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Abstract: In A and B v. Norway (judgment of 15 November 2016, nos 24130/11 and 29758/11) the Grand Chamber of the European Court of Human Rights restricted the scope of the ne bis in idem principle. Partly relaying on its previous case law, the Court upheld that Art. 4 of the Protocol no. 7 of the European Convention of Human Rights is not violated by dual proceedings conducted against an individual for the same conduct, if the proceedings are closely connected to each other in substance and in time. In A and B, the European Court also listed a number of elements to test the intensity of the connection in substance and in time.
Keywords: ne bis in idem – criminal and administrative proceedings – European Court of Human Rights – tax offences – double jeopardy – sanctions.
I. Introduzione
Alcuni ordinamenti nazionali degli Stati contraenti della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU) prevedono la possibilità di irrogare rispetto al medesimo fatto due sanzioni qualificabili, rispettivamente, come amministrative ovvero fiscali, da un lato, e penali, dall’altro. Tale doppio binario sanzionatorio rappresenta un tema molto complesso e discusso in merito all’applicabilità del principio del ne bis in idem, previsto dall’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU.[1]
Nella sentenza A e B c. Norvegia del 15 novembre 2016,[2] la Grande Camera della Corte di Strasburgo è tornata ad affrontare la questione, chiedendo ai giudici nazionali di valutare la compatibilità di tale doppio binario alla luce del criterio di una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta tra le due tipologie di sanzioni.
La Corte, dopo aver confermato il proprio orientamento sulla natura “penale” dell’irrogazione di sovrattasse,[3] ha ritenuto non applicabile il principio di ne bis in idem qualora sussista una sufficiente connessione “in substance and in time” tra i due procedimenti di natura penale e amministrativo-tributario.[4] In altri termini, il divieto del doppio binario non è applicabile se si tratta di una “reazione coordinata” dell’ordinamento nazionale, tramite due procedimenti, di fronte al medesimo fatto illecito.
Si tratta di un’importante pronuncia giurisprudenziale ma non di un vero e proprio revirement, perché, come vedremo, benché la Corte si sia pronunciata nello stesso senso in precedenti sentenze, queste ultime sembravano essere state superate dalla giurisprudenza più recente.
L’interpretazione del principio del ne bis in idem che si consolida nella sentenza in commento potrebbe costituire un valido aiuto per alcune giurisdizioni nazionali nel superare le difficoltà che esse incontrano nell’applicazione di tale principio. In particolare, si pensi alle fattispecie di manipolazione del mercato e abuso di informazioni privilegiate previste dall’ordinamento italiano.[5] Con riferimento alla prima, come è noto, la Corte europea ha giudicato incompatibile con il principio del ne bis in idem il sistema del doppio binario penale-amministrativo previsto per la fattispecie di manipolazione del mercato.[6] Al contrario, per quanto concerne la fattispecie di market abuse, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità tramite la quale il giudice a quo asseriva il contrasto con il principio del ne bis in idem così come interpretato dalla giurisprudenza europea.[7] È prevedibile, dunque, che la giurisprudenza nazionale sarà chiamata nuovamente a valutare se il doppio binario sanzionatorio previsto in tali materie sia compatibile con l’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU. Questa volta alla luce del criterio della “sufficiente connessione” tra i due procedimenti recuperato dalla Corte europea.
II. La pregressa giurisprudenza della Corte europea sul criterio della sufficiente connessione temporale e sostanziale tra i procedimenti penale e amministrativo
Al criterio del “sufficiently close connection, in substance and in time” la Corte ha fatto riferimento in passato, affermando che deve necessariamente sussistere tra i due procedimenti (l’uno per imporre la sovrattassa fiscale, l’altro la sanzione penale), al fine di escludere la violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU. Ha più volte ribadito, infatti, che il divieto del ne bis in idem opera sia con riferimento a due procedimenti consecutivi ove il secondo segua ad un primo già divenuto definitivo, sia in presenza di due procedimenti paralleli, quando uno di essi si concluda con un provvedimento definitivo.[8]
Vale la pena di indicare le principali tappe giurisprudenziali di questo orientamento. Ad esempio, nella sentenza Nilsson c. Svezia,[9] nel dichiarare inammissibile il ricorso nel quale si contestava la violazione del ne bis in idem, la Corte aveva escluso che in presenza di una connessione sufficientemente stretta tra i due procedimenti, un doppio processo con l’applicazione di due distinte sanzioni costituisca violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU.
