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Keywords: internal market – competition law – unfair commercial practices – pricing policies – additional charges – transparency.
Con la sentenza Ryanair Ltd. c. AGCM,[1] depositata lo scorso 23 aprile 2020, la Corte di giustizia è intervenuta sulle politiche tariffarie del trasporto aereo, imponendo alle compagnie che operano nei cieli dell’Unione una maggior trasparenza nell’attività di ticketing online.
Più precisamente, nella fattispecie esaminata la tariffa aerea non conteneva oneri aggiuntivi obbligatori, che venivano comunicati al potenziale passeggero esclusivamente nella fase conclusiva della procedura di prenotazione del viaggio, inducendo così in errore il compratore sull’effettiva bontà dell’offerta. La Corte ritiene che nelle tariffe reclamizzate sul web debbano potersi distinguere – in modo facile, immediato e non ingannevole – i costi inevitabili e prevedibili che concorrono a formare il prezzo finale.
Molte compagnie aeree low-cost hanno basato la propria strategia commerciale sull’economicità delle tariffe al fine di attrarre una clientela sensibile ai prezzi.[2] Per influenzare i consumatori, gli annunci pubblicitari pongono enfasi sulla tariffa netta del viaggio, omettendo altri supplementi ed oneri fiscali destinati inevitabilmente ad incidere sul prezzo finale.
Configura infatti una pratica commerciale scorretta la pubblicità ingannevole con riguardo al prezzo o al modo in cui questo viene calcolato. E di conseguenza le autorità competenti potranno sanzionare quei vettori che promuovono l’acquisto di biglietti a prezzi – solo apparentemente – vantaggiosi.
Nel 2011, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) irrogava una serie di ammende nei confronti della compagnia irlandese, ritenendola responsabile dell’adozione dell’onere di web check-in, nonché della tariffa amministrativa applicata al pagamento con una carta di credito diversa da quella fidelizzata dalla compagnia. La decisione dell’AGCM veniva parzialmente confermata dal TAR Lazio,[3] mentre il Consiglio di Stato successivamente adito si rivolgeva alla Corte di Lussemburgo, in via pregiudiziale, chiedendo d’interpretare le nozioni di “supplementi di prezzo inevitabili e prevedibili” e di “supplementi di prezzo opzionali” di cui all’art. 23, par. 1, del Regolamento (CE) 1008/2008,[4] essendo indicazioni decisive allorché un giudice debba valutare l’eventuale sussistenza di una pratica commerciale scorretta posta in essere da una compagnia all’atto della vendita al pubblico di biglietti aerei.
L’art. 23, par. 1, sopra menzionato prevede che il prezzo finale debba includere “tutte le tariffe aeree passeggeri o merci applicabili, nonché tutte le tasse, i diritti ed i supplementi inevitabili e prevedibili al momento della pubblicazione”.[5] Ciò significa che il vettore aereo ha l’obbligo di comunicare ai consumatori questi elementi di prezzo sin dal primo contatto. Gli elementi opzionali possono invece essere resi noti in un secondo momento, all’apertura della pagina web dedicata alla prenotazione. La normativa, tuttavia, non chiarisce come distinguere le due predette categorie.
La disposizione in rilievo, concedendo agli operatori ampia libertà nella determinazione delle proprie tariffe, si limita a prescriverne gli elementi indefettibili: la tariffa aerea, le tasse, i diritti aeroportuali e, infine, i supplementi connessi alla sicurezza aerea o ai carburanti.
L’adozione di regole comuni nel mercato interno dell’aviazione permette di evitare distorsioni della concorrenza derivanti dalla diversa applicazione delle norme a livello nazionale, ed inoltre, assicura ai consumatori la possibilità di confrontare, in autonomia, le offerte di più linee aeree.[6] È fondamentale però che il prezzo che appare alla prima visualizzazione non subisca ulteriori e non prevedibili aggravi.
Come rileva la Corte, l’esatta qualificazione giuridica di un elemento di prezzo non può risultare da un automatismo normativo. Un tale modus operandi comporterebbe un’ingiustificata compressione della libertà di concorrenza, giacché ciascun vettore può discrezionalmente stabilire di offrire un servizio – per esempio, il check-in dei passeggeri – a titolo oneroso o gratuito. Qualora sia possibile scegliere tra più alternative, di cui almeno una non sia a pagamento, quel costo risulterà giocoforza opzionale. Ne discende che il carattere dell’inevitabilità va accertato in concreto, constatando se nel caso di specie l’acquirente possa non pagare il supplemento senza incorrere in svantaggi nella fruizione del servizio di trasporto aereo.
Quanto al distinto requisito della prevedibilità del prezzo, nel caso Air Berlin[7] – citato dalla pronuncia in esame – la Corte definisce tale quella voce di spesa che il consumatore può facilmente computare nel proprio preventivo in base alle condizioni contrattuali e allo schema tariffario del vettore.
