazionali dovrebbero prestare particolare cura e attenzione.
Le competenze della Corte europea vanno esercitate nei limiti di quanto previsto dall’art. 19 CEDU, ossia assicurare il rispetto degli impegni derivanti alle Alte Parti contraenti dalla Convenzione, laddove le misure destinate a contrastare il cambiamento climatico e i suoi effetti nocivi richiedono un intervento legislativo frutto di processo decisionale democratico, caratteristica essenziale dell’ordine pubblico europeo, espresso nel Preambolo CEDU insieme ai principi di sussidiarietà e di responsabilità condivisa.[7] In tale contesto, anche per garantire il rispetto dello Stato di diritto, il ruolo complementare della Corte europea – così come quello dei giudici nazionali – è quello di “determine the proportionality of general measures adopted by the domestic legislature”. Tenuto conto della notoria inadeguatezza delle azioni che gli Stati hanno posto in essere per contrastare il cambiamento climatico globale e del conseguente aggravamento dei rischi e delle minacce connessi con il godimento dei diritti umani, la Corte “cannot ignore in its role as a judicial body tasked with the enforcement of human rights”.[8]
II cambiamento climatico, per sua natura, per gli effetti pregiudizievoli che produce e per i rischi che pone, si distingue – secondo il Giudice di Strasburgo – dai casi già in precedenza trattati in materia ambientale.[9] Ciò essenzialmente perché, con un ragionevole grado di certezza, con riferimento a questi ultimi: a) sono identificabili il contesto e la causa specifica che ha prodotto o continua a produrre il danno ambientale; b) sono individuabili e localizzabili le persone esposte a quel particolare danno; c) è possibile determinare un nesso tra la causa che ha originato e prodotto l’evento dannoso e i suoi effetti su gruppi di individui; d) possono essere specificatamente individuate le misure di mitigazione, sia legislative che esecutive, adottate o meno, così come le condotte omissive delle autorità nazionali destinate a ridurre il danno proveniente da una determinata causa.[10]
Diversamente, con riferimento al cambiamento climatico: a) non è identificabile una singola o specifica origine del danno; come noto i gas serra sono prodotti da molteplici fonti; b) le conseguenze dannose da essi prodotte sono frutto di una complessa catena di effetti; le emissioni di tali gas difatti non conoscono i confini nazionali; c) gli effetti prodotti da gas serra sono imprevedibili in termini di tempo e spazio rispetto ad altri specifici inquinanti tossici; d) le emissioni di gas serra non sono limitate a determinate attività pericolose, ma sono prodotte anche da attività umane basilari, quali trasporti, agricoltura, costruzioni, industria; conseguentemente esse non sono localizzabili o limitate a specifici contesti, rendendo più difficile adottare misure di mitigazione ed adattamento, che potrebbero dimostrarsi in ogni caso insufficienti se riguardassero un singolo o specifico settore.[11]
Tali considerazioni portano la Corte a ritenere che il cambiamento climatico e le politiche di contrasto al fenomeno devono assumere necessariamente una dimensione ed una prospettiva intergenerazionale, che si estenda chiaramente alle generazioni future, le quali:
“are likely to bear an increasingly severe burden of the consequences of present failures and omissions to combat climate change […] and that, at the same time, they have no possibility of participating in the relevant current decision-making processes. By their commitment to the UNFCCC, the States Parties have undertaken the obligation to protect the climate system for the benefit of present and future generations of humankind […]. This obligation must be viewed in the light of the already existing harmful impacts of climate change, as well as the urgency of the situation and the risk of irreversible harm posed by climate change. In the present context, having regard to the prospect of aggravating consequences arising for future generations, the intergenerational perspective underscores the risk inherent in the relevant political decision-making processes, namely that short-term interests and concerns may come to prevail over, and at the expense of, pressing needs for sustainable policy-making, rendering that risk particularly serious and adding justification for the possibility of judicial review”.[12]
Infine, se da un lato le sfide poste della lotta al cambiamento climatico sono globali, sia l’importanza relativa delle varie fonti di emissioni sia le politiche e le misure necessarie per ottenere un’adeguata mitigazione e adattamento possono variare in una certa misura da uno Stato all’altro a seconda di diversi fattori come la struttura dell’economia, le condizioni geografiche e demografiche, nonché altre circostanze sociali. Pertanto,
