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Abstract: This Insight takes the Court of Justice’s ruling in JP v Ministre de la Transition écologique and Premier Ministre (case C-61/21) as a starting point to reflect, more broadly, on the interpretation of the first condition of State liability for breaches of EU law, i.e. that the rule breached shall be intended to confer rights on individuals. Most notably, it focuses on the implications of such condition on the use of the Francovich remedy in defence of general or ‘diffuse’ interests and criticises the Court’s sharp distinction between general and individual interests in this context. It also observes how the Court’s recent case law traces a distinction between the scope of substantive protection and that of the action for damages: on the one hand, it ensures broad access to national courts to vindicate general or diffuse interests protected by EU law; on the other hand, it excludes the right to damages when the provision in question is not aimed directly and specifically to protect the interests of the individual.
Keywords: State liability for breaches of EU law – action for damages – provisions intended to confer rights on individuals – Francovich – individual rights in EU law – individual and general interests.
I. Introduzione
La prima condizione per il sorgere della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione – e cioè che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli – presenta notevoli problemi di inquadramento sistematico. Tale condizione è stata, infatti, raramente oggetto di specifica attenzione nella pur copiosa giurisprudenza della Corte di giustizia in materia e, per certi versi, anche nel dibattito dottrinale.
In effetti, la Corte di giustizia ha adottato un approccio piuttosto elastico nell’interpretazione della prima condizione della responsabilità e, a più di trent’anni dalla sentenza Francovich, le pronunce in cui la norma giuridica rilevante è stata ritenuta non intesa a conferire diritti ai singoli e, dunque, non idonea a fondare una pretesa risarcitoria nei confronti dello Stato basata sul diritto dell’Unione sono alquanto rare.
Anche solo per tale ragione, la sentenza resa dalla Grande Sezione della Corte di giustizia il 22 dicembre 2022 nel caso JP c Ministre de la Transition écologique e Premier Ministre (di seguito JP) non può passare inosservata.[1] La Corte ha ritenuto, infatti, che gli obblighi imposti agli Stati membri dalla direttiva 2008/50/CE in materia di qualità dell’aria non siano preordinati a conferire ai singoli diritti suscettibili di tutela risarcitoria.
La singolarità di tale pronuncia emerge vieppiù in quanto essa fa seguito alla sentenza Deutsche Umwelthilfe, nella quale la Corte sembrava quasi incoraggiare il ricorso al rimedio risarcitorio in relazione alla violazione degli obblighi imposti dalla direttiva 2008/50/CE,[2] prospettando, dunque, un potenziale ampliamento degli strumenti di private enforcement della normativa europea in materia di qualità dell’aria.[3]
Non è difficile intravedere le motivazioni di politica giudiziaria alla base della scelta della Corte.[4] Gli obblighi imposti dalla direttiva 2008/50/CE sono violati in modo sistematico e persistente da un elevato numero di Stati membri[5] e l’apertura della via risarcitoria, fondata sul diritto dell’Unione, potrebbe in effetti comportare un aumento del contenzioso a livello nazionale ed esporre le finanze degli Stati membri alle pretese risarcitorie di una schiera di individui astrattamente molto ampia.[6]
D’altra parte, però, stupisce che la Corte, invece di fornire indicazioni più dettagliate ai giudici nazionali con riferimento all’accertamento del nesso di causalità, come fatto in precedenti cause aventi ad oggetto domande di risarcimento dei danni derivanti da violazioni in materia ambientale,[7] abbia deciso di fermarsi alla valutazione della prima condizione per il sorgere della responsabilità dello Stato. Secondo la Grande Sezione, gli obblighi previsti dagli articoli 13(1) e 23(1) della direttiva 2008/50/CE, pur “chiari e precisi quanto al risultato che gli Stati membri devono assicurare”, perseguono “un obiettivo generale di protezione della salute umana e dell’ambiente nel suo complesso” e “non consentono di ritenere che, nel caso di specie, a singoli o a categorie di singoli siano stati implicitamente conferiti diritti individuali la cui violazione possa far sorgere la responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai singoli”.[8]
