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Abstract: In the Bank Refah Kargaran judgment (case C-134/19 P, judgment of 6 October 2020) the Court of Justice adds the action for damages against CFSP decisions to the list of legal remedies available to individuals targeted by EU restrictive measures. After a brief overview of the case, this Insight examines the reasoning of the Court related to the jurisdiction issue, in the context of previous case law (H v. Council; Rosneft), in order to point out the grounds on which the Court expands its competence and interprets Art. 275, para. 2, TFEU. Namely, the broad interpretation of the Court’s jurisdiction in the field relies on the Rule of law and the effective judicial protection principles, rather than on a literal reading of the Treaties. According to the Court, these principles underpin the whole EU legal order, including CFSP, and that’s why the Segi doctrine should be outdated. Against this background, the Insight tries to envisage of the next evolution of judicial control in CFSP, especially in the context of the resumed negotiations for the EU accession to the ECHR.
Keywords: CFSP – restrictive measures – action for damages – rule of law – effective judicial protection – EU accession to the European Convention on Human Rights.
I. Introduzione
Con la sentenza Bank Refah Kargaran c. Consiglio dell’Unione europea, del 6 ottobre 2020,[1] la Corte di giustizia si è trovata per la prima volta ad esprimersi sull’esistenza di una propria competenza a conoscere della domanda di risarcimento danni derivanti dall’adozione di misure restrittive in ambito PESC, segnatamente con riguardo a regimi sanzionatori disposti da decisioni ex art. 29 TUE.[2]
Come noto, l’adozione di tali misure restrittive avviene attraverso due atti congiunti, aventi due basi giuridiche distinte. A monte vi è una decisione PESC, prevista dall’art. 29 TUE, mentre a valle vi è un regolamento del Consiglio, previsto dall’art. 215 TFUE per dare attuazione alle restrizioni di natura economica o finanziaria contenute nella decisione PESC.[3] Per quanto riguarda il regolamento, la giurisdizione della CGUE è piena e comprende quindi anche la competenza a giudicare su ricorsi per risarcimento dei danni;[4] per le decisioni vigono i limiti previsti per gli atti PESC.
È parimenti noto che la disciplina PESC venga considerata lex imperfecta,[5] a causa della mancanza di una competenza generale di scrutinio in capo alla CGUE nel settore. In particolare, l’art. 24, par. 1, TUE esclude la giurisdizione della CGUE sulle disposizioni PESC e sugli atti di diritto derivato adottati sulla loro base (cosiddetto “carve-out”) con l’eccezione del controllo del rispetto dell’art. 40 TUE[6] e “[…] della legittimità delle decisioni che prevedono misure restrittive PESC nei confronti di persone fisiche o giuridiche”, così come precisato dall’art. 275, par. 2, TFUE (cosiddetto “clawback”).[7]
In Bank Refah Kargaran, per la prima volta, la Corte afferma la propria giurisdizione anche con riferimento al ricorso per risarcimento dei danni relativi alle decisioni PESC che dispongono misure restrittive, allargando così la portata della propria competenza in materia. La sentenza si inserisce all’interno di un filone giurisprudenziale recente ed ormai piuttosto consistente, con il quale la Corte ha espanso di volta in volta la propria giurisdizione in ambito PESC, interpretando estensivamente la portata della clausola di “clawback”, come in Rosnfet,[8] o interpretando restrittivamente la portata della clausola di “carve-out”, come nei casi UE-Mauritius, [9] Elitaliana,[10] e H c. Consiglio.[11]
Nella prossima sezione ci si occuperà brevemente della vicenda giudiziaria della ricorrente e della pronuncia sul merito del ricorso, mentre nelle sezioni successive si esaminerà più diffusamente la questione della giurisdizione, soffermandosi sull’argomentazione della Corte, in particolare sul ruolo in essa esercitato dal rispetto dello Stato di diritto, e sulle modalità interpretative delle norme dei Trattati adottate nel suo ragionamento, nel contesto della giurisprudenza menzionata e di quella precedente. Infine, si svolgeranno alcune considerazioni sulla portata della sentenza e sulle prospettive future di questa giurisprudenza, anche in relazione alla ripresa dei negoziati per l’adesione dell’UE alla CEDU.
II. Il caso e la pronuncia sul merito del ricorso
La ricorrente Bank Refah Kargaran è una banca iraniana colpita dalle misure restrittive adottate e mantenute nel contesto del contrasto al programma nucleare iraniano.[12] Nel 2010 la ricorrente è stata inserita negli elenchi dei soggetti colpiti dalle misure restrittive, come presunta finanziatrice del programma nucleare governativo, finché nel 2013 ha ottenuto l’annullamento degli atti di adozione di tali misure, nella parte in cui la riguardavano, per insufficienza di motivazione.[13] A seguito dell’annullamento la banca ha quindi avviato un secondo procedimento, volto ad ottenere il risarcimento del danno da parte dell’UE, per essere stata indebitamente iscritta e mantenuta negli elenchi dei soggetti sanzionati.
Il ricorso arriva quindi al Tribunale,[14] che prima di esprimersi sul merito esamina d’ufficio la questione della giurisdizione. La domanda di ricorso, infatti, non distingue tra il risarcimento del danno derivante dalle decisioni PESC e quello derivante dai regolamenti ex art. 215 TFUE, per cui il Tribunale ritiene opportuno sottolineare tale distinzione e si pronuncia dichiarando l’insussistenza della propria giurisdizione a conoscere della domanda di risarcimento del danno derivante dalle decisioni PESC, alla luce della formulazione delle disposizioni di “carve-out” e di “clawback”.[15]
La questione pregiudiziale di giurisdizione non è però dirimente circa il merito del ricorso e il Tribunale passa dunque a esaminare la domanda di risarcimento del danno derivante dal regolamento, concludendo con il respingimento integrale del ricorso, non essendo soddisfatte le condizioni per la responsabilità extracontrattuale dell’UE.