“[e]ven if in the longer term, climate change poses existential risks for humankind, this does not detract from the fact that in the short term the necessity of combating climate change involves various conflicts, the weighing-up of which falls, as stated previously, within the democratic decision-making processes, complemented by judicial oversight by the domestic courts and this Court”.[13]
Sono queste le ragioni e le differenze che quindi portano la Corte di Strasburgo, da un lato, a fondare la sua competenza e, dall’altro, a ritenere che, a tal fine, sia necessario – pur traendo da essi ispirazione – sviluppare un approccio appropriato e specificamente ritagliato per affrontare le diverse questioni che i casi relativi al cambiamento climatico pongono.[14]
Per definire l’ambito di esercizio della sua funzione di accertamento, la Corte ricorda che nessun articolo della CEDU è specificamente indirizzato a garantire una protezione generale dell’ambiente in quanto tale.[15] Tuttavia, non ha escluso, nella sua precedente giurisprudenza, che problemi ambientali hanno determinato effetti negativi sui diritti protetti dalla CEDU, ed in particolare dall’art. 8 della Convenzione, nel caso in cui si determini “the existence of a harmful effect on a person and not simply the general deterioration of the environment”.[16] Inoltre, la Corte sembra ben consapevole della circostanza che, in relazione al cambiamento climatico e più in generale alla politica ambientale, è chiaramente complicato riuscire distinguere tra le questioni giuridiche da quelle di indirizzo e di scelta politiche.[17] Ciò, tuttavia, non esclude che, anche in quest’ultima ipotesi, una doglianza possa essere introdotta dinanzi alla Corte nel momento in cui riguardi e produca effetti sui diritti tutelati dalla CEDU, attribuendo alla questione politica anche una natura giuridica connessa con l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione, e quindi attivando la competenza Corte, “albeit with substantial deference to the domestic policy-maker and the measures resulting from the democratic process concerned and/or the judicial review by the domestic courts”.[18]
Condividendo la tesi secondo cui “the question is no longer whether, but how, human rights courts should address the impacts of environmental harms on the enjoyment of human rights”, la Corte conclude che, nei casi concernenti il cambiamento climatico, la sua competenza non può essere in principio esclusa. Infatti, tenuto conto della necessità di affrontare la minaccia urgente posta dal cambiamento climatico, e considerata l’accettazione generale che esso costituisca una preoccupazione comune dell’umanità,[19] la Corte afferma che eserciterà le sue funzioni
“by taking it as a matter of fact that there are sufficiently reliable indications that anthropogenic climate change exists, that it poses a serious current and future threat to the enjoyment of human rights guaranteed under the Convention, that States are aware of it and capable of taking measures to effectively address it, that the relevant risks are projected to be lower if the rise in temperature is limited to 1.5oC above pre-industrial levels and if action is taken urgently, and that current global mitigation efforts are not sufficient to meet the latter target”.[20]
III. Status di vittima e locus standi nei casi relativi al cambiamento climatico
In KlimaSeniorinnen, il ricorso è stato introdotto dalla Verein KlimaSeniorinnen Schweiz, ossia un’associazione svizzera senza scopo di lucro, e da 4 suoi membri. L’associazione ha tra i suoi fini statutari quelli di promuovere e attuare un’efficace protezione del clima per conto dei suoi membri, anche in favore della popolazione in generale e delle future generazioni, impegnandosi tra l’altro a ridurre le emissioni di gas serra in Svizzera e i loro effetti sul riscaldamento globale attraverso sia attività informative e formative sia azioni legali promosse nell’interesse dei suoi membri relative agli effetti del cambiamento climatico.
Accertata l’esistenza della giurisdizione dello Stato convenuto, la Corte si sofferma sulla valutazione della qualità di vittima dei ricorrenti, distinguendo la posizione dell’associazione da quella delle 4 membri della medesima associazione.
iii.1 Status di vittima dei ricorrenti (persone fisiche)
Secondo la Corte, infatti, non è possibile riconoscere alle 4 ricorrenti lo status di vittima, ai sensi dell’art. 34 CEDU, benché appartengano a un gruppo – le persone anziane – particolarmente sensibile agli effetti del cambiamento climatico.[21] A tal fine, sarebbe piuttosto necessario accertare che ciascun ricorrente, preso individualmente, abbia subito conseguenze negative di particolare livello e gravità, che, insieme alle condizioni di particolare vulnerabilità in cui si trova, possono dar luogo a un’urgente necessità di garantire una protezione individuale.