Nello stesso senso, la sentenza Hakka c. Finlandia[10] nella quale la Corte ha escluso una violazione del principio del ne bis in idem, posto che le due sanzioni erano state irrogate in procedimenti non consecutivi ma tra loro “sufficientemente coordinati”. Così, nel caso Nykanen c. Finlandia,[11] la Corte ribadisce che è necessario verificare se sussista “a sufficiently close connection between them, in substance and in time”.[12] Nel qual caso, infatti, deve escludersi che i ricorrenti “were tried or punished again for an offence for which they had already been finally convicted in breach of Article 4, para. 1 of Protocol No. 7 to the Convention”.[13] Nei casi Shibendra Dev c. Svezia[14] e Lucky Dev c. Svezia la Corte ricorre nuovamente a tale criterio al fine di accertare la compatibilità del sistema del doppio binario in materia tributaria con l’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU.[15]
Invece, la Corte europea constata la violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU senza compiere alcuna verifica circa l’esistenza di un coordinamento sostanziale e temporale tra i due procedimenti nelle sentenze Zolotukhin c. Russia[16] e Grande Stevens c. Italia.[17]
III. Analisi dei principi di diritto enunciati nella decisione della Grande Camera
Con la sentenza in commento, la Corte si pronuncia su due cause riunite. Nella prima, il ricorrente contesta la violazione del principio del ne bis in idem, atteso che era stato condannato per il reato di frode fiscale con sentenza definitiva, dopo che il parallelo procedimento amministrativo (con relativa sanzione amministrativa pari al trenta per cento dell’importo non dichiarato) era già divenuto definitivo. Nella seconda, al ricorrente era stata irrogata una sovrattassa del trenta per cento in un procedimento amministrativo alla luce delle dichiarazioni rese nel parallelo procedimento penale già divenuto definitivo. La Suprema Corte norvegese (Høyesterett) si era adeguata alla giurisprudenza di Strasburgo in materia, modificando l’orientamento della giurisprudenza nazionale prevalente in materia di doppio-binario sanzionatorio.[18]
La prima questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi è quella concernente la nozione di “criminal proceedings” utilizzata nell’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU. In particolare se essa sia equivalente a quella di “criminal charge” ex art. 6 CEDU. La Corte osserva che le due norme in parola implicano delle differenti valutazioni di diritto sostanziale e processuale.[19] Ricorda che tale distinzione era stata valorizzata nella propria giurisprudenza più risalente tramite il ricorso ad autonomi criteri per definire la nozione di “criminal proceedings”. In considerazione non solo delle differenze terminologiche tra le due norme bensì anche dell’assenza di un consenso europeo (nella legislazione o nella prassi degli Stati contraenti), nonché in forza del margine di apprezzamento concesso agli Stati nella materia penale.[20] La Corte prosegue nell’affermare che a partire dalla sentenza del 2009 Zolotukhin c. Russia[21] ha però utilizzato i criteri Engel.[22] Le ragioni alla base di tale scelta sono state individuate nella considerazione secondo cui il principio del ne bis in idem concerne principalmente il giusto processo, che è altresì l’oggetto dell’art. 6 CEDU.[23] Questo processo di allineamento e convergenza dell’interpretazione delle due norme è giustificato dall’esigenza di promuovere “internal consistency and harmony” tra le diverse disposizioni della Convenzione. Infatti, la Convenzione “must be read as a whole”.[24]
La seconda questione riguarda la legittimità convenzionale del sistema del doppio binario alla luce del criterio della “sufficiently close connection, in substance and in time” tra i due procedimenti, considerata l’ambiguità e non-omogeneità dei riferimenti a tale criterio definitorio nella pregressa giurisprudenza. La Corte, in via preliminare, ricorda che, secondo costante giurisprudenza, gli Stati contraenti godono di autonomia procedurale, atteso che sono liberi “to choose how to organise their legal system, including their criminal-justice procedures”.[25] Tale autonomia si esplica nella scelta dei mezzi necessari a perseguire il fine stabilito dalla norma dell’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU. In buona sostanza, tale norma non esclude che sia lo Stato a individuare le risposte sanzionatorie più adeguate a condotte socialmente offensive, attraverso procedimenti distinti che, tuttavia, formino “a coherent whole”.
