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Abstract: International press titled: “Schengen, one of the pillars of the EU, is dead”. The European Commission establish a roadmap to “come back to Schengen”. Between national concerns about the arrival of thousands of migrants, and national fear of being left alone in managing the crisis, this Insight aims to provide an analysis of the crisis and of its legal consequences, highlighting the current conceptual inadequacy of the European response (the border package of the Commission last December) to both crises (endogenous and exogenous) present in the system.
Keywords: borders – security – controls – solidarity – vulnerability – Frontex.
I. Prologo
L’Unione europea, con la previsione tra i suoi obiettivi statutari della creazione del mercato interno e di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ha contribuito in maniera significativa e irrinunciabile alla porosità delle frontiere nazionali. Nonostante infatti, come ribadisce l’art. 72 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna restino responsabilità incombente sugli Stati membri, l’Unione europea ha sviluppato una politica (non comune) volta ad eliminare i controlli alle frontiere interne tra gli Stati membri e a garantire la sorveglianza dell’attraversamento della frontiera esterna comune attraverso l’elaborazione del concetto di sistema integrato di gestione delle frontiere esterne.[1] Detto concetto è stato alla base, sin dalla conclusione del Trattato di Schengen nel 1985, degli strumenti legislativi e politici adottati con l’obiettivo di creare regole comuni (Codice frontiere Schengen e atti modificativi), nonché dell’elaborazione di pratiche comuni (Frontex, Meccanismo di Valutazione di Schengen) e di strumenti comuni (SIS II, VIS, Eurosur) oltre a misure di cooperazione con i Paesi terzi di origine e transito (accordi di riammissione e politiche di vicinato), via via crescenti a seguito del processo di allargamento, prima, e delle pressioni migratorie forzate e attacchi terroristici, poi. Tale incremento è culminato lo scorso 15 dicembre 2015 nell’adozione da parte della Commissione di un pacchetto completo di misure volte a garantire le frontiere esterne dell’Unione europea (UE), una più efficace gestione dei flussi migratori e la corretta gestione delle crisi al confine attraverso: una revisione del Codice Schengen, l’introduzione di un nuovo documento uniforme per gli stranieri destinatari di una decisione di rimpatrio e, soprattutto, la creazione di una guardia costiera e di frontiera europea; idea, quest’ultima, non nuova ma risalente all’iniziativa italo-tedesca del 2001 volta ad istituire una polizia di frontiera europea, accantonata nelle conclusioni del Consiglio europeo di Laeken,[2] e nella versione finale del Regolamento istitutivo dell’Agenzia Frontex[3] in ottica compromissoria rispetto alle obiezioni di Regno Unito e Paesi scandinavi.[4]
II. Parodo: il leitmotiv 'istituzionale' della crisi al confine
La ratio, alla base del pacchetto di dicembre scorso in una prospettiva di ‘discourse analysis’, pare ritrovarsi nella prospettazione del fenomeno migratorio in termini di “crisi” al confine. Infatti, le tragedie susseguitesi nel Mediterraneo ed il fenomeno migratorio (dall’Africa, come dalla Siria) nei documenti programmatici della Commissione,[5] del Consiglio europeo[6] e del Parlamento europeo[7] vengono proposti in chiave di crisi dei rifugiati. Una crisi incrementata dall’inefficacia del meccanismo di cui l’UE si è dotata per l’individuazione dello Stato competente ad esaminare le domande di asilo: la responsabilità per l’esame della domanda è infatti dislocata alle frontiere esterne dell’Europa, dunque su alcuni degli Stati che risultano peggio equipaggiati per gestire questo onere aggiuntivo (Grecia, Malta, Italia e Ungheria).[8]
Una lettura in termini di crisi, quella della pressione migratoria sull’Europa, che si è accompagnata, nell’Agenda della Commissione per le migrazioni di maggio 2015, nonché nelle conclusioni del Consiglio dei ministri del 9 novembre 2015,[9] alla scelta di risposte “immediate” anch’esse nate in crisi: l’“approccio hotspot” e gli “schemi di ricollocazione”. L’approccio hotspot si presenta come un’iniziativa per “aiutare” le sezioni di frontiera esterna caratterizzate da una “pressione migratoria specifica e sproporzionata” causata da flussi migratori misti “a identificare, registrare e rilevare rapidamente le impronte digitali dei migranti in arrivo”, nonché come “sostegno globale e mirato da parte delle agenzie comunitarie agli Stati in prima linea”. Chi presenterà domanda di asilo sarà immediatamente immesso in una procedura di asilo cui contribuiranno le squadre di sostegno dello European Asylum Support Office (EASO) trattando le domande quanto più̀ rapidamente possibile. Per chi invece non necessita di protezione, è previsto che Frontex aiuti gli Stati membri coordinando il rimpatrio dei migranti irregolari. Europol ed Eurojust assisteranno lo Stato membro ospitante con indagini volte a smantellare le reti della tratta e del traffico di migranti.