La sentenza di primo grado viene quindi impugnata e il caso passa alla Corte di giustizia, che si pronuncia in Grande Sezione. La Corte torna ad esaminare d’ufficio la questione relativa alla giurisdizione, poiché la ricorrente non aveva impugnato quella parte della sentenza di primo grado. Come si è detto e come si vedrà meglio di seguito, la Corte si esprime in senso opposto al Tribunale, ritenendo sussistente la propria giurisdizione anche sul risarcimento del danno derivante da decisioni PESC.[16]
Per quanto riguarda la questione di merito, invece, la Corte concorda col Tribunale e respinge l’impugnazione. Entrambi i giudici arrivano alla stessa conclusione e seguono lo stesso ragionamento, partendo da una consolidata giurisprudenza secondo cui l’insufficienza di motivazione di un atto (anche nel caso di atti che dispongono misure restrittive, come nel caso di specie) non è di per sé sufficiente perché si integri una violazione qualificata di una norma preordinata a conferire diritti ai singoli, che a sua volta è requisito necessario affinché possa sorgere responsabilità extracontrattuale in capo all’UE, ex art. 340 TFUE.[17] Sulla base di queste premesse, sia la Corte che il Tribunale procedono quindi a valutare se la ricorrente abbia dedotto un motivo autonomo idoneo a dimostrare l’illeceità nel merito della condotta del Consiglio, concludendo entrambi in senso negativo.
In definitiva, alla luce della sentenza della Corte si può sostenere che per i soggetti colpiti dalle misure restrittive è possibile chiedere ed ottenere il risarcimento del danno sia con riferimento ai regolamenti ex art. 215 TFUE, sia con riferimento alle decisioni PESC, purché si sollevino motivi idonei. Il profilo più interessante della sentenza è, però, quello inerente al ragionamento con cui la Corte è arrivata a estendere la propria competenza, allargando la portata della clausola di “clawback” nel senso appena visto; all’analisi e al commento di tale ragionamento saranno dedicate le sezioni seguenti.
III. La questione della giurisdizione: il ragionamento della Corte
Come si è accennato, sia il Tribunale che la Corte hanno esaminato d’ufficio la questione della competenza a conoscere della domanda di risarcimento del danno derivante da una decisione PESC che adotti misure restrittive nei confronti dei singoli, arrivando a conclusioni opposte. Il Tribunale ha ritenuto insussistente la propria competenza semplicemente rifacendosi al tenore letterale dell’art. 275, par. 2, TFUE;[18] la Corte di giustizia, invece, ha optato per la soluzione opposta.
Secondo la Corte, infatti, è sì vero che la formulazione della norma non sembra includere il ricorso per risarcimento danni tra le competenze residue della CGUE; tuttavia, l’esclusione della giurisdizione in ambito PESC deve essere considerata come “[…] deroga alla regola della competenza generale che l’articolo 19 TUE conferisce alla Corte di giustizia dell’Unione europea per assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati. Di conseguenza, gli articoli 24, paragrafo 1, e 275, primo comma, devono essere interpretati restrittivamente”.[19] Per la Corte, quindi, la clausola di “carve-out” è eccezione al regime generale, mentre la clausola di “clawback” risulta essere eccezione dell’eccezione, e, in quanto tale, la sua portata deve essere interpretata in senso estensivo.
Tale posizione non è ovvia né scontata,[20] ma appare ormai consolidata nel filone giurisprudenziale di cui la sentenza Bank Refah Kargaran rappresenta l’ultimo tassello. L’argomento compare, infatti, per la prima volta nelle parole della Corte in UE-Mauritius,[21] e viene ripreso poi in Elitaliana,[22] H c. Consiglio[23] e Rosneft.[24]
A questo si aggiunge un ulteriore punto, sottolineato dalla Corte, secondo cui “il ricorso per risarcimento danni deve essere valutato alla luce del sistema complessivo di tutela giurisdizionale dei singoli istituito dai Trattati”.[25] A questo riguardo, la Corte specifica che l’Unione è fondata sul valore dello Stato di diritto, il quale è anche principio e obiettivo dell’azione esterna e della PESC, ex artt. 2, 21 e 23 TUE. Inoltre, sempre seguendo il ragionamento della Corte, il valore dello Stato di diritto si manifesta nel caso di specie nelle vesti del principio di tutela giurisdizionale effettiva, garantito come diritto fondamentale dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta): quest’ultimo, infatti, è ritenuto “intrinsec[o] all’esistenza di uno Stato di diritto”.[26]
Alla luce di quanto precede, la Corte afferma la necessità di un’estensione della tutela giurisdizionale. Infatti, se la competenza della CGUE si limitasse ai soli danni derivanti da regolamenti adottati ex art. 215 TFUE senza coprire quelli eventualmente derivanti da decisioni PESC, la tutela giurisdizionale dei singoli colpiti dalle misure restrittive sarebbe incompleta e quindi non effettiva. Tali decisioni, invero, possono produrre un danno autonomo ed ulteriore rispetto a quello derivante dai regolamenti;[27] danno che deve poter essere risarcito dall’UE al pari di quest’ultimo, per un’esigenza di coerenza del sistema di tutela giurisdizionale prevista nell’ordinamento dell’UE.[28]
III.1. Segue: l’approccio della Corte ed il ruolo dello Stato di diritto
Dall’analisi appena svolta, emerge chiaramente che l’argomento decisivo per risolvere la questione della giurisdizione sia quello della coerenza del sistema di tutela giurisdizionale. Esso poggia su due punti, posti alla base del ragionamento della Corte, che quest’ultima considera separatamente. Il primo è quello per cui i limiti della competenza della CGUE devono essere interpretati restrittivamente, sostanzialmente alla luce dell’art. 19 TUE. Il secondo guarda al ruolo svolto dal valore dello Stato di diritto e dal (correlato) principio della tutela giurisdizionale effettiva (art. 47 della Carta).