La giurisprudenza della Corte sullo status di vittima si basa sull’esistenza di un impatto diretto della condotta attiva o omissiva dello Stato convenuto sul ricorrente o di un rischio reale che tale impatto di produca. Tuttavia, nel contesto del cambiamento climatico, chiunque, in un modo o nell’altro e in una certa misura, può ritenersi di essere stato direttamente colpito o di correre il rischio reale di essere direttamente colpito dagli effetti nocivi del cambiamento climatico, con la conseguenza che l’insieme di soggetti che potrebbero essere legittimati a lamentare una violazione della Convenzione, rivendicando il riconoscimento dello status di vittima, potrebbe dimostrarsi molto nutrito. Ciò, tuttavia, non risulterebbe compatibile con l’esclusione dell’actio popularis[22] dal meccanismo della Convenzione e con l’effettivo funzionamento del diritto di ricorso individuale nel contesto del cambiamento climatico.[23]
Considerate le peculiarità dei casi relativi al cambiamento climatico, pertanto, per verificare lo status di vittima – e quindi l’esistenza di un rischio reale di “impatto diretto” sul ricorrente – la Corte identifica criteri specifici che tengano conto in particolare del livello e della gravità delle conseguenze nocive o del rischio di subirne che si produce sull’individuo o sugli individui interessati, e della conseguente necessità di garantire loro una protezione individuale.[24]
Con riferimento alle doglianze per danni (o al rischio di subirne) derivanti da presunte inadempienze dello Stato nel contrasto al cambiamento climatico, perché possa essere riconosciuta la qualità di vittima, il ricorrente deve dimostrare di essere stato personalmente e direttamente colpito dalle carenze ed omissioni contestate allo Stato convenuto. A tal fine, la Corte individua i seguenti criteri:
(a) il ricorrente deve essere soggetto ad un’esposizione agli effetti nocivi del cambiamento climatico di elevata intensità; in altri termini, il livello e la gravità delle conseguenze dannose sull’interessato – oppure il rischio di subirle – derivanti dalla condotta attiva o omissiva delle autorità nazionali devono essere significativi; e
(b) deve essere accertata l’urgente necessità di garantire al ricorrente la protezione individuale, a causa dell’assenza o dell’inadeguatezza di qualsiasi misura ragionevole che possa ridurre il danno subito (o il rischio di subirlo).
Nel caso KlimaSeniorinnen tali criteri non risultano rispettati da parte delle ricorrenti, anche perché la soglia per poterli soddisfare è particolarmente elevata. Il raggiungimento di tale soglia è oggetto, infatti, di un’attenta valutazione da parte della Corte che tiene conto sia delle circostanze concrete del caso, tra cui le condizioni locali prevalenti, sia della specificità e vulnerabilità della posizione del ricorrente. In aggiunta, ai fini di detta valutazione, è necessario prendere in considerazione di qualsiasi ulteriore elemento possa essere ricavato da: a) la natura e la portata della violazione della Convenzione lamentata; b) l’attualità, la lontananza e/o la probabilità nel tempo degli effetti nocivi prodotti dal cambiamento climatico; c) l’impatto particolare di tali effetti sulla vita, sulla salute o sul benessere del ricorrente; d) l’entità e la durata degli effetti dannosi prodotti, la portata del rischio (localizzato o generalizzato), nonché la condizione di vulnerabilità dell’interessato da cui ricavare l’urgenza della necessità di garantire un protezione individuale.[25]
iii.2 Locus standi dell’associazione ricorrente
Risulta interessante il ragionamento sviluppato dalla Corte per giungere ad una soluzione invece positiva sul riconoscimento del locus standi all’associazione ricorrente,[26] una posizione che – come la Corte sottolinea - si distingue dallo status di vittima, ed attiene alla capacità di tali associazioni di rappresentare in giudizio delle vittime delle violazioni della CEDU[27], anche in linea con quanto previsto dalla Convenzione di Aarhus,[28] ai sensi della quale “every person has the right to live in an environment adequate to his or her health and well-being, and the duty, both individually and in association with others, to protect and improve the environment for the benefit of present and future generations”.