La scelta complementare di un meccanismo temporaneo per la distribuzione delle persone con evidente bisogno di protezione internazionale è tale per cui una partecipazione equa ed equilibrata di tutti gli Stati membri allo sforzo comune dovrebbe essere garantita. Sinora, tuttavia, solo cattivi[10] o millesimati risultati sono stati prodotti;[11] come pure il meccanismo di ricollocazione è stato oggetto di contestazione giudiziaria davanti alla Corte di giustizia dell’Unione quanto alla sua legittimità.[12] E la crisi di tali scelte potrebbe trasformarsi da attuale a sistematica se, come pare da una prima proposta della Commissione,[13] tale meccanismo di ricollocazione dovesse divenire obbligatorio e di attivazione automatica in caso di afflusso massiccio sul territorio europeo.
III. Episodi: elementi (statali e istituzionali) rivelatori di un confine a sua volta ‘in crisi’
Se alla crisi al confine di cui si è detto si somma: la recente minaccia di reintroduzione dei controlli alla frontiera interna austriaca (Brennero); la reintroduzione dei controlli già messa in atto da Francia, Germania, Danimarca, Svezia, Austria, Ungheria, Slovenia; i rifiuti di ingresso opposti dalla Germania sulla base dell’inapplicabilità del regolamento Dublino III in assenza di una domanda d'asilo;[14] i piani di rinvio fino a 80.000 migranti la cui richiesta di asilo fosse stata respinta da parte della Svezia; ovvero l’intensificazione e sistematizzazione dei controlli interni alla frontiera da parte dell’Olanda; consegue un confine (statale ed europeo) in crisi?
Lo stesso Codice delle frontiere Schengen istituisce la possibilità di un ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne a determinate condizioni, ovvero lo svolgimento di controlli interni alle frontiere (precisati nei rispettivi contorni dalla giurisprudenza interpretativa dell’art. 21 del Codice dalla stessa Corte di giustizia).[15] E il Codice lo ha previsto proprio in risposta alla ‘prima crisi’ del confine europeo nel 2011 quando la Francia reintroduceva controlli alla sua frontiera a seguito del rilascio da parte del governo italiano di permessi di soggiorno temporaneo ai cittadini appartenenti a Paesi del Nord Africa affluiti nel territorio nazionale dal 1° gennaio 2011 alla mezzanotte del 5 aprile 2011 (data dell’accordo italiano con la Tunisia). Tale permesso consentiva appunto all’interessato, titolare di un documento di viaggio, la libera circolazione nei Paesi dell’Unione europea per sei mesi (e non tre) conformemente alle previsioni della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1995.[16]
Ora, la risposta istituzionale culminata nella revisione del 2013 del codice Schengen connota la possibilità di ristabilire temporaneamente i controlli alle frontiere interne in caso di difficoltà eccezionali nella gestione delle frontiere esterne comuni in termini di extrema ratio e inasprisce le norme procedurali volte a prevenire abusi nel diritto alla reintroduzione temporanea dei controlli.[17]
La prassi attuale potrebbe, ciò non di meno, essere indicativa di un confine in crisi se si considerano due elementi interpretativi. Da un lato, la potenzialità di un uso distorsivo dei controlli interni alla frontiera (ai sensi della giurisprudenza Adil)[18] che si accompagni ad una deludente attitudine della Commissione rispetto alla definizione dei criteri guida della necessità e proporzionalità nell’estensione a ripetizione dei controlli alle frontiere interne. La Commissione, infatti, nell’opera di vigilanza sulle prassi tedesca ed austriaca di introduzione di procedure più strutturate in termini di registrazione, ha proceduto ad una valutazione solo marginale degli argomenti difensivi dei governi nazionali. In particolare, la Commissione ha accettato de plano che un afflusso incontrollato di un eccezionalmente grande numero di persone senza documenti (o non registrate), unitamente all’ipotesi che tra i bona fide richiedenti asilo avrebbero potuto adombrarsi degli estremisti con un conseguente rischio legato alle minacce terroristiche, costituissero una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza interna tale da rendere necessaria la reintroduzione dei controlli interni.