La scelta della Corte è inattesa, anche se a dire il vero non del tutto imprevedibile, specialmente se si considera che all’indomani di Francovich si era in effetti generato un dibattito, poi sopitosi nel tempo, sulle problematiche che tale presupposto della responsabilità potesse creare con riferimento a pretese risarcitorie fondate sulla normativa europea in materia ambientale, volta alla tutela di interessi generali o diffusi e, solo indirettamente, di interessi individuali.[9]
Pur occasionato dalla sentenza JP, il presente contributo intende sviluppare alcune riflessioni di carattere generale sull’interpretazione della prima condizione della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione, con particolare attenzione al tema della risarcibilità dei danni derivanti dalla violazione di norme volte alla tutela di interessi generali o diffusi. Si mostrerà come, con riferimento a questa particolare categoria di norme, la Corte sembri tracciare una differenziazione tra l’ambito della tutela sostanziale e quello della tutela risarcitoria, garantendo per un verso ampie possibilità di accesso ai giudici nazionali per ottenere l’adempimento degli obblighi imposti allo Stato dal diritto dell’Unione, ma escludendo per altro verso la risarcibilità dei danni direttamente connessi alla violazione sufficientemente qualificata degli stessi obblighi da parte dello Stato. Nata come alternativa[10] e divenuta poi “corollario necessario”[11] della tutela sostanziale, la tutela risarcitoria sarebbe preclusa ab origine per le norme volte alla tutela di interessi generali o diffusi, anche qualora – come nel caso JP – tali interessi risultino largamente sovrapponibili a interessi di natura individuale.
II. Le incertezze sull’interpretazione della prima condizione della responsabilità
La principale fonte di incertezze relative all’interpretazione della prima condizione della responsabilità è legata al carattere indeterminato della nozione di “diritti” come nozione autonoma di diritto dell’Unione europea. In effetti, nonostante la centralità del linguaggio dei “diritti” nella costruzione dell’architettura costituzionale dell’Unione,[12] la Corte si è raramente preoccupata di definire i contorni delle posizioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto dell’Unione europea.[13] Questo paradosso, pur percepibile anche in precedenza, si è manifestato in maniera ancora più evidente in seguito alla sentenza Francovich, quando la Corte ha deciso di affidare alla nozione di “diritti” la funzione di delimitare l’ambito personale e materiale del rimedio risarcitorio fondato sul diritto dell’Unione.[14]
Come noto, nel ricostruire il fondamento della responsabilità come principio “inerente al sistema del Trattato”, la Corte ha posto l’enfasi sul tema della tutela dei diritti, cogliendo l’occasione offerta dal caso Francovich per completare il sistema di enforcement decentrato del diritto dell’Unione tracciato dalle sentenze Van Gend en Loos, Costa e Simmenthal.[15] È dal ricorso al linguaggio dei “diritti” che nasce la prima condizione della responsabilità, la quale funge per un verso da collante con la giurisprudenza fondativa appena citata e, per l’altro, da limite negativo della tutela risarcitoria, che viene riservata ai soli casi in cui la violazione da parte dello Stato incida sui “diritti” che la norma di diritto dell’Unione europea intenda conferire agli individui.[16]
Proprio in ragione di questa funzione negativa svolta dalla prima condizione della responsabilità, l’assenza di indicazioni chiare nella giurisprudenza della Corte con riguardo alla delimitazione del contenuto materiale e all’individuazione dei titolari dei diritti derivanti dal diritto dell’Unione europea diviene particolarmente problematica. Ciò si avverte, in particolare, quando tali diritti non siano espressamente conferiti agli individui, ma sorgano implicitamente come contropartita di obblighi imposti agli Stati membri. La Corte ha, infatti, solo occasionalmente dedicato attenzione all’individuazione del titolare nonché del contenuto dei diritti originati da obblighi imposti dal diritto dell’Unione agli Stati membri. Né essa ha indicato con chiarezza le condizioni alle quali l’imposizione di obblighi chiari, precisi e incondizionati agli Stati produca diritti in capo ai singoli.