La discrezionalità degli Stati (che si esplica in un’obbligazione di mezzi e non di risultato) non si spinge sino al punto di consentire che il cumulo di tali sanzioni comporti un sacrificio eccessivo per l’interessato.[26] Al riguardo, la Corte è competente a determinare se le misure nazionali adottate comportino, nella sostanza, tale rischio o se, al contrario, costituiscono il prodotto di un sistema “enabling different aspects of the wrongdoing to be addressed in a foreseeable and proportionate manner forming a coherent whole, so that the individual concerned is not thereby subjected to injustice”.[27]
Benché, dunque, l’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU non vieti agli Stati di sanzionare i fatti di evasione fiscale tramite la duplice imposizione di sanzioni amministrative (ancorché qualificate come sostanzialmente penali ai sensi della Convenzione) e penali;[28] al contempo il doppio-binario sanzionatorio deve uniformarsi ai principi convenzionali e garantire una “connection in substance and in time” tra i due procedimenti. Tale connessione, infatti, costituisce una “useful guidance” al fine di contemperare e salvaguardare contrapposte esigenze: da un lato, l’interesse dell’individuo a non essere processato e sanzionato due volte; dall’altro, l’interesse dello Stato a punire quelle condotte che integrano un reato, in sede penale o un illecito in sede tributaria, a seconda dei casi.[29]
La Corte così valorizza il criterio del “sufficiently close connection in substance and time”, precisando che tale criterio non è soddisfatto nell’ipotesi in cui “one or other of the two elements – substantive or temporal – is lacking”.[30] Ne consegue, dunque, che i due procedimenti devono essere coordinati tra loro sia da un punto di vista sostanziale che temporale, e che graverà sullo Stato convenuto l’onere di provare che l’imposizione di doppie sanzioni imposte da autorità diverse in distinti procedimenti non viola l’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, poiché “closely connected in substance an in time”.[31]
Diversamente, in presenza di due procedimenti “combined in an integrated manner so as to form a coherent whole” perde di rilevanza la verifica se uno dei due procedimenti si sia concluso con una sentenza definitiva, visto che verrebbe a mancare uno dei presupposti applicativi dell’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, ovvero la duplicazione dei procedimenti.
La Grande Camera, infine, precisa che a livello ottimale: “the surest manner of ensuring compliance with Article 4 of Protocol N. 7 is the provision, at some appropriate stage, of a single-track procedure enabling the parallel strands of legal regulation of the activity concerned to be brought together, so that the different needs of the society in responding to the offence can be addressed within the framework of a single process”.[32]
A tal proposito, dunque, essa indica quali sono i fattori in presenza dei quali è possibile sostenere che tra due procedimenti vi sia una “sufficiente connessione sostanziale e temporale”. In primo luogo, i due procedimenti devono perseguire scopi complementari e devono riguardare, in concreto e non in astratto, la stessa condotta. Il doppio procedimento, poi, deve essere una conseguenza prevedibile, “both in law and in practice”, della stessa condotta. Indicativo dell’esistenza di una “sufficiently connection” tra i due procedimenti e che essi proseguano attraverso un’adeguata interazione tra le autorità competenti. Tale interazione deve esplicarsi nell’utilizzo nel secondo procedimento delle prove, degli accertamenti dei fatti e delle dichiarazioni rese nel primo dei procedimenti. Infine, sarà necessario verificare se la sanzione imposta nel procedimento antecedente sia presa in considerazione anche nel secondo procedimento, sì da evitare che il soggetto condannato sopporti un onere eccessivo e, al contempo di garantire che sia sottoposto ad una sanzione complessiva quanto più proporzionale alla condotta posta in essere.
IV. La soluzione del caso di specie
Ricostruite in termini generali le condizioni in presenza delle quali è integrato il divieto del ne bis in idem, la Corte applica i principi sopra esposti al caso di specie.
La Corte ricorda le diverse finalità che l’ordinamento nazionale (norvegese) persegue mediante l’imposizione di sanzioni amministrativo-tributarie, da un lato e di sanzioni penali, dall’altro.[33] Le prime hanno una finalità deterrente e compensativa, al contrario delle sanzioni penali che hanno una finalità tipicamente punitiva.