La premessa da cui parte la Corte[29] è che nelle società moderne il ricorso ad organismi collettivi come le associazioni è uno dei mezzi accessibili, e talvolta l’unico, a disposizione degli individui per difendere efficacemente i propri interessi particolari. Ciò è particolarmente vero nel contesto del cambiamento climatico. Si tratta di un fenomeno globale e complesso, che ha molteplici cause e i cui effetti negativi non riguardano un particolare individuo o gruppo di individui, ma sono piuttosto “una preoccupazione comune dell’umanità”, come recita il Preambolo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992. Inoltre, in questo contesto, in cui la condivisione degli oneri intergenerazionali assume particolare importanza, l’azione collettiva attraverso associazioni o altri gruppi di interesse si può configurare addirittura come l’unico mezzo attraverso il quale la voce di coloro che si trovano in una situazione di netto svantaggio, non potendo trovare altri modi per poter essere rappresentati, può essere ascoltata e mediante il quale essi possono cercare di influenzare i relativi processi decisionali.
Nel contesto dei casi relativi al cambiamento climatico, sulla base delle considerazioni che precedono, ribadita l’esclusione di un’actio popularis nel sistema CEDU,[30] la Corte ha quindi affermato che, a determinate condizioni, alle associazioni possa essere riconosciuto il locus standi allo scopo di rappresentare i soggetti i cui diritti sono o saranno presumibilmente lesi, anche nel caso in cui non possa essa stessa ritenersi vittima di una violazione della Convenzione.[31]
Conseguentemente, affinché un’associazione possa essere legittimata a presentare ricorso dinanzi alla Corte in ragione della mancata adozione da parte di uno Stato contraente delle misure adeguate per proteggere gli individui dagli effetti negativi dei cambiamenti climatici sulla vita e sulla salute umana, è necessario che, all'interno dell’ordinamento giuridico dello Stato convenuto, essa: a) sia legalmente stabilita o legittimata ad agire; b) sia in grado di dimostrare di perseguire, compatibilmente con i suoi obiettivi statutari, uno scopo specifico di difesa dei diritti umani dei suoi membri o di altri soggetti interessati, attraverso un’azione collettiva per la protezione di tali diritti contro le minacce derivanti dai cambiamenti climatici; e c) capace di dimostrare di poter essere considerata realmente rappresentativa e qualificata ad agire per conto di membri o altri individui interessati che sono soggetti a minacce specifiche o ad effetti nocivi dei cambiamenti climatici sulla loro vita, salute o benessere come protetti dalla CEDU.[32]
In tali circostanze, è l’interesse per la corretta amministrazione della giustizia che, secondo la Corte, conferisce all’associazione la legittimazione attiva ad agire per conto dei suoi membri o di altri individui interessati, senza che si renda necessario dimostrare che coloro per conto dei quali viene introdotto il ricorso a Strasburgo siano da ritenersi vittime della violazione della CEDU. Inoltre, soddisfatte le condizioni sopra richiamate, anche qualora l’ordinamento interno dello Stato convenuto limiti la capacità dell’associazione ad agire dinanzi ai giudici nazionali, è sempre l’interesse per la corretta amministrazione della giustizia che porta la Corte europea a ritenere di poter verificare e, se del caso, riconoscere il locus standi dell’associazione ricorrente, in considerazione del fatto che i suoi membri, anche singolarmente, oppure altri individui interessati abbiano avuto accesso a un giudice in un procedimento nazionale avente ad oggetto le medesime doglianze presentate a Strasburgo[33].
In conclusione, in primo luogo, non può affermarsi con certezza che, in KlimaSeniorinnen, la Corte europea abbia espressamente introdotto un’actio popularis,[34] rivedendo quindi la sua precedente giurisprudenza e giungendo sino al punto di ritenere ammissibile anche un ricorso che in via astratta lamenti un generale deterioramento dell’ambiente, a prescindere dagli effetti nocivi o dai rischi che tale deterioramento produce sulle condizioni di vita di un particolare individuo o di un gruppo di persone.