D’altro lato, essendo i controlli (alle frontiere esterne) una delle componenti essenziali della politica comune di gestione di tali frontiere (dal momento che sono condotti anche nell’interesse degli Stati che hanno abolito il controllo alle frontiere interne), il mancato controllo delle frontiere esterne ben potrebbe rilevare di per sé quale motivo autonomo di ordine pubblico che giustifica il ripristino di controlli interni. Come tale, la percezione di un confine istituzionalmente in crisi discenderebbe dalla riconosciuta inidoneità della tenuta della frontiera esterna per mancata sorveglianza e insufficiente registrazione ed identificazione di migranti irregolari che innescherebbero movimenti secondari inaccettabili, tali da determinare la reintroduzione dei controlli alle frontiere interne. In particolare, la ravvisata inidoneità della tenuta della frontiera esterna potrebbe condurre la Commissione a presentare una proposta ex art. 26, par. 2 del Codice delle frontiere Schengen[19] e, nella formulazione (punto 4) della raccomandazione del Consiglio del 1° dicembre, andare oltre il dettato normativo (che lo prevede solo in caso di eccezionalità di non tenuta dell’intero spazio Schengen)[20] e legittimare un prolungamento diretto già al massimo di due anni del ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne da parte di diversi Stati.
IV. Stasimi: il rovesciamento concettuale nel ‘pacchetto frontiere’ dei tre argomenti fondanti: vulnerabilità, solidarietà e libertà
Così come le risposte immediate alla crisi al confine, anche la proposta di soluzione ‘a lungo termine’ della crisi avanzata dalla Commissione a dicembre con il suo pacchetto frontiere si conferma nella direzione di un confine in crisi. A rivelarlo pare essenzialmente la concettualizzazione degli elementi e principi posti alla base della normativa ‘in costruzione’: vulnerabilità, solidarietà e libertà.
IV.1 Primo rovesciamento concettuale: l’argomento della vulnerabilità
La proposta di regolamento per la trasformazione dell’Agenzia Frontex in una Guardia costiera e guardia di frontiera europea mira, innanzitutto, al necessario completamento di quel meccanismo di valutazione Schengen che, allo scopo di mantenere la fiducia reciproca tra gli Stati membri, prevede una valutazione tecnica e giuridica destinata a verificare la corretta applicazione dell’acquis di Schengen e le condizioni necessarie per l’abolizione dei controlli alle frontiere interne. Sebbene sia fatta salva la possibilità di richiedere ed adottare le misure di cui agli art. 19 bis e 26 del Codice Schengen, la proposta di regolamento della Commissione mira ad istituire delle valutazioni regolari ed obbligatorie della vulnerabilità nel controllo della frontiera esterna da parte di uno o più Stati, tramite funzionari di collegamento distaccati negli Stati membri con frontiere a rischio, con pieno accesso ai sistemi di informazione nazionali e ritrasmissione delle informazioni all’Agenzia. In caso di rilevata inidoneità dello Stato a garantire il controllo della porzione di frontiera in questione, anche rispetto a future e potenziali situazioni di ingente pressione migratoria, a mo’ di misura preventiva del raggiungimento di una situazione di crisi, all’Agenzia sarebbe attribuito un potere impositivo di un’azione correttiva; ovvero, quale extrema ratio, e per il tramite di un potere centralizzato in capo alla Commissione, una distribuzione delle squadre nella sua disponibilità sul territorio, anche in mancanza di una richiesta di assistenza da parte dello Stato membro interessato o se tale Stato membro ritenga non necessario alcun intervento.[21]
La scelta di un’applicazione della nozione di vulnerabilità allo Stato risulta da un punto di vista semantico concettuale infelice se si considera, da un lato, come ciò si ponga in contrasto con l’emergere di una nozione di vulnerabilità nella giurisprudenza internazionale quale criterio interpretativo volto alla costruzione di obbligazioni positive supplementari in capo agli Stati a favore di un’uguaglianza sostanziale, o di una protezione specifica. Nello specifico, proprio quello Stato che si qualifica come vulnerabile sarebbe il generatore di forme circostanziali di vulnerabilità tra cui, oltre quella della detenzione e dell’indigenza,[22] proprio quella derivante della privazione dello status di migrante che ne determina la privazione altresì di ogni forma di protezione. Inoltre, alla frontiera dello Stato vulnerabile si trovano anche quei richiedenti asilo qualificati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo quale ‘gruppo vulnerabile’,[23] col conseguente abbassamento della soglia di gravità per la riscontrabilità di una violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) relativamente alle condizioni di detenzione, ovvero alle condizioni di vita nello Stato di accoglienza, ovvero ai motivi di espulsione. Tenuto conto che la giurisprudenza della Corte di giustizia – a differenza, per il momento, dal legislatore europeo nella direttiva accoglienza – ha invece accuratamente evitato ogni ragionamento esplicitamente fondato sulla vulnerabilità (come invece proposto in un’occasione dall’Avvocato generale Bot)[24] pur sottintendendola nelle pronunce in cui una vulnerabilità multipla ed aggravata (segnatamente quella dei minori) ha imposto ragionamenti derogatori,[25] che tipo di conseguenze potrebbe produrre una qualificazione dello Stato di frontiera come vulnerabile? Potrebbe ad esempio favorire la Corte di giustizia, in una futura opera ermeneutica di diritti confliggenti (libertà/sicurezza), ad eventualmente optare per una concezione Stato orientata della nozione di vulnerabilità con conseguenze meno favorevoli rispetto all’ampiezza della protezione dell’individuo?