Per quanto concerne poi la sovrattassa conseguente all’uso della carta di credito, va ricordato che tale maggiorazione, dovuta alle commissioni bancarie sostenute dall’ente per l’erogazione del servizio, non è più ammissibile in forza della direttiva cd. PSD – 2,[8] che vieta la prassi commerciale del payment card surcharge, ossia l’addebito al pagatore delle spese inerenti al completamento della transazione elettronica.
Tornando alla nostra analisi, la maggiorazione prevista per il pagamento con talune carte di credito – alla luce dei principi di diritto elaborati dalla Corte – si può pacificamente ascrivere al genere dei costi inevitabili e prevedibili. In un simile contesto, la libera scelta dell’acquirente è illusoria.
È intuibile che coloro che potranno beneficiare della gratuità del servizio appartengono ad una fascia privilegiata di clientela, composta per ipotesi da frequent flyers anche di altre compagnie, oppure utenti di partners commerciali. Nel giudizio a quo, la compagnia asseriva che un terzo dei prenotanti aveva adoperato la carta di credito fidelizzata.
Nondimeno, i restanti due terzi, che costituiscono la maggior parte dei consumatori, dovranno sostenere operazioni potenzialmente costose per poter soddisfare la condizione richiesta, con il rischio, una volta effettuate dette operazioni, di non poter più beneficiare della tariffa promozionale.[9]
Siamo, quindi, in presenza di un costo inevitabile quando, per poter fruire di un certo servizio, il cliente deve, in un modo o nell’altro, farsi carico di un onere non voluto né evitabile. In tale ipotesi, il supplemento di prezzo deve figurare chiaramente sin dalla prima visualizzazione dell’offerta, opportunamente distinto dalle altre voci di spesa.
Ricordiamo invece che i supplementi opzionali, per definizione connessi alla richiesta di servizi accessori, devono essere “comunicati in modo chiaro, trasparente e non ambiguo all’inizio di qualsiasi processo di prenotazione e la loro accettazione da parte del passeggero deve avvenire sulla base dell’esplicito consenso del passeggero”.[10] Rientrano in tale categoria gli importi dovuti per il web check-in[11] qualora l’utente possa accedervi gratuitamente in aeroporto, mentre tali costi sarebbero di natura cogente allorché il consumatore non abbia altra scelta, se non quella di effettuare il check-in online e a titolo oneroso.
Da ultimo, i giudici dell’Unione si soffermano sugli effetti concernenti l’imposta sul valore aggiunto. Com’è noto, la specificazione di un certo tributo deve sempre seguire l’elemento di prezzo al quale la tassa si ricollega. In relazione ai voli nazionali, dunque, il tributo si profila come elemento di prezzo inevitabile. D’altro canto, esso ha carattere opzionale se riferito a supplementi facoltativi. Occorre poi ribadire che l’acquirente, all’interno della voce di spesa addebitata per i servizi opzionali, deve poter distinguere il costo del servizio dalla quota riferita all’Iva.
In definitiva, questi obblighi informativi risultano indispensabili allo scopo di assicurare, in un breve futuro, la piena comparabilità – nello spazio unico europeo – delle tariffe proposte per una certa rotta. Poiché il mercato del trasporto aereo è, per sua natura, transnazionale le politiche tariffarie devono essere governate da norme comuni agli Stati Membri dell’Unione.
I criteri di trasparenza tariffaria elaborati dalla Corte si riveleranno di sicura efficacia nel porre rimedio, o quantomeno affievolire lo squilibrio informativo ingenerato nei clienti dalle campagne pubblicitarie promosse dalle linee aeree a basso costo, contribuendo a promuovere una nuova strategia comunicativa più veritiera e comprensibile.
Il passeggero sarà un utente meno debole perché, avendo contezza di ciascuna delle peculiari voci di spesa che compongono il prezzo del biglietto aereo, potrà addivenire ad un consenso realmente consapevole.
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European Papers, Vol. 5, 2020, No 1, European Forum, Highlight of 13 June 2020, pp. 697-700
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/365
* Dottore in Giurisprudenza, Università di Trento, alberto.rampanelli@alumni.unitn.it.
[1] Corte di giustizia, sentenza del 23 aprile 2020, causa C-28/19, Ryanair Ltd. c. AGCM.
[2] F. Rossi Dal Pozzo, EU Legal Framework for Safeguarding Air Passengers Rights, Heidelberg: Springer, 2015, p. 123.
[3] Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sentenza del 12 aprile 2012, n. 3318, Ryanair Ltd. c. AGCM.
[4] Regolamento (CE) 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 settembre 2008, recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità.
[5] Ibid., art. 23.
[6] Conclusioni dell’AG Bot presentate il 23 gennaio 2014, causa C-487/12, Vueling Airlines, para. 71.
[7] Corte di giustizia, sentenza del 6 luglio 2017, causa C-290/16, Air Berlin.
[8] Direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno.
[9] Ryanair Ltd. c. AGCM, cit., para. 33.
[10] Regolamento (CE) 1008/2008, cit., art. 23.
[11] Corte di giustizia, sentenza del 19 luglio 2012, causa C-112/11, ebookers.com Deutschland GmbH.