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Keywords: democrazia partecipativa – Unione europea – cittadinanza europea – iniziativa dei cittadini europei – Regolamento (UE) n. 211/2011.
Il Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) si è pronunciato sul diniego di registrazione dell’iniziativa dei cittadini europei (ICE) “Un milione di firme per un’Europa della solidarietà”,[1] rigettando il ricorso del cittadino greco Anagnostakis, uno dei promotori della proposta. Il ricorrente domandava l’annullamento della decisione della Commissione europea in cui si stabiliva che “l’oggetto dell’ICE esula manifestamente dalle competenze dell’istituzione di presentare una proposta di atto legislativo ai fini dell’attuazione dei trattati”,[2] condizione prevista dall’art. 4, par. 2, lett. b), del regolamento (UE) 211/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio. Scopo dell’ICE era riconoscere il principio dello “stato di necessità”, in base al quale ogni paese membro deterrebbe la libertà di cancellare il proprio debito pubblico nelle situazioni in cui il pagamento costituisca una grave minaccia alle sue fondamenta economiche e politiche.
La soluzione del caso appare scontata per la mancanza di fondamento della pretesa, ma la sentenza merita attenzione per due profili.
Anzitutto il Tribunale chiarisce come il richiamo a specifiche disposizioni dei Trattati e l’esposizione chiara del nesso tra queste e il potere d’iniziativa della Commissione siano requisiti imprescindibili per l’ammissibilità della proposta (par. 31). La sentenza contribuisce, così, a colmare una lacuna normativa, istruendo i cittadini circa i requisiti fondamentali richiesti per la registrazione delle iniziative. Infatti, l’allegato II al regolamento n. 211/2011 prevede che la proposta di iniziativa contenga l’indicazione delle disposizioni dei Trattati pertinenti, ma non sanziona l’assenza di tali indicazioni con la previsione della sua inammissibilità.
In secondo luogo, il Tribunale adotta una interpretazione restrittiva dell’art. 4 del regolamento n. 211/2011; sembra così escludere la facoltà della Commissione di utilizzare basi giuridiche ulteriori rispetto a quelle indicate dai promotori o di rimodellare il contenuto delle proposte, ‘forzando’ il loro inserimento nel potere di iniziativa. Ne potrebbe derivare il sacrificio di un eventuale dialogo verticale, utile ad avvicinare le istituzioni europee ai cittadini.
L’esigenza di una maggiore flessibilità nel giudizio di ammissibilità delle proposte emerge anche nella risoluzione 2257/2014 del Parlamento europeo sull’iniziativa dei cittadini europei del 28 ottobre 2015. Al punto 16, infatti, la Commissione viene invitata a valutare se registrare solo parte di un’iniziativa e ad informare il Parlamento europeo della sua decisione. Un maggiore coinvolgimento dell’organo rappresentativo dei cittadini, in effetti, potrebbe contribuire a mitigare la discrezionalità nella fase di ammissione della proposta. Il Parlamento, inoltre, potrebbe farsi portavoce dei cittadini e proporre, a sua volta, un atto legislativo che rispecchi gli obiettivi dell’ICE nei casi in cui questa venga rigettata o non attuata. La sua azione si integrerebbe con quella dei cittadini, con il risultato di una virtuosa combinazione tra democrazia rappresentativa e partecipativa.[3]
In merito alla discrezionalità della Commissione in sede di ammissione della proposta, va segnalato un rischio: la verifica della sussistenza dei requisiti di registrazione non dovrebbe sfociare in un giudizio politico sull’opportunità di dare seguito legislativo all’atto. Ad un’ICE, cioè, non dovrebbe essere negata la registrazione in ragione della difficoltà della sua traduzione in una azione legislativa; in questo caso, infatti, il giudizio previsto dall’art. 10, par. 1, lett. c), del regolamento 211/2011[4] risulterebbe anticipato, con conseguente compressione dello spazio di dibattito pubblico sovranazionale che l’ICE intende contribuire a creare.
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European Papers, Vol. 1, 2016, No 1, European Forum, Highlight of 16 April 2016, pp. 357-358
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/37
* Dottoranda in Scienze giuridiche, Università di Macerata, m.celestepetrini@gmail.com.
[1] Tribunale, sentenza del 30 settembre 2015, causa T-450/12, Anagnostakis v. Commissione.
[2] Decisione C(2012) 6289 final del 6 settembre 2012 della Commissione europea.
[3] N. Rodean, La resa dei conti: il primo triennio dell’European bottom-up right, in Federalismi.it, n. 18, 2015.
[4] Art. 10, par. 1, lett. c), del regolamento 211/2011: “Entro tre mesi, espone in una comunicazione le sue conclusioni giuridiche e politiche riguardo all’iniziativa dei cittadini, l’eventuale azione che intende intraprendere e i suoi motivi per agire o meno in tal senso.”