IV.2 Secondo rovesciamento concettuale: la solidarietà
Il secondo rovesciamento concettuale compiuto dalla proposta della Commissione attiene al fondamento primario dell’intero pacchetto frontiere, e cioè la condivisione delle responsabilità tra gli Stati membri (ma anche rispetto ai Paesi terzi di origine e transito dei migranti e richiedenti asilo) quale espressione più concreta del principio di solidarietà di cui all’art. 80 TFUE.[26] Anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad una nozione di solidarietà Stato-centrica che, criticabilmente, fonda ed ancora la condivisione di costi e sforzi nel controllo della frontiera esterna.
In particolare, la proposta di un ampliamento del mandato di Frontex in termini di solidarietà obbligatoria mirerebbe a superare le inefficienze dell’attuale solidarietà su base volontaria della messa a disposizione da parte degli Stati di corpi di guardie per l’Agenzia, cui spetta un potere essenzialmente di coordinamento delle autorità nazionali nel controllo e nella sorveglianza delle frontiere. Ora, nonostante una solidarietà obbligatoria generalizzata non esista allo stato corrente, la sua necessità (e conseguentemente anche l’innovatività della proposta sul punto) pare da ridimensionare se si considera che già le attuali operazioni di Frontex sono per lo più pianificate sulla base di analisi dei rischi condotta dalla Divisione operativa, e non sulle considerazioni di Stati membri. D’altro lato, un parziale meccanismo di solidarietà obbligatoria era già stato introdotto con la riforma del 2011 tale per cui gli Stati membri sono obbligati a contribuire risorse e personale per le missioni Rapid border intervention teams (RABIT), che rispondono appunto a situazioni di sollecitazioni urgenti ed eccezionali, specie in caso di afflusso massiccio alle frontiere esterne di cittadini di Paesi terzi che tentino di entrare illegalmente nel territorio di tale Stato membro. In tali situazioni l’Agenzia è legittimata ad inviare, su richiesta degli Stati e per un periodo limitato, una o più squadre europee di guardie di frontiera nel territorio dello Stato membro richiedente per la durata necessaria.
Desta inoltre forti perplessità l’elemento maggiore di innovazione a corredo della solidarietà obbligatoria e cioè l’attribuzione, in situazioni urgenti che mettano a rischio il funzionamento dello spazio Schengen e laddove le carenze non siano risolte, di un potere centralizzato in capo alla Commissione dell’avvio della distribuzione delle squadre della guardia costiera e guardia di frontiera europea sul territorio nazionale, anche in mancanza di una richiesta di assistenza da parte dello Stato membro interessato o se tale Stato membro ritiene che non siano necessari interventi supplementari. Le perplessità nascono, da un lato, relativamente ad un’accettabilità concreta da parte degli Stati della proposta di regolamento per questa parte, e dall’altra, relativamente ad un problema della sua compatibilità con il diritto primario, in particolare, con il combinato disposto dell’art. 72 TFUE secondo cui il Titolo V del TFUE “non osta all’esercizio delle responsabilità̀ incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna”; e l’art. 4, par. 2, del Trattato sull’Unione europea (TUE) ai sensi del quale l’Unione rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. Se la tutela dell’ordine pubblico resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro, è difficile legittimare un potere dell’UE sugli Stati quanto ai rispettivi poteri di coercizione o di controllo del territorio attraverso l’invio delle squadre della guardia costiera e guardia di frontiera europea sul territorio nazionale disgiunto dalla richiesta da parte degli Stati membri di effettuare una particolare operazione.
Non solo poi la nozione accolta di solidarietà nella proposta è ancora una volta Stato-centrica, ma altresì ancorata ad una de-solidarizzazione verso l’Altro che viene dall’esterno, del vulnerabile che vede rifiutarsi l’ingresso, o il suo respingimento in Paesi di origine o transito di dubbia sicurezza sostanziale (ovvero anche solo formale); e del cui salvataggio la proposta normativa si limita a prevedere che la nuova Agenzia, nel condurre operazioni alle frontiere e nell’assistere gli Stati, tenga in considerazione che “alcune situazioni potrebbero coinvolgere emergenze umanitarie e salvataggi in mare”.