In secondo luogo, si può ragionevolmente presumere che la Corte europea, con un certo equilibrio, che può trovare conferma anche nella mancata indicazione di misure generali allo Stato convenuto[35], e senza ledere il principio di sussidiarietà su cui si articola il funzionamento del sistema di controllo previsto dalla CEDU, abbia voluto garantire la protezione offerta dalla Convenzione ai casi di violazione derivanti dal cambiamento climatico, considerata l’urgente necessità di contrastarne gli effetti pregiudizievoli, e la gravità e la potenziale irreversibilità delle sue conseguenze, capaci di estendersi anche alle generazioni future.
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European Papers, Vol. 9, 2024, No 3, pp. 1487-1496
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/819
* Professore associato di Diritto internazionale, Università degli Studi di Roma UnitelmaSapienza, nicola.napoletano@unitelmasapienza.it.
[1] CtEDU [GC] Verein Klimaseniorinnen Schweiz e al. c. Svizzera ricorso n. 53600/20 [9 aprile 2024]; CtEDU [GC] Duarte Agostinho e al. c. Portugal e 32 al. ricorso n. 39371/20 [9 aprile 2024], decisione; CtEDU [GC] Carême c. France ricorso n. 7189/21 [9 aprile 2024], decisione. Cfr., su queste sentenze, M Milanovic, ‘A Quick Take on the European Court’s Climate Change Judgments’ (9 aprile 2024) EJIL: Talk! www.ejiltalk.org; OW Pedersen, ‘Climate Change and the ECHR: The Results Are In’ (11 aprile 2024) EJIL: Talk! www.ejiltalk.org; L-A Sicilianos e M-L Deftou, ‘Breaking New Ground: Climate Change before the Strasbourg Court’ (12 aprile 2024) EJIL: Talk! www.ejiltalk.org ; A Brucher e A De Spiegeleir, ‘The European Court of Human Rights’ April 9 Climate Ruling and the Future (Thereof)’ (29 aprile 2024) Verfassungsblog verfassungsblog.de; L Acconciamessa, ‘Il contenzioso climatico davanti alla Corte europea dei diritti umani, tra aspettative, rischi e realtà’, R Pisillo Mazzeschi, ‘Diritti umani e cambiamento climatico: brevi note sulla sentenza KlimaSeniorinnen della Corte di Strasburgo’, e A Ollino, ‘Qualche riflessione sul caso Duarte Agostinho e sulla nozione di giurisdizione come ‘controllo sull’esercizio dei diritti umani’ (2024) Diritti umani e diritto internazionale, rispettivamente 369, 383 e 401.
[2] Comitato dei diritti umani Daniel Billy e al. c. Australia comunicazione n. 3624/2019 [21 luglio 2022], views, UN Doc. CCPR/C/135/D/3624/2019, su cui cfr. C Ceretelli, ‘Tutela dei diritti umani e lotta al cambiamento climatico: il caso Torres Strait Islanders dinanzi al Comitato dei diritti umani’ (2024) Diritti umani e diritto internazionale 761. Cfr. anche Comitato dei diritti del fanciullo Sacchi e al. c. Argentina comunicazione n. 104/2019 [11 novembre 2021], decisione, UN Doc. CRC/C/88/D/104/2019.
[3] Pareri consultivi sono stati richiesti al Tribunale internazionale per il diritto del mare (Advisory Opinion, su richiesta presentata dalla Commission of Small Island States on Climate Change and International Law caso n. 31 [21 maggio 2024], alla Corte internazionale di giustizia Obligations of States in Respect of Climate Change, richiesta dall’Assemblea Generale con risoluzione 77/276 del 29 marzo 2023, alla Corte interamericana dei diritti umani Climate Emergency and Human Rights, richiesta presentata da Colombia e Cile il 9 gennaio 2023.
[4] KlimaSeniorinnen cit. par. 414.
[5] KlimaSeniorinnen cit. par. 536-537. I ricorrenti avevano lamentato anche la violazione dell’art. 2 (diritto alla vita) CEDU. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che: “[w]hile Article 8 undoubtedly applies in the circumstances of the present case as regards the complaints of the applicant association concerning the effects of the alleged shortcomings on the part of the respondent State in its measures to combat the adverse effects and threats of climate change on human health, whether those alleged shortcomings also had such life-threatening consequences as could trigger the applicability of Article 2 is more questionable. […] The Court finds it appropriate to examine the applicant association’s complaint from the angle of Article 8 alone. That said, in its case-law analysis below it will have regard to the principles developed also under Article 2, which to a very large extent are similar to those under Article 8 […] and which, when seen together, provide a useful basis for defining the overall approach to be applied in the climate-change context under both provisions”.