In ogni caso, il doppio binario sanzionatorio previsto dal sistema norvegese non viola il divieto del bis in idem per due ordini di motivi. Il primo è quello relativo alla possibilità di prevedere di essere sottoposto a due procedimenti diversi con l’applicazione cumulativa di due sanzioni. Il secondo, su cui si fonda l’intera motivazione della sentenza, è dato dall’esistenza di una stretta connessione tra i due procedimenti paralleli a cui erano stati sottoposti i due ricorrenti. Invero, le prove utilizzate, in uno dei due procedimenti, erano state utilizzate anche nell’altro e per quanto concerne la sanzione complessivamente inflitta essa era proporzionale alla condotta constatata poiché ai fini della sua applicazione si era tenuto conto della sanzione fiscale inflitta nell’analogo procedimento.[34]
Per tali ragioni, la Corte ha ritenuto che “whilst different sanctions were imposed by two different authorities in different proceedings, there was nevertheless a sufficiently close connection between them, both in substance and in time, to consider them as forming part of an integral scheme of sanctions under Norwegian law for failure to provide information about certain income on a tax return, with the resulting deficiency in the tax assessment”.[35]
In tale contesto, dunque, non è possibile affermare che il ricorrente sia stato “tried or punished again [...] for an offence for which he had already been finally [...] convicted” in violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU.
V. Conclusioni
Con la sentenza in commento, la Grande Camera ha definitivamente ristretto l’ambito di applicazione del principio del ne bis in idem, atteso che, al di là dei presupposti applicativi enunciati, l’art. 4 del Protocollo n. 7 non risulta violato in tutti quei casi in cui tra i due procedimenti vi sia “a sufficiently close connection, in substance and in time”.
Peraltro, la Corte non ha fornito una definizione precisa e puntuale del “criterio della sufficiente connessione sostanziale e temporale”, limitandosi ad enunciare una serie di indici sintomatici dai quali desumere l’esistenza di una connessione tra i due procedimenti. Non è del tutto errata, dunque, la critica mossa dall’unica posizione dissenziente del giudice Pinto, secondo cui tale criterio sarebbe vago e arbitrario, posto che la presenza stessa, e il contenuto, degli indicatori su cui esso è costruito è rimessa alla discrezionalità dell’interprete.[36] Né emerge dalla sentenza, il carattere disgiuntivo ovvero cumulativo dei vari indicatori enunciati. Circostanza che, indubbiamente, la Corte europea dovrà chiarire.
È incerto, allo stato, se a tale evoluzione giurisprudenziale farà seguito un corrispondente sviluppo della giurisprudenza della Corte di giustizia nell’interpretazione dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Di recente, l’esigenza di una evoluzione, atta a “completare e affinare” la giurisprudenza dell’Unione rispetto al contenuto e ai criteri di applicazione del principio del ne bis in idem è stata sollecitata dall’AG Campos Sanchez-Bordona nelle sue conclusioni nella causa Orsi e Baldetti.[37]
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European Papers, Vol. 2, 2017, No 1, European Forum, Insight of 18 April 2017, pp. 243-250
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/134
* Dottoranda di diritto dell’Unione europea, Dipartimento di giurisprudenza, Università Roma Tre, gcalafiore@uniroma3.it.
[1] Anche nell'ordinamento italiano si è posta la questione della compatibilità con la CEDU del doppio binario sanzionatorio in materia tributaria (per le sanzioni penali si vedano artt. 10 et seq. del d.lgs. n. 74/2000; per quelle tributarie artt. 13 et seq. del d.lgs. n. 471/1997). Sul punto si vedano F. Viganò, Omesso versamento di IVA e diretta applicazione delle norme europee in materia di ne bis in idem?, in Diritto Penale Contemporaneo, 11 luglio 2016, www.penalecontemporaneo.it; M. Dova, Ne bis in idem e reati tributari: a che punto siamo?, in Diritto Penale Contemporaneo, 9 febbraio 2016, www.penalecontemporaneo.it; E. Mengoni, Ne bis in idem in materia tributaria e giurisprudenza sovranazionale: una questione ancora aperta, in Magistratura indipendente, 30 maggio 2016, www.magistraturaindipendente.it. La giurisprudenza italiana, inoltre, ha dubitato della compatibilità del doppio binario in materia tributaria con l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a partire dalla nota sentenza Åkerberg Fransson della Corte di giustizia, (sentenza del 26 febbraio 2013, causa C-617/10, Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson [GC]). Sul punto si vedano F. Viganò, Ne bis in idem e omesso versamento dell’IVA: la parola alla Corte di giustizia, in Diritto Penale Contemporaneo, 28 settembre 2015, www.penalecontemporaneo.it; E. Cannizzaro, Sistemi concorrenti di tutela dei diritti fondamentali e controlimiti costituzionali, in A. Bernardi (a cura di), I controlimiti – Primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali, Napoli: Jovene, 2016, pp. 45-61.
[2] Corte europea dei diritti umani, sentenza del 15 novembre 2016, nn. 24130/11 e 29758/11, A e B c. Norvegia [GC].