Tuttavia, è giocoforza notare che, nonostante la sua potenziale funzione di limite negativo della responsabilità dello Stato, la condizione in virtù della quale la norma violata debba essere preordinata a conferire diritti ai singoli non ha mai rappresentato un reale ostacolo per l’accesso al rimedio risarcitorio nella giurisprudenza della Corte di giustizia. La Corte ha, infatti, interpretato tale condizione in maniera piuttosto elastica, come reso evidente dallo stesso caso Francovich, in cui è stata ritenuta risarcibile la lesione di una posizione giuridica soggettiva “incompleta”.[17]
L’indagine svolta mostra come la Corte abbia ritenuto non integrata la prima condizione della responsabilità solo in due casi prima di JP,[18] cioè nelle sentenze Peter Paul e Berlington Hungary.[19] Per il resto, la trattazione relativa a tale condizione è stata spesso limitata a poche righe, dalle quali non è facile desumere dei criteri univoci per l’interpretazione della locuzione “norme intese a conferire diritti ai singoli”. Ad esempio, a sentenze in cui la Corte ha analizzato la finalità di tutela dell’atto come emergente dal preambolo e/o da specifiche disposizioni[20] si contrappongono pronunce in cui la Corte si è in realtà arrestata alla valutazione della qualità della norma, come nei casi in cui il soddisfacimento della prima condizione della responsabilità è stato desunto dall’efficacia diretta della norma analizzata.[21]
Anche le sentenze in cui la Corte ha rigettato la pretesa risarcitoria sulla base della prima condizione della responsabilità non forniscono indicazioni chiare in merito. Seppure per ragioni diverse, sia Peter Paul che Berlington Hungary sono infatti legate a situazioni piuttosto eccezionali, il che rende difficile trarre da queste sentenze criteri di carattere generale per l’interpretazione della prima condizione.
La sentenza Peter Paul riguarda il delicato tema della responsabilità delle autorità di vigilanza bancaria e si colloca, temporalmente, in un periodo di crescente ricorso ad azioni di risarcimento dei danni come strumento volto a riparare le perdite subite dai depositanti in occasione del fallimento di istituti bancari.[22] Nel caso di specie, i ricorrenti si erano rivolti al giudice nazionale per ottenere il risarcimento dei danni asseritamente derivanti dalla carente attività di vigilanza delle autorità nazionali competenti nei confronti dell’istituto bancario di cui gli stessi erano depositanti. Secondo i ricorrenti, i danni subiti in seguito al fallimento dell’istituto bancario erano connessi alla tardiva trasposizione da parte della Repubblica federale tedesca della direttiva 94/19/CE e delle direttive di coordinamento 77/780/CEE, 89/299/CEE e 89/646/CEE.
La Corte, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla base del rinvio effettuato dal Bundesgerichtshof, ha considerato non integrata la prima condizione della responsabilità attraverso la combinazione di metodi di interpretazione teleologica e sistematica della normativa rilevante. Sotto il primo profilo, la Corte ha ritenuto che le direttive in questione, pur avendo anche obiettivi di tutela dei depositanti, fossero volte più specificamente al perseguimento di obiettivi di carattere generale, connessi alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi nel settore degli enti creditizi e al reciproco riconoscimento delle autorizzazioni e dei sistemi di controllo prudenziale tra gli Stati membri.[23] Sotto il secondo profilo, di carattere sistematico, la Corte ha posto particolare attenzione al fatto che l’art. 7 della direttiva 94/19/CE conteneva un meccanismo di garanzia minima per i depositanti in caso di indisponibilità dei depositi, sulla base del quale i ricorrenti avevano in effetti ottenuto un indennizzo parziale delle perdite subite.[24] Alla luce di ciò, la Corte ha ritenuto che le direttive “non attribuis[sero] diritti ai depositanti in caso di indisponibilità dei loro depositi causata da una vigilanza carente da parte delle autorità nazionali competenti, se ed in quanto [fosse] assicurato l’indennizzo dei depositanti previsto dalla direttiva 94/19”.[25]