[6] KlimaSeniorinnen cit. par. 573-574.
[7] KlimaSeniorinnen cit. par. 411, and CtEDU [GC], Grzęda c. Polonia ricorso n. 43572/18 [15 marzo 2022] para 324: “The Court considers it appropriate to emphasise in this regard the importance of the principles of subsidiarity and shared responsibility. It reiterates its fundamentally subsidiary role in the supervisory mechanism established by the Convention, whereby the Contracting Parties have the primary responsibility of securing the rights and freedoms defined in the Convention and the Protocols thereto […]. The Court further notes that the principle of subsidiarity imposes a shared responsibility between the States Parties and the Court, and that national authorities and courts must interpret and apply domestic law in a manner that gives full effect to the Convention.”
[8] KlimaSeniorinnen cit. par. 413 (corsivo aggiunto).
[9] KlimaSeniorinnen cit. par. 414 e 422.
[10] KlimaSeniorinnen cit. par. 415.
[11] KlimaSeniorinnen cit. par. 416-419.
[12] KlimaSeniorinnen cit. par. 420 (corsivo aggiunto).
[13] KlimaSeniorinnen cit. par. 421 (corsivo aggiunto).
[14] KlimaSeniorinnen cit. par. 422.
[15] CtEDU Cordella e al. c. Italia ricorsi n. 54414/13 e 54264/15 [24 gennaio 2019], par. 100.
[16] CtEDU Di Sarno e al. c. Italia, ricorso n. 30765/08 [10 gennaio 2012], par. 80-81.
[17] KlimaSeniorinnen cit. par. 449: “national authorities have direct democratic legitimation and are in principle better placed than an international court to evaluate the relevant needs and conditions. In matters of general policy, or political choices, on which opinions within a democratic society may reasonably differ widely, the role of the domestic policy-maker is given special weight”.
[18] KlimaSeniorinnen cit. par. 450.
[19] KlimaSeniorinnen cit. par. 451.
[20] KlimaSeniorinnen cit. par. 436 (corsivo aggiunto).
[21] KlimaSeniorinnen cit. par. 531 e 535.
[22] CtEDU Yusufeli İlçesini Güzelleştirme Yaşatma Kültür Varlıklarını Koruma Derneği c. Turchia, ricorso n. 37857/14 [7 dicembre 2021], par. 41. KlimaSeniorinnen cit. par. 460.
[23] KlimaSeniorinnen cit. par. 483.
[24] KlimaSeniorinnen cit. par. 486-488.
[25] KlimaSeniorinnen cit. par. 488.
[26] KlimaSeniorinnen cit. par. 496 e 526.
[27] CtEDU [GC] Centre for Legal Resources on behalf of Valentin Câmpeanu c. Romania ricorso n. 47848/08 [17 luglio 2014] par. 102‑103. KlimaSeniorinnen cit. par. 464.
[28] KlimaSeniorinnen cit. par. 461, 491-492
[29] KlimaSeniorinnen cit. par. 489.
[30] KlimaSeniorinnen cit. par. 500.
[31] KlimaSeniorinnen cit. par. 498.
[32] KlimaSeniorinnen cit. par. 502.
[33] KlimaSeniorinnen cit. par. 503.
[34] G Letsas, ‘Did the Court in KlimaSeniorinnen Create an Actio Popularis?” (13 maggio 2024) EJIL Talk! www.ejiltalk.org; C Heri, ‘KlimaSeniorinnen, the prohibition of actio popularis cases, and future generations – a false dilemma?’ (19 dicembre 2024) EJIL Talk! www.ejiltalk.org.
[35] KlimaSeniorinnen cit. par. 657: “having regard to the complexity and the nature of the issues involved, the Court is unable to be detailed or prescriptive as regards any measures to be implemented in order to effectively comply with the present judgment. Given the differentiated margin of appreciation accorded to the State in this area […], the Court considers that the respondent State, with the assistance of the Committee of Ministers, is better placed than the Court to assess the specific measures to be taken.”