Questa distinzione che emerge dal discorso della Corte appare in realtà abbastanza fumosa, posto che il regime previsto dall’art. 19 TUE è espressione dello Stato di diritto.[29] Inoltre, questi due punti compaiono appaiati sia in H c. Consiglio che in Rosneft. In H c. Consiglio la Corte considera i due punti come collegati, ma non chiarisce la natura di questo legame logico-giuridico,[30] mentre in Rosneft sembra arrivare a sostenere che l’interpretazione restrittiva sia dovuta proprio all’operare del principio di tutela giurisdizionale effettiva e di quello dello Stato di diritto, di cui il primo è espressione.[31]
In Bank Refah Kargaran, invece, la Corte li mantiene distinti, tanto dal punto di vista logico quanto da quello giuridico. Per la verità, si può rinvenire un approccio simile anche nella giurisprudenza antecedente, poiché, come si è detto, la clausola di “carve-out” è stata interpretata in senso restrittivo già in UE-Mauritius, in cui l’argomento legato allo Stato di diritto nemmeno compare, così come poi anche in Elitaliana. Ad ogni modo, attribuire a questi due punti due significati diversi all’interno del ragionamento in Bank Refah Kargaran sembra maggiormente funzionale alla comprensione del tipo di ragionamento seguito dalla Corte. Il primo punto, basato giuridicamente sul regime generale di giurisdizione della CGUE previsto dall’art. 19 TUE, consente un’interpretazione restrittiva dei limiti alla giurisdizione; il secondo, basato sullo Stato di diritto e sul principio di tutela giurisdizionale effettiva, indica la direzione da intraprendere nell’effettuare questa interpretazione. In questo modo, il punto relativo allo Stato di diritto assume un ruolo autonomo nel discorso.
Dunque, anche se a prima vista questa distinzione può sembrare non del tutto fondata, enfatizzarla aiuta a capire la rilevanza del punto relativo allo Stato di diritto nel permettere alla Corte di arrivare ad affermare l’esistenza della propria competenza. È in questa ottica, infatti, che bisogna considerare l’argomento decisivo della sentenza, cioè quello della coerenza del sistema di tutela giurisdizionale.
Sia in Bank Refah Kargaran che in Rosneft la Corte si concentra sulla portata della clausola di “clawback”, cioè su quali siano i rimedi giurisdizionali davanti alla CGUE a disposizione dei soggetti colpiti dalle misure restrittive, ma in Bank Refah Kargaran il salto interpretativo compiuto dalla Corte per esigenza di coerenza del sistema di tutela giurisdizionale pare più ampio.
In Rosneft si valutava se fosse o meno possibile esperire un rinvio pregiudiziale per chiedere alla CGUE di valutare la validità di una decisione PESC con cui vengono disposte misure restrittive nei confronti dei singoli; la Corte ha concluso in senso affermativo. Per arrivare a questo risultato la Corte ha quindi dovuto procedere ad interpretare l’art. 275, par. 2, TFUE, laddove questo prevede che la Corte sia competente a pronunciarsi sulla legittimità degli atti in questione, secondo le condizioni di cui all’art. 263, par. 4, TFUE. Una volta chiarito che il riferimento all’art. 263 TFUE non limita la competenza della CGUE ai soli ricorsi diretti per annullamento,[32] la Corte ha avuto gioco facile ad interpretare estensivamente la competenza relativa al controllo della legittimità, prevista dalla clausola di “clawback”, come comprensiva anche del controllo indiretto di validità ex art. 267 TFUE. Come ormai chiarito dalla giurisprudenza infatti,[33] il ricorso per annullamento ed il rinvio pregiudiziale per accertamento di validità sono entrambi strumenti del controllo di legittimità degli atti dell’UE. Inoltre, a partire da Foto-frost è chiaro come spetti alla Corte, e non ai giudici nazionali, la facoltà di dichiarare invalidi gli atti dell’UE.[34] Anche in Rosneft, quindi, la Corte arrivava ad ampliare la propria competenza per un’esigenza di coerenza, ma tale coerenza si basava comunque su un elemento testuale e su di una consolidata giurisprudenza. Lo Stato di diritto e l’art. 47 della Carta venivano menzionati dalla Corte solo per motivare l’esigenza di un’interpretazione restrittiva dei propri limiti giurisdizionali.[35]
In Bank Refah Kargaran, invece, sembra mancare l’elemento testuale come base di partenza. La Corte, infatti, non fa leva sul legame tra ricorso per annullamento e ricorso per risarcimento danni, ma anzi si premura di specificare che il secondo è un procedimento autonomo e distinto dal primo, come da risalente giurisprudenza.[36] L’estensione della competenza sul ricorso per risarcimento danni non sembra quindi poter trovare origine nella competenza sul ricorso per legittimità, che è espressamente prevista dalla clausola di “clawback”.[37] La coerenza di cui parla la Corte riguarderebbe piuttosto il parallelismo tra i rimedi giurisdizionali disponibili nei confronti dei regolamenti ex 215 TFUE, tra cui sicuramente il ricorso ex art. 268 TFUE, e quelli disponibili nei confronti delle decisioni PESC.[38] L’esigenza di coerenza sarebbe quindi tale da andare oltre il dato formale inerente alle diverse basi giuridiche dei due atti, secondo un approccio che potrebbe definirsi di natura sostanziale e che permette alla Corte di fare un salto logico e giuridico più ampio di quello fatto in Rosneft.[39] In questo senso, il presupposto su cui basare questo approccio sostanziale appare essere soltanto lo Stato di diritto e il principio di tutela giurisdizionale effettiva,[40] il cui ruolo risulta quindi essere piuttosto enfatizzato,[41] tanto da giustificare un’interpretazione sistematica che non trova fondamento su altri elementi normativi.[42]