Ad ulteriore conferma dell’esclusione nella proposta di una concettualizzazione individuo centrica della solidarietà, si noti l’assenza di una sua qualsivoglia prospettazione attraverso una lettura del profilo dell’accountability dell’Agenzia nell’attuazione del suo (più ricco e potente) mandato, che dovrebbe tradursi in forme di controllo conformi ai diritti umani. Sebbene la proposta vada infatti nella direzione già auspicata dalla raccomandazione del Mediatore europeo (all’esito di una propria indagine), accolta e sostenuta dal Parlamento europeo, in una sua risoluzione del 2 dicembre 2015,[27] circa l’istituzione di uno specifico meccanismo di denuncia individuale contro le violazioni dei diritti subite nel corso delle operazioni condotte da Frontex, le denunce individuali si prevede vengano prese in carico dalla stessa agenzia, valutate da un apposito organismo interno secondo una specifica procedura amministrativa che, in ogni caso, non precluderà il ricorso ad altri rimedi di natura giudiziale. Messa a parte l’obiezione di una reale incisività delle eventuali sanzioni, restano indefiniti i profili di responsabilità, che invece avrebbero rappresentato la propizia concretizzazione della concettualizzazione individuo centrica della solidarietà. In tale direzione si sarebbe infatti andati ove si fossero sanciti i profili di responsabilità congiunta tra Agenzia (ovvero l’Unione in base all’esistenza di una responsabilità dell’organizzazione internazionale per i danni cagionati dai suoi agenti/organi nell’esercizio delle loro funzioni ai sensi dell’art. 340, par. 2, TFUE)[28] e lo Stato membro nell’ipotesi di un atto illecito attribuibile direttamente all’Agenzia per la sua attività di coordinamento. Nello stesso senso avrebbe deposto un eventuale chiarimento della sussistenza di una responsabilità condivisa tra Stato e Agenzia (ovvero Unione), per l’assistenza (allo), ovvero il controllo o direzione/supervisione dello Stato cui la violazione del diritto fondamentale sia materialmente riconducibile – nel caso poi di azioni esautoranti la volontà degli Stati sotto pressione con l’intervento di guardie europee sui territori nazionali, responsabilità addirittura primaria in capo alla nuova Agenzia (ovvero Unione). Ancora segno nella direzione di una solidarietà individuo centrica sarebbe stato il riconoscimento di una responsabilità congiunta in capo all’Agenzia (ovvero all’Unione) insieme con lo Stato per difetto di misure di prevenzione di violazione di diritti umani nel caso in cui la violazione dipenda da un mancato ricorso da parte dell’Agenzia all’obbligo introdotto (già dall’art. 1-bis della riforma del 2011) in capo all’Agenzia e al suo Direttore esecutivo di sospendere o concludere, totalmente o parzialmente, operazioni congiunte e progetti pilota, se ritiene che tali violazioni siano gravi o destinate a persistere.
IV.3 Terzo rovesciamento concettuale: la libertà (di circolazione)
L’ultimo snaturamento semantico delle argomentazioni fondanti la proposta della Commissione risiede nella riconcettualizzazione dell’inestricabile legame tra libertà e sicurezza declinandolo in termini di difesa dall’altro da noi, dallo sconosciuto. Se una siffatta concettualizzazione era propria del Consiglio europeo che, ad esempio, mancava di riferire il termine ‘giustizia’ dello spazio europeo alle questioni legate ai profili dell’immigrazione sia nelle conclusioni di Tampere, che nel Programma dell’Aja, la Commissione si era invece candidata ad una normatizzazione della politica di immigrazione in termini individuo-centrici e rights-based facendo della promozione dei diritti dei migranti uno degli obiettivi principali dichiarati di ciascuna dimensione della politica europea inerente le migrazioni.[29] Nel pacchetto frontiere invece la Commissione ‘regredisce’, ritornando preponderante un’idea di sicurezza centrata sullo Stato e non sull’individuo, e completamente assente un qualsivoglia “human security approach” promosso a livello di dibattito all’interno delle Nazioni Unite, e pure accennato nel Trattato costituzionale non entrato in vigore, all’art. 4 quanto meno con riferimento all’azione esterna dell’Unione.