Per un verso, la sentenza Peter Paul potrebbe leggersi come un irrigidimento del controllo effettuato dalla Corte nella valutazione della finalità di tutela della norma violata.[26] In pronunce precedenti, la Corte aveva infatti ritenuto sufficiente che l’interesse individuale del ricorrente nel giudizio a quo fosse compreso tra gli interessi tutelati dalla norma rilevante.[27] In Peter Paul, la Corte non nega che le direttive tutelino anche gli interessi individuali dei depositanti, ma sembra richiedere, ai fini del soddisfacimento della prima condizione della responsabilità, che tali interessi corrispondano, più specificamente, agli interessi primari protetti dalle norme violate. Per altro verso, la presenza di un meccanismo di garanzia minima per i depositanti in caso di indisponibilità dei depositi potrebbe aver giocato un ruolo chiave nella scelta della Corte, che invero considera le direttive non intese a conferire diritti suscettibili di tutela risarcitoria “se ed in quanto” sia stato assicurato l’indennizzo previsto dall’art. 7 della direttiva 94/19/CE.[28] Tale norma, fornendo una disciplina di armonizzazione relativamente al diritto e all’ammontare della compensazione minima spettante ai depositanti in caso di indisponibilità dei depositi, potrebbe aver influito in maniera determinante sulla decisione di non considerare risarcibili le perdite superiori alla somma garantita.[29]
Per tale ragione, oltre che per le considerazioni di politica giudiziaria accennate in precedenza, risulta difficile trarre da Peter Paul indicazioni univoche sull’interpretazione della locuzione “norme intese a conferire diritti ai singoli”. Tra l’altro, è opportuno segnalare che la giurisprudenza successiva, almeno fino a JP, non fornisce prove di uno scrutinio più severo delle finalità di tutela da parte della Corte.[30]
Anche la sentenza Berlington Hungary, passata quasi del tutto inosservata in dottrina (e non solo),[31] è legata ad una situazione piuttosto peculiare. In tale pronuncia, la Corte ha statuito che gli obblighi di notifica e di stand-still previsti dagli articoli 8 e 9 della direttiva 98/34/CE non sono intesi a conferire diritti suscettibili di tutela risarcitoria.[32] La conclusione non stupisce se si riflette sul fatto che, come noto, nelle sentenze CIA Security e Unilever, la Corte aveva sì riconosciuto la possibilità per i singoli di neutralizzare in giudizio l’applicazione di una normativa tecnica nazionale adottata in violazione degli obblighi di notifica e di stand-still previsti dall’allora direttiva 83/189/CEE,[33] ma aveva anche tenuto a precisare che tale direttiva “non definisce in alcun modo il contenuto sostanziale della norma giuridica sulla base della quale il giudice nazionale deve risolvere la controversia dinanzi ad esso pendente” e “non crea né diritti né obblighi per i singoli”.[34] Era, dunque, difficile attendersi una pronuncia in senso opposto in Berlington Hungary.
La sentenza fornisce, tuttavia, un’indicazione utile per il prosieguo della trattazione. In Berlington Hungary, la Corte sembra infatti tracciare, seppure in maniera abbozzata, una distinzione tra la possibilità di invocare una norma in giudizio, che viene garantita anche per tutelare interessi individuali non direttamente corrispondenti al bene giuridico protetto dalla norma e dunque qualificabili come interessi di fatto, e i diritti che sorgono come contropartita di obblighi imposti dal diritto dell’Unione, in cui invece l’interesse individuale coincide, almeno parzialmente, con il bene giuridico protetto dalla norma. Secondo tale lettura, che sembra confermata (anche se portata agli estremi) in JP, il rimedio risarcitorio sarebbe disponibile solo nel secondo caso, mentre nel primo rimarrebbe eventualmente disponibile solo la tutela sostanziale.
III. La sentenza nel caso JP c Ministre de la Transition écologique
In ragione delle sue caratteristiche fattuali, il caso JP ha fatto venire al pettine, in modo più evidente rispetto al passato, i principali nodi interpretativi relativi alla prima condizione della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione.
Per un verso, il caso si colloca al crocevia tra interessi generali e interessi individuali, riguardando l’eventuale possibilità di accedere alla tutela risarcitoria sulla base di una direttiva volta alla “tutela della salute umana e dell’ambiente nel suo complesso”.[35] Per l’altro, il caso JP offre alla Corte la possibilità di chiarire la propria posizione sul rapporto tra norme “giustiziabili” e norme intese a conferire diritti ai singoli, dato che le stesse norme alla base della domanda di risarcimento nel giudizio a quo erano state in precedenza considerate dalla Corte di giustizia come sufficientemente precise e incondizionate per essere invocate dai singoli dinanzi ai giudici nazionali.[36] In questo senso, JP rappresenta il caso perfetto per chiarire le incertezze emerse nella giurisprudenza della Corte, e in particolare nei casi Peter Paul e Berlington Hungary, con riferimento alla nozione di “norme intese a conferire diritti ai singoli” ai fini della responsabilità risarcitoria dello Stato.
Nel giudizio a quo, il ricorrente chiedeva, in primo luogo, che le autorità nazionali competenti