III.2. Segue: la scelta interpretativa
Almeno a prima vista, l’interpretazione sistematica sopra descritta sembra essere in contraddizione con una giurisprudenza precedente della Corte. Il riferimento è alle sentenze gemelle nei casi Segi e Gestoras,[43] risalenti al 2007. I casi riguardavano dei ricorsi per risarcimento dei danni da parte di soggetti colpiti da misure restrittive nell’ambito della lotta al terrorismo basco. Tali misure erano state adottate tramite atti (posizioni comuni PESC) che avevano una doppia base giuridica: una nel secondo pilastro ed una nel terzo. La Corte era quindi chiamata a pronunciarsi sull’esistenza di una propria competenza a conoscere di tali ricorsi. Al contrario che in Bank Refah Kargaran, in quella occasione la Corte si attenne al dato testuale del Trattato e ritenne di non avere tale competenza, poiché l’art. 35 TUE, che elencava le competenze della Corte con riferimento agli atti aventi tali basi giuridiche, non prevedeva espressamente quella relativa il ricorso per risarcimento.[44]
Tuttavia, in Bank Refah Kargaran la Corte spiega che la situazione non è comparabile, perché nel frattempo è intervenuto il Trattato di Lisbona. Esso ha cambiato la struttura dei Trattati, dotando l’Unione di una personalità giuridica unica, sancita all’articolo 47 della Carta, e “[…] ha posto fine alla dissociazione operata in precedenza tra la Comunità europea e l’Unione europea. Ciò si è tradotto, in particolare, nell’integrazione delle disposizioni relative alla PESC nell’ambito generale del diritto dell’Unione”.[45] Tutto ciò rende quindi irrilevanti i precedenti in questione e permette alla Corte di operare un’interpretazione sistematica e teleologica che tenga conto dei valori, dei principi e degli obiettivi che informano l’intero ordinamento compresa la PESC, tra cui in particolare lo Stato di diritto.
Questa modalità interpretativa, però, non è l’unica possibile. Un’interpretazione letterale delle disposizioni di “carve-out” e di “clawback” come quella operata dal Tribunale, oltre che in Segi e Gestoras, era già stata proposta dall’AG Wahl nel caso H c. Consiglio,[46] e prima ancora dall’AG Kokott, nella presa di posizione sul parere 2/13.[47] Entrambi gli AG, inoltre, ritengono che un’interpretazione letterale, e quindi restrittiva delle competenze della Corte in ambito PESC, sarebbe maggiormente coerente con le intenzioni di chi ha redatto i Trattati, come emerge anche dai lavori preparatori.[48]
Secondo la giurisprudenza della Corte, tutte queste opzioni interpretative sono astrattamente utilizzabili per interpretare il diritto dell’UE[49]. Nell’esegesi delle norme dei Trattati la Corte è potenzialmente libera di adottare tanto un’interpretazione letterale, quanto un’interpretazione sistematica e teleologica, nonché di avvalersi dei lavori preparatori dei Trattati.[50] La scelta tra le varie opzioni interpretative operata dalla Corte in questa sentenza e in quelle precedenti, quindi, risulta comprensibile proprio in virtù del peso specifico attribuito dalla Corte allo Stato di diritto e ai principi che ne sono espressione,[51] all’interno dell’ordinamento dell’Unione.[52]
IV. Considerazioni conclusive e prospettiche
Alla luce di quanto detto, è possibile svolgere alcune considerazioni conclusive sulla portata della sentenza e sui suoi possibili sviluppi.
In primo luogo, in Bank Refah Kargaran la Corte aggiunge un ulteriore rimedio giurisdizionale tra quelli a disposizione degli individui colpiti da misure restrittive in ambito PESC. Accanto alla tutela giurisdizionale piena relativa ai regolamenti ex art. 215 TFUE ed oltre al ricorso diretto per annullamento delle decisioni PESC, previsto espressamente dai Trattati, con Rosneft si era aggiunta la possibilità di procedere in via pregiudiziale per chiedere alla CGUE una pronuncia circa la validità delle decisioni PESC ex art. 267 TFUE, mentre ora è possibile procedere anche per il risarcimento del danno ex art. 268 del TFUE. Manca ancora all’appello il rinvio pregiudiziale interpretativo, su cui la CGUE non ha avuto occasione di esprimersi[53]. Vero è che il testo della clausola di “clawback” permetterebbe solo i ricorsi per il controllo di legittimità. Tuttavia, se si applicasse lo stesso ragionamento svolto in Rosneft e soprattutto in Bank Refah Kargaran, questo ulteriore salto pare essere alla portata della Corte.[54] In particolare, se si considera l’esigenza di coerenza del sistema di tutela giurisdizionale, il salto logico-giuridico compiuto, l’interpretazione sistematica informata dallo Stato di diritto, l’approccio sostanziale adottato dalla Corte in questa sentenza e più in generale la tendenza giurisprudenziale intrapresa, è verosimile che la lacuna venga colmata dalla CGUE non appena la questione le sia sottoposta.
In secondo luogo, si può dire che con Bank Refah Kargaran viene confermato quell’approccio, che qualcuno ha definito integrazionista,[55] con cui la Corte ha affrontato la questione della portata della propria giurisdizione in ambito PESC, estendendola gradualmente, con conseguente effetto di normalizzazione della PESC, tradizionalmente caratterizzata dalla mancanza di controllo giurisdizionale da parte del giudice di Lussemburgo. Tuttavia, nonostante ciò e nonostante il ragionamento “massimalista” compiuto della Corte in questa sentenza, non pare ravvisarsi un’effettiva lesione dell’equilibrio istituzionale relativo alla PESC, né un’invasione di campo da parte della CGUE ai danni del legislatore e delle Istituzioni più intergovernative, protagoniste in ambito PESC.[56] Quindi, se si è detto che dal punto di vista logico-giuridico il salto compiuto in questa sentenza appare notevole, dal punto di vista concreto esso non è altrettanto rilevante, anche perchè il ricorso per il risarcimento del danno era già comunque disponibile con riguardo ai regolamenti ex art. 215 TFUE. In sostanza, questa sentenza, così come le altre menzionate finora, non arriva a mettere seriamente in discussione il limite alla giurisdizione della CGUE disposto dalla clausola di “carve-out”, né sembra che la direzione intrapresa dalla Corte sia quella. Sebbene un’estensione tout court della competenza della CGUE in ambito PESC risulterebbe positiva dal punto di vista del principio di tutela giurisdizionale effettiva,[57] la Corte stessa riconosce che l’art. 47 della Carta non possa giustificare la creazione di nuove competenze laddove i Trattati lo escludano.[58] Stante l’art. 24, par. 1, TUE, dunque, la Corte non può espandere la propria giurisdizione su atti PESC diversi da quelli che dispongono misure restrittive nei confronti di individui. A questo riguardo, bisogna notare, però, che è stata avanzata l’ipotesi di estendere il concetto di “misura restrittiva” fino ad includervi qualsiasi atto vincolante PESC adottato nei confronti di una persona suscettibile di incidere sui diritti fondamentali. Questa proposta è stata sostenuta in particolare dalla Commissione nel caso del parere 2/13,[59] ed è stata poi ribadita dall’Istituzione anche in H c. Consiglio.[60] In senso contrario si sono invece espressi sia l’AG Kokott che l’AG Wahl[61]. Nel parere 2/13, tuttavia, la Corte non ha contraddetto la Commissione, ma si è limitata ad affermare di non aver ancora avuto occasione di esprimersi sulla portata dei limiti alla propria giurisdizione in ambito PESC,[62] lasciando di fatto in sospeso la questione.[63] Se in futuro la Corte dovesse arrivare a far propria la proposta interpretativa della Commissione, l’impatto sul limite ex art. 24 TUE e sull’equilibrio istituzionale sarebbe in quel caso certamente notevole. Come si è visto, per ora le pronunce in materia non vanno in questo senso. Eppure, l’ampiezza del salto logico-giuridico compiuto in Bank Refah Kargaran è tale, che la via indicata dalla Commissione non può dirsi del tutto preclusa.
Detto ciò, ci si può chiedere infine che significato attribuire a Bank Refah Kargaran e alla giurisprudenza in cui essa si inserisce, nel contesto relativo all’adesione dell’UE alla CEDU.[64] Come è noto, il processo di adesione si è interrotto bruscamente nel 2014 con il parere 2/13, poiché la Corte aveva ritenuto che il progetto di trattato di adesione fosse incompatibile con l’ordinamento dell’UE ed in particolare col principio di autonomia. Tra i motivi che hanno portato la Corte a tale conclusione, ve ne è anche uno inerente alla questione dell’assenza di giurisdizione della CGUE in ambito PESC[65]. La Corte aveva infatti sostenuto che lasciare ad un giudice terzo quale la Corte europea dei diritti dell’uomo la competenza esclusiva sullo scrutinio di determinati atti, come sarebbe accaduto in ambito PESC, fosse incompatibile con il diritto dell’UE.[66] Nonostante ciò, l’art 6, par. 2, TUE è chiaro nel disporre che l’UE aderisca alla CEDU ed infatti a partire da ottobre 2019 sono ripresi i contatti tra l’UE e il Consiglio d’Europa al fine di riavviare i negoziati per l’adesione e a fine settembre 2020 (pochi giorni prima della sentenza in esame) si è tenuto il primo incontro tra le due delegazioni.[67] Stando così le cose, posta la posizione netta della Corte nel parere 2/13 e posto il limite esplicito della clausola di “carve-out”, la questione inerente alla giurisdizione rischierebbe di bloccare nuovamente un nuovo eventuale accordo di adesione (sempre che la Corte sia chiamata nuovamente ad esprimere il suo parere ex art. 218.11 TFUE).[68] La giurisprudenza sopra esaminata non sarebbe infatti di per sé sufficiente a cambiare la situazione, poiché permane la possibilità che la lesione dei diritti fondamentali derivi da atti PESC diversi da quelli sottoposti alla giurisdizione della CGUE. Per superare lo stallo le soluzioni non sono molte.[69] Da un lato, si potrebbero modificare gli artt. 24 TUE e 275 TFUE con una procedura di revisione dei Trattati. L’eventualità che (tutti) gli Stati membri concordino in questo senso risulta, però, piuttosto improbabile.[70] Dall’altro, la Corte potrebbe accogliere l’interpretazione della Commissione ed estendere la portata della propria giurisdizione su tutti gli atti PESC potenzialmente lesivi dei diritti fondamentali, in questo modo evitando la competenza esclusiva della Corte di Strasburgo su di essi. Come si è visto, la giurisprudenza non si è ancora mossa in quel senso, sebbene tale evenienza non possa dirsi del tutto esclusa per il futuro. Ad ogni modo, nel parere 2/13, la Corte è stata tanto assertiva quanto tautologica sul punto inerente alla giurisdizione in ambito PESC e non ha fornito ulteriori spiegazioni sui motivi del contrasto con il diritto dell’UE riscontrato nel parere. In quest’ottica, non si può escludere che, una volta estesa al massimo la propria competenza nei limiti di quanto permesso dalle clausole di “carve-out” e di “clawback” con le sentenze esaminate, la Corte non sia pronta ad assumere una posizione di maggior apertura nei confronti dei colleghi di Strasburgo, in un eventuale futuro prossimo.
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European Papers, Vol. 5, 2020, No 3, European Forum, Insight of 27 January 2021, pp. 1371-1383
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/439
* Dottorando in diritto europeo, Università di Bologna, nicola.bergamaschi2@unibo.it. L’autore è grato alla prof.ssa Sara Poli e a tutti coloro che sono intervenuti nel webinar: “La sentenza Bank Refah Kargaran: l’evoluzione del controllo giurisdizionale sulla PESC” svoltosi il 10 novembre 2020, per gli spunti fornitigli in quella occasione.
[1] Corte di giustizia, sentenza del 6 ottobre 2020, causa C-134/19 P, Bank Refah Kargaran c. Consiglio dell'Unione europea.
[2] P. Van Elsuwege, J.D. Coninck, Action for damages in relation to CFSP decisions pertaining to restrictive measures: A revolutionary move by the Court of Justice in Bank Refah Kargaran?, in EU Law Analysis, 9 ottobre 2020, eulawanalysis.blogspot.com; F. Bestagno, Danni derivanti da misure restrittive in ambito PESC e azioni di responsabilità contro l’UE, in Eurojus, 2020, p. 280 et seq.
[3] In generale, v. S. Poli, Le misure restrittive autonome dell'Unione europea, Napoli: Editoriale Scientifica, 2019.
[4] Per esempio, Corte di giustizia, sentenza del 30 maggio 2017, causa C-45/15 P, Safa Nicu Sepahan Co. c. Consiglio dell'Unione europea; Corte di giustizia, sentenza del 10 settembre 2019, causa C-123/18 P, HTTS Hanseatic Trade Trust & Shipping GmbH c. Consiglio dell'Unione europea.
[5] Conclusioni dell’AG Wahl presentate il 7 aprile 2016, H c. Consiglio, par. 38-40. Cfr. R.A. Wessel, Lex Imperfecta: Law and Integration in European Foreign and Security Policy, in European Papers, 2016, Vol. 1, No 2, www.europeanpapers.eu, p. 439 et seq.; C. Hillion, Decentralised Integration? Fundamental Rights Protection in the EU Common Foreign and Security Policy, in European Papers, 2016, Vol. 1, No 1, www.europeanpapers.eu, p. 55 et seq.
[6] L’articolo prevede una clausola di non interferenza reciproca tra le procedure e la portata delle specifiche competenze attribuite alle Istituzioni in ambito PESC e quelle previste negli altri settori di azione dell’UE. Cfr. P. Koutrakos, Judicial Review in the EU’s Common Foreign and Security Policy, in International & Comparative Law Quarterly, 2018, pp. 5-7.
[7] Cfr. G. Butler, The Coming of Age of the Court’s Jurisdiction in the Common Foreign and Security Policy, in European Constitutional Law Review, 2017, p. 673 et seq.; M. Cremona, “Effective Judicial Review Is of the Essence of the Rule of Law”: Challenging Common Foreign and Security Policy Measures Before the Court of Justice, in European Papers, 2017, Vol. 2, No 2, www.europeanpapers.eu, p. 671 et seq.
[8] Corte di giustizia, sentenza 28 marzo 2017, causa C-72/15, PJSC Rosneft Oil Company, c. Her Majesty's Treasury e altri. Cfr. P. Koutrakos, Judicial Review cit.; M. Gatti, Juridiction de la Cour de Justice sur les Renvois Préjudiciels en Matière de PESC. À Propos de L’arrêt Rosneft de la CJUE, in Annuaire Français de Droit International, 2018, p. 34 et seq.; S. Poli, The Common Foreign Security Policy after Rosneft: Still imperfect but gradually subject to the rule of law, in Common Market Law Review, 2017, p. 1799 et seq.; M. Kuisma, Jurisdiction, Rule of Law, and Unity of EU Law in Rosneft, in Yearbook of European Law, 2018, p. 3 et seq.
[9] Corte di giustizia, sentenza del 24 giugno 2014, causa C‑658/11, Parlamento europeo c. Consiglio dell’Unione europea. Cfr. S. Peers, The CJEU Ensures Basic Democratic and Judicial Accountability of the EU’s Foreign Policy, in EU Law Analysis, 24 giugno 2014, eulawanalysis.blogspot.com.
[10] Corte di giustizia, sentenza del 12 novembre 2015, causa C-439/13 P, Elitaliana SpA c. Eulex Kosovo.
[11] Corte di giustizia, sentenza del 19 luglio 2016, causa C-455/14 P, H c. Consiglio dell'Unione europea e a. Cfr. P. Van Elsuwege, Upholding the Rule of Law in the Common Foreign and Security Policy: H v. Council, in Common Market Law Review, 2017, p. 841 et seq.; S.Ø. Johansen, H. v. Council et Al. – A Minor Expansion of the CJEU’s Jurisdiction Over the CFSP, in European Papers, 2016, Vol. 1, No 3, www.europeanpapers.eu, p. 1297 et seq.
[12] Si tratta di misure restrittive autonome supplementari rispetto a quelle adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla base del Capitolo VII della Carta.
[13] Tribunale, sentenza del 6 settembre 2013, causa T-24/11, Bank Refah Kargaran c. Consiglio dell’Unione europea.
[14] Tribunale, sentenza del 10 dicembre 2018, causa T-552/15, Bank Refah Kargaran c. Consiglio dell’Unione europea.
[15] Ivi, par. 30-32.
[16]Bank Refah Kargaran c. Consiglio dell'Unione europea, C-134/19 P, cit., par. 23-52.
[17] Ivi, par. 59-63; Bank Refah Kargaran c. Consiglio dell'Unione europea, T-552/15, cit., par. 43. La Corte precisa anche che “[…] l’obbligo di motivazione previsto all’articolo 296 TFUE costituisce una formalità sostanziale che deve essere distinta dalla questione della fondatezza della motivazione, la quale attiene alla legittimità nel merito dell’atto controverso”, Bank Refah Kargaran c. Consiglio dell'Unione europea, C-134/19 P, cit., par. 64. Molto chiaro sul punto l’AG Hogan, nelle proprie conclusioni presentate il 28 maggio 2020, causa C‑134/19 P, Bank Refah Kargaran c. Consiglio dell’Unione europea, par. 83-86. Cfr. Bank Refah Kargaran c. Consiglio dell'Unione europea, T-552/15, cit., par. 23-52.