Ora, sembra di problematica concettualizzazione, rispetto alla libertà di circolazione, la proposta di emendamento dell’art. 7 del codice Schengen in virtù del quale sarebbe creato un obbligo di effettuare controlli sistematici alle frontiere esterne, in ingresso e in uscita, su tutte le persone, comprese quelle che godono del diritto di libera circolazione ai sensi del diritto dell’Unione (cioè cittadini dell’Unione e dei loro familiari che non siano cittadini comunitari), non più unicamente in relazione con l’autenticità e la validità dei documenti di viaggio (unico controllo possibile ad oggi per i cittadini UE) - ma attraverso i riscontri nei database nazionali e Sistema d’informazione Schengen e Interpol, e tramite controlli degli identificatori biometrici (immagine del volto e impronte digitali), al fine di verificare che tali persone non rappresentano una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza interna.[30] Se si considera che i dati sui movimenti dei passeggeri aerei saranno presto registrati in ogni caso, e che il sistema di informazione Schengen non può essere utilizzato per negare l’ingresso ai cittadini europei, le nuove regole paiono finalizzate piuttosto alla cattura di soggetti potenziali di arresto (o sulla base di un mandato di arresto europeo) ovvero, come rileva Peers, per individuare le persone sottoposte ad arresto potenziale a causa di sospetto di ricevere addestramento per terroristi.[31] Ne risulterebbe conseguentemente una metamorfosi della natura delle banche dati: da reporting systems a strumenti di indagine; come pure un problema di proporzionalità della scelta legislativa rispetto alla libertà di circolazione. Si esclude infatti un qualsiasi impatto potenzialmente sproporzionato di un controllo sistematico dei dati inerenti cittadini UE attraverso le banche dati sul flusso del traffico alla frontiera aerea; laddove invece, gli Stati membri potrebbero decidere di effettuare solo controlli mirati ad alcuni valichi di frontiera e frontiere marittime una volta provato l’altrimenti sproporzionato impatto sulla libertà di circolazione.
D’altro lato, nessun carattere sproporzionato è ammesso in re ipsa con riguardo all’impatto dei controlli sistematici obbligatori in uscita sui cittadini di Paesi terzi laddove, invece, l’argomento della proporzionalità ha giocato recentemente un ruolo determinante nella proposta dell’Avvocato generale Villalòn nelle sue recenti conclusioni al caso Alo e Osso[32] circa la considerazione per cui rappresenta un’illegittima restrizione della libertà di circolazione dei cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro quella misura nazionale che li obblighi (nello specifico però si trattava di beneficiari dello status di protezione sussidiaria) a risiedere in un determinato luogo di uno Stato membro per ragioni di distribuzione sul territorio degli oneri delle prestazioni sociali. L’argomento della proporzionalità ha condotto, infatti, l’Avvocato generale a considerare la misura nazionale unicamente accettabile in situazioni concrete rispondenti a seri motivi di politica migratoria e dell’integrazione (ad esempio, in caso di evidenti tensioni sociali, con turbamento dell’ordine pubblico dovuto alla concentrazione di un numero significativo di beneficiari di protezione internazionale, percettori di prestazioni sociali); e sempre consideratane la durata e l’estensione territoriale dell’obbligo di residenza, oltre ad una portata dell’obbligo suddetto non limitata nell’ordinamento nazionale ai soli beneficiari di protezione internazionale.
V. Esodo
L’idea di frontiera evoca la contemplazione della diversità insita in ogni alterità che sorge ogni qualvolta sia tracciato un limite o un confine. Simbolo o allegoria di qualcosa che richiama, la frontiera ci mette di fronte all’Altro-da-noi, a ciò che ci viene in(contro). Un confine in crisi non è idoneo a risolvere alcuna delle crisi al confine. Chi ammettere all’interno della comunità territoriale di riferimento è rivelatore dell’identità collettiva. E l’enfasi sulla solidarietà con gli Stati ‘vittime’ della pressione migratoria a meri fini di ‘difesa del confine’ distanzia problematicamente l’Unione da quell’identità Habermasiana quale forma di “solidarietà civica” fondata sul contratto sociale tra i popoli d’Europa che si riconoscono in una costituzione comune,[33] che più dovrebbe invece contraddistinguere l’evocata solidarietà europea tra Stati membri e con gli Stati terzi di origine e transito delle migrazioni.
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European Papers, Vol. 1, 2016, No 2, European Forum, Insight of 9 May 2016, pp. 653-664
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/45
* Professore associato di Diritto dell'Unione europea, Università di Cagliari, francescaippolito@unica.it.
[1] Il concetto è stato definito nelle conclusioni del Consiglio affari interni del 4 e 5 dicembre 2006, p. 26, quale “corpus legislativo comune”, in particolare il codice frontiere Schengen nonché il regolamento che stabilisce norme sul traffico frontaliero locale; una “cooperazione operativa” tra Stati membri, inclusa la cooperazione coordinata dall'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea (Frontex) e nella “solidarietà” tra gli Stati membri e la Comunità attraverso l'istituzione di un Fondo per le frontiere esterne.