[3] Ivi, par. 139.
[4] Ivi, par. 154.
[5] Per quanto concerne la fattispecie di manipolazione del mercato, questa è disciplinata dagli artt. 185 e 187 ter del d.lgs. n. 58/1998 (T.U.F.) che prevedono rispettivamente il delitto di manipolazione del mercato (art. 185) e l’analogo illecito amministrativo (art. 187 ter). Con riferimento alla fattispecie di abuso di informazioni privilegiate, il legislatore nazionale ha previsto un analogo regime agli artt. 184 e 187 bis del T.U.F. che disciplina rispettivamente l’illecito penale e l’illecito amministrativo.
[6] Corte europea dei diritti umani, sentenza del 4 marzo 2014, nn. 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10, Grande Stevens c. Italia [GC].
[7] Corte costituzionale, sentenza del 12 maggio 2016, n. 102.
[8] Corte europea dei diritti umani, sentenza del 20 maggio 2014, n. 11828/11, Nykanen c. Finlandia, par. 47 e 49; Corte europea dei diritti umani, sentenza del 27 novembre 2014, n. 7356/10, Lucky Dev c. Svezia, par. 58.
[9] Corte europea dei diritti umani, sentenza del 13 dicembre 2005, n. 73661/01, Nilsson c. Svezia.
[10] Corte europea dei diritti umani, sentenza del 20 maggio 2014, n. 758/11, Hakka c. Finlandia.
[11] Nykanen, cit., par. 48.
[12] Ivi, par. 49 e 50.
[13] Ivi, par. 50. La Corte europea dei diritti umani, tuttavia, nel caso di specie constatava l’assenza di un coordinamento tra i due procedimenti. Infatti, “neither of the sanctions is taken into consideration by the other court or authority in determining the severity of the sanction”, par. 51. Le diverse autorità avevano proceduto autonomamente sia nell’accertamento del fatto sia nella fase di commisurazione della pena.
[14] Corte europea dei diritti umani, sentenza del 21 ottobre 2014, n. 7362/10, Shibendra Dev c. Svezia.
[15] Tuttavia, la Corte constata che i due procedimenti (tributario e penale) costituiscono duplicazioni sanzionatorie per il medesimo fatto illecito, poiché del tutto autonomi e privi di alcun coordinamento tra loro, Lucky Dev, cit., par. 61.
[16] Corte europea dei diritti umani, sentenza del 10 febbraio 2009, n. 14939/03, Zolotukhin c. Russia [GC].
[17] Grande Stevens c. Italia [GC], cit. In tale sentenza la Corte si è espressa sulla compatibilità con il principio del ne bis in idem del doppio binario sanzionatorio per fatti concernenti manipolazioni del mercato (artt. 185 e 187 ter del d.lgs. n. 58/1998).
[18] A e B [GC], cit., par. 20: “Article 4 of Protocol No. 7 must be understood as prohibiting the prosecution or trial of a second ‘offence’ in so far as it arises from identical facts or facts which are substantially the same. [...] The Court’s inquiry should therefore focus on those facts which constitute a set of concrete factual circumstances involving the same defendant and [are] inextricably linked together in time and space”.
[19] Ivi, par. 106.
[20] Ibidem.
[21] Zolotukhin, cit.
[22] Corte europea dei diritti umani, sentenza dell’8 giugno 2016, n. 5100/71, Engel et al. c. Paesi Bassi.
[23] A e B [GC], cit., par. 107.
[24] Ivi, par. 107 e 133.
[25] Ivi, par. 120.
[26] Ivi, par. 121.
[27] Ivi, par. 122.
[28] Ivi, par. 123.
[29] Ivi, par. 124.
[30] Ivi, par. 125.
[31] Ivi, par. 134.
[32] Ivi, par. 130.
[33] Ivi, par. 144.
[34] Ivi, par. 146.
[35] Ivi, par. 147.
[36] Ivi, par. 46.
[37] Conclusioni dell’AG Campos Sanchez-Bordona presentate il 12 gennaio 2017, cause riunite C-217/15 e C-350/15, Orsi e Baldetti, par. 3. Un’integrazione in tale senso è necessaria, nonostante non rappresenti “l’occasione maggiormente appropriata a tal fine, dato che, in realtà la risposta ad entrambi i rinvii pregiudiziali dipende dall’elemento del principio del ne bis in idem meno problematico, ossia l’identità personale dei soggetti sanzionati”.