[18] Il Tribunale si limita a richiamare il testo della norma, nel quale si fa riferimento espresso solo al controllo di legittimità delle decisioni da parte della CGUE, e non adduce ulteriori argomentazioni a fondamento della sua conclusione in merito, in Bank Refah Kargaran, T-552/15, cit., par. 30.
[19] Bank Refah Kargaran, cit., par. 32 (corsivo aggiunto).
[20] In senso opposto si è espresso, per esempio, l’AG Kokott, nella sua presa di posizione presentata il 13 giugno 2014, parere 2/13, par. 89. Cfr. P. Koutrakos, Judicial Review cit., pp. 10-11.
[21] Parlamento europeo c. Consiglio dell’Unione europea, cit., par. 70.
[22] Elitaliana SpA, cit., par. 42.
[23] H c. Consiglio, cit., par. 40.
[24] Rosneft, cit., par. 74.
[25] Bank Refah Kargaran, cit., par. 34.
[26] Ivi, par. 35-36. Anche questo argomento compare nei casi precedenti, in particolare in Rosneft, cit., par. 72-73 e in H c. Consiglio, cit., par. 41. In casi più risalenti, la Corte ha affrontato più nel dettaglio la portata del principio di tutela giurisdizionale effettiva come espressione di una Comunità (o Unione) di diritto; cfr. Corte di giustizia, sentenza del 23 aprile 1986, causa 294/83, Parti écologiste “Les Verts” c. Parlamento europeo, par. 23.
[27] Bank Refah Kargaran, C-134/19 P, cit., par. 41-42.
[28] Ivi, par. 39.
[29] Corte di giustizia, sentenza del 27 febbraio 2018, causa C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses c. Tribunal de Contas, par. 32.
[30] H c. Consiglio, cit., par. 40-41.
[31] Rosneft, cit., par. 72-74. Secondo Bestagno, il ragionamento seguito in Rosneft risulterebbe essere il più accurato, in F. Bestagno, Danni derivanti da misure restrittive, cit., pp. 284-285.
[32] Rosneft, cit., par. 70.
[33] Corte di giustizia, sentenza del 3 ottobre 2013, causa C‑583/11 P, Inuit Tapiriit Kanatami e altri c. Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea, par. 95.
[34] Corte di giustizia, sentenza del 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto-Frost c. Hauptzollamt Lübeck-Ost, par. 17. Sull’importanza del dialogo tra corti tramite il rinvio pregiudiziale, v. Corte di giustizia, parere 1/09 dell’8 marzo 2011, par. 83-85, e Corte di giustizia, parere 2/13 del 18 dicembre 2014, par. 176.
[35] I commenti rivolti alla sentenza non contestano la coerenza del ragionamento o il ruolo dello Stato di diritto in astratto, quanto piuttosto l’effettiva necessità di sottoporre la questione di validità alla Corte per meglio tutelare il principio ex art. 47 della Carta, laddove vi è già un controllo giurisdizionale da parte dei giudici nazionali. Sul punto, v. P. Koutrakos, Judicial Review, cit., pp. 27-35. In senso opposto, v. S. Poli, The Common Foreign Security Policy after Rosneft, cit., p. 1822.
[36] Bank Refah Kargaran, C-134/19 P, cit., par. 33.
[37] In realtà, la competenza sul ricorso di legittimità resta un presupposto indispensabile, visto che se non ci fosse non si potrebbe parlare nemmeno di competenza sul ricorso per risarcimento danni. Ad ogni modo, la Corte non insiste su questo punto.
[38] Conclusioni dell’AG Hogan, Bank Refah Kargaran c. Consiglio dell’Unione europea, cit., par. 63.
[39] In questo senso, v. anche P. Van Elsuwege, J.D. Coninck, Action for damages, cit. Un approccio di natura sostanziale potrebbe ravvisarsi anche in H c. Consiglio, laddove la Corte ha ritenuto che l’atto impugnato fosse un atto di gestione del personale, ancorché qualificabile formalmente come atto PESC, sottraendolo pertanto alla portata della clausola di “carve-out”, in H c. Consiglio, cit., par. 54-59. Tale approccio è, però, mitigato, poiché la Corte espande la propria competenza anche alla luce del fatto che essa sarebbe stata in ogni caso competente, se il soggetto fosse stato distaccato dall’UE e non da uno Stato membro. La Competenza della CGUE si estendeva già su tali atti; si trattava di includervi quelli relativi al personale distaccato dagli Stati membri. Ivi, par. 55.
[40]Sullo sfondo si pone il principio della completezza dei rimedi giuridici predisposti dai Trattati; cfr. Les Verts, cit., par. 23. Tuttavia, anch’esso può considerarsi espressione dello Stato di diritto. Cfr C. Eckes, Common foreign and security policy: The consequences of the Court’s extended jurisdiction, in European Law Journal, 2016, p. 508-510. Sui limiti alla portata del principio, v. Corte di giustizia, sentenza del 25 luglio 2002, causa C-50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores c. Consiglio dell'Unione europea, par. 44.
[41] È appena il caso di ricordare la rilevanza crescente assunta dallo Stato di diritto nell’azione delle Istituzioni sovranazionali e nel dibattito politico attuale. In particolare, con riguardo alla giurisprudenza della Corte, lo Stato di diritto ha assunto un rilievo centrale nel contrasto a possibili violazioni dell’art. 2 TUE (v., per tutte, Corte di giustizia, sentenza del 24 giugno 2019, causa C‑619/18, Commissione europea c. Repubblica di Polonia e Associação Sindical dos Juízes Portugueses, cit.). In dottrina, cfr. P. Van Elsuwege, F. Gremmelprez, Protecting the Rule of Law in the EU Legal Order: A Constitutional Role for the Court of Justice, in European Constitutional Law Review, 2020, p. 8 et seq.; K. Lenaerts, The Rule of Law and the Coherence of the Judicial System of the European Union, in Common Market Law Review, 2007, Vol. 44, p. 1625 et seq.