[2] Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Laeken del 14 e 15 dicembre 2001.
[3] Communication COM(2002) 233 final from the Commission to the Council and the European Parliament “Towards Integrated Management of the External Borders of the Member States of the European Union”, p. 12.
[4] S. Léonard, The Creation of Frontex and the Politics of Institutionalisation in the EU External Borders Policy, in Journal of Contemporary European Research, 2009, p. 371 et seq., spec. p. 377.
[5] Comunicazione COM (2015) 240 def. della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni “Agenda europea sulla migrazione”; discorso del Presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker del 9 settembre 2015 “Stato dell'Unione 2015: l'ora dell'onestà, dell'unità e della solidarietà”.
[6] Cfr. le conclusioni della riunione straordinaria del Consiglio europeo del 23 aprile 2015 sulla crisi dei rifugiati nel Mediterraneo.
[7] Risoluzione del Parlamento europeo del 23 ottobre 2013 sui flussi migratori nel Mediterraneo, con particolare attenzione ai tragici eventi al largo di Lampedusa; risoluzione del Parlamento europeo del 17 dicembre 2014 sulla situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell'UE alle migrazioni; risoluzione del 29 aprile 2015 sulle recenti tragedie nel Mediterraneo e sulle politiche dell'UE in materia di migrazione e asilo; risoluzione del Parlamento europeo del 10 settembre 2015 sulla migrazione e i rifugiati in Europa.
[8] L'inefficacia del sistema deriva essenzialmente dai costi dei trasferimenti, una scarsa percentuale dell'esecuzione degli stessi e dalla durata delle procedure di trasferimento dovuta, inter alia, all’irreperibilità dei richiedenti asilo dopo la notifica della decisione di trasferimento e alle difficoltà nella cooperazione pratica tra le amministrazioni dei vari Stati membri. Cfr. così il rapporto di valutazione elaborato dalla stessa Commissione – relazione COM (2007) 299 def. della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio “Relazione sulla valutazione del sistema di Dublino” (la pubblicazione della prossima valutazione è prevista per il 2016). A ciò si è aggiunta la pregiudizievolezza dei diritti dei richiedenti asilo e delle famiglie coinvolte rilevata dalla giurisprudenza di Strasburgo e confermata dai giudici di Lussemburgo.
[9] Il Consiglio europeo ha concluso che questo deve essere fatto aumentando il mandato di Frontex nel contesto delle discussioni sullo sviluppo di una frontiera europea e del sistema della guardia costiera, cfr. conclusioni del Consiglio europeo del 9 novembre 2015 “Misure per far fronte alla crisi dei rifugiati e dei migranti”.
[10] Alcune procedure d’infrazione sono state aperte nei confronti di alcuni Paesi, tra cui Italia e Grecia, con particolare riguardo all’obbligo di rilevazione delle impronte digitali dei migranti nei punti di crisi.
[11] Fino all’11 febbraio sono state ricollocate 279 persone dall’Italia e 245 dalla Grecia, fino ad oggi solo 17 Stati membri avendo reso disponibili 4.582 posti rispetto ai 160.000 previsti. V. Commissione europea, Member States’ Support to Emergency Relocation Mechanism (Communicated as of 3 May 2016).
[12] I due ricorsi per annullamento contro la decisione del 22 settembre, sono stati depositati rispettivamente il 2 dicembre dalla Slovacchia (causa C-643/15) e il 3 dicembre dall’Ungheria (causa C-647/15).
[13] Proposta di regolamento COM (2015) 450 def. del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo di ricollocazione di crisi e modifica il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolidee decisione (UE) 2015/1523; decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia.
[14] D. Thym, Moving Towards Plan B: the Rejection of Refugees at the Border, in EU Immigration and Asylum Law and Policy, 28 gennaio 2016.
[15] Corte di giustizia, sentenza del 22 giugno 2010, cause riunite C-188/10 e C-189/10, Melki e Abdeli; Corte di giustizia, sentenza del 19 luglio 2012, causa C-278/12 PPU, Atiqullah Adil c. Minister voor Immigratie, Integratie en Asie (Adil).
[16] Decreto n. 20 del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 aprile 2011, art. 2, co. 3 e co. 1.
[17] Si veda in dettaglio per una visione critica della riforma del 2013 in senso favorevole ad una maggiore facilità di chiusura e controllo interno delle frontiere: M. A.H. van der Woude, P. van Berlo, Crimmigration at the Internal Borders of Europe? Examining the Schengen Governance Package, in Utrecht Law Review, January 2015, p. 61 et seq.
[18] Ai sensi della sentenza Adil (cit.), sono legittimati i controlli di polizia interna finalizzati alla verifica della soddisfazione dei requisiti di soggiorno regolare conseguentemente all'arrivo di importanti numeri di richiedenti asilo, purché tali controlli si basino su informazioni generali e dati dell’esperienza in materia di soggiorno irregolare di persone nei luoghi dei controlli, e qualora il loro esercizio sia sottoposto a talune limitazioni relative, segnatamente, alla loro intensità ed alla loro frequenza (par. 88).
[19] Communication COM(2016)120 final from the Commission to the European Parliament, the European Council and the Council “Back to Schengen - A Roadmap”.
[20] S. Peers, Leaked document reveals EU plans to suspend Schengen for two years, in EU Law Analysis, 2 dicembre 2015.
[21] Sui problemi di compatibilità con i Trattati di tale potere si rinvia più oltre.
[22] Sia consientito rinviare sul punto di una sistematizzazione di queste tre diverse forme di vulnerabilità all'interno di una categoria denominabile “State imposed vulnerability” a F. Ippolito, S. Iglesias Sanchez (eds), Protecting Vulnerable Groups. The European Human Rights Framework, Oxford: Hart Publishing, 2015.
[23] Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza del 21 gennaio 2011, n. 30696/09, M.S.S. c. Belgio e Grecia; Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza del 2 aprile 2013, n. 27725/10, Samsam Mohammed Hussein e altri c. Olanda e Italia, par. 76; Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza del 14 dicembre 2014, n. 13216/05, Elkhan Chiragov e altri c. Armenia, par. 146; Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza del 23 luglio 2013, n. 55352/12, Aden Ahmed c Malta, par. 97.
[24] Conclusioni dell'Avvocato generale Y. Bot presentate il 30 aprile 2014, cause riunite C-473/13 e C-514/13, Adala Bero c. Regierungspräsidium Kassel e Ettayebi Bouzalmate c. Kreisverwaltung Kleve, par. 95.
[25] Corte di giustizia, sentenza del 27 febbraio 2014, causa C-79/13, Federaal agentschap voor de opvang van asielzoekers c. Selver Saciri e altri; Corte di giustizia, sentenza del 27 settembre 2012, causa C-179/11, Cimade e Groupe d'information et de soutien des immigrés (GISTI) c. Ministre de l'Intérieur, de l'Outre-mer, des Collectivités territoriales et de l'Immigration; Corte di giustizia, sentenza del 6 giugno 2013, causa C-648/11, The Queen, su istanza di MA e altri c. Secretary of State for the Home Department.
[26] Sul principio di solidarietà nel diritto internazionale cfr. per tutti: R. Wolfrum, C. Kojima (eds), Solidarity: A Structural Principle of International Law, The Hague: Springer, 2010.
[27] Risoluzione del Parlamento europeo del 2 dicembre 2015 sulla relazione speciale del Mediatore europeo sull'indagine di propria iniziativa OI/5/2012/BEH-MHZ relativa a Frontex.
[28] J. Rijpma, EU Border Management after the Lisbon Treaty, in Croatian Yearbook of European Law and Policy, 2009, p. 121 et seq., p. 139, ipotizzava la possibilità con riferimento all'allora art. 288, par. 2, del Trattato sulla Comunità europea (TCE).
[29] Communication COM (2011) 743 final from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions “The Global Approach to Migration and Mobility”; communication COM (2013) 292 final from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of The Regions “Maximising the Development Impact of Migration, The EU contribution for the UN High-level Dialogue and next steps towards broadening the development-migration nexus”, p. 5; communication COM (2013) 869 final from the Commission to the European Parliament and the Council on the work of the Task Force Mediterranean; Communication COM (2014) 154 final from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions “An open and secure Europe: making it happen”.
[30] Si noti che detti controlli nelle banche dati saranno effettuati mediante un sistema “hit/no hit”: se l’individuo sotto controllo non costituisce un pericolo, tale controllo non viene registrato e i suoi dati non subiscono ulteriori trattamenti.
[31] Proposal COM (2015) 625 final for a Directive of the European Parliament and of the Council on combating terrorism and replacing Council Framework Decision 2002/475/JHA on combating terrorism, spec. art. 7-9. Cfr. S. Peers, The Reform of Frontex: Saving Schengen at Refugees’ Expense?, in EU Law Analysis, 16 dicembre 2015.
[32] Conclusioni dell’Avvocato generale Villalòn presentate il 6 ottobre 2015, cause riunite C-443/14 e C-444/14, Kreis Warendorf e Amira Osso c. Ibrahim Alo e Region Hannover.
[33] J. Habermas, The Postnational Constellation, Cambridge: Polity Press, 1998.