[42] Un’interpretazione che l’AG Kokott aveva considerato praeter legem, nella propria presa di posizione sul parere 2/13, cit., par. 92.
[43] Corte di giustizia, sentenza del 27 febbraio 2007, causa C-355/04 P, Segi, Araitz Zubimendi Izaga e Aritza Galarraga c. Consiglio dell’Unione europea; Corte di giustizia, sentenza del 27 febbraio 2007, causa C-354/04 P, Gestoras Pro Amnistía e a. c. Consiglio dell’Unione europea.
[44] Ivi, par. 45-47.
[45] Bank Refah Kargaran, C-134/19 P, cit., par. 47.
[46] H c. Consiglio, cit., par. 66.
[47] Conclusioni dell’AG Kokott, parere 2/13, cit., par. 89.
[48] Ibidem; cfr. conclusioni dell’AG Wahl, H c. Consiglio, cit., par. 49.
[49] Corte di giustizia, sentenza del 10 dicembre 2018, causa C-621/18, Andy Wightman e a. c. Secretary of State for Exiting the European Union, par. 47.
[50] Per esempio, Corte di Giustizia, sentenza del 27 novembre 2012, causa C‑370/12, Thomas Pringle c. Governement of Ireland e altri, par. 133-135.
[51] Cfr. conclusioni dell’AG Mancini del 4 dicembre 1985, causa 294/83, Parti écologiste “Les Verts” c. Parlamento europeo, punto1350; sul punto. v. C. Eckes, Common foreign and security policy, cit., p. 508. Sull’importanza attribuita dalla Corte a determinati principi, v. M. Gatti, Juridiction de la Cour, cit., p. 41.
[52] Supra, nota 32.
[53] S. Poli, The Common Foreign Security Policy after Rosneft, cit., p. 1828. A dire il vero, anche il ricorso in carenza non è stato oggetto di prese di posizione.
[54] In questo senso anche conclusioni dell’AG Whatelet presentate il 31 maggio 2016, causa C-72/15, PJSC Rosneft Oil Company, c. Her Majesty's Treasury e altri, par. 73-76. Cfr. S. Poli, The Common Foreign Security Policy after Rosneft, cit., p. 1829.
[55] In senso critico, v. P. Koutrakos, Judicial Review, cit. Sugli effetti positivi di un maggior coinvolgimento della CGUE in ambito PESC per l’assetto costituzionale dell’UE, v. C. Eckes, Common foreign and security policy, cit.
[56] Secondo alcuni commentatori, lo stesso varrebbe anche in Rosneft; cfr. P. Van Elsuwege, Judicial Review of the EU’s Common Foreign and Security Policy: Lessons from the Rosneft case, in Verfassungsblog, 6 aprile 2017, verfassungsblog.de. In senso opposto, v. L. Lonardo, Law and Foreign Policy Before the Court: Some Hidden Perils of Rosneft, in European Papers, 2018, Vol. 3, No 2, www.europeanpapers.eu, p. 547 et seq., p. 555. Ad ogni modo, diversamente da Rosneft, in Bank Refah Kargaran l’estensione delle competenze della Corte sembra essere genuinamente guidata dall’esigenza di garantire una miglior tutela degli individui ex art. 47 della Carta.
[57] Vi è chi ritiene che la tutela giurisdizionale offerta dai giudici degli Stati membri renda non necessaria un’ulteriore espansione delle competenze della CGUE; cfr. presa di posizione dell’AG Kokott, parere 2/13, cit., par. 95-103. Si v. anche supra, nota 33.
[58] Rosneft, cit., par. 74.
[59] Parere 2/13, cit., par. 99-100. V. anche Hillion, Decentralised Integration?, cit., p. 60.
[60] H c. Consiglio, cit., par. 33.
[61] Presa di posizione dell’AG Kokott, parere 2/13, cit., par. 89-91; Conclusioni dell’AG Wahl, H c. Consiglio, cit., par. 66.
[62] Parere 2/13, cit., par. 251.
[63] In H c. Consiglio, invece, la Corte ha esteso la propria competenza senza arrivare a esprimersi sull’interpretazione proposta dalla Commissione.
[64] Cfr. P. Van Elsuwege, J.D. Coninck, Action for damages, cit. Sul tema, più in generale, v. G. Butler, The Ultimate Stumbling Block? The Common Foreign and Security Policy, and Accession of the European Union to the European Convention on Human Rights, in Dublin University Law Journal, 2016, p. 229 et seq.
[65] Cfr., ex multis, D. Halberstam, It's the Autonomy, Stupid: A Modest Defense of Opinion 2/13 on EU Accession to the ECHR, and the Way Forward, in German Law Journal, vol. 16, no. 1, 2015, pp. 137-144, T. Lock, The future of the European Union’s accession to the European Convention on Human Rights after Opinion 2/13: is it still possible and is it still desirable?, in European Constitutional Law Review, vol. 11, 2015, pp. 263-267.
[66] Parere 2/13, cit., par. 256.
[67] Council of Europe, EU accession to the ECHR, www.coe.int.
[68] S. Poli, The Common Foreign Security Policy after Rosneft, cit., p. 1816.
[69] Un’esclusione della PESC dalla giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo pare essere giuridicamente impedita dal divieto di riserve generali previsto dall’art. 57, par. 1, della CEDU. Cfr. presa di posizione dell’AG Kokott, parere 2/13, cit., par. 83.
[70] P. Van Elsuwege, EU External Action after the Collapse of The Pillar Structure: in Search of a New Balance Between Delimitation and Consistency, in Common Market Law Review, 2010, p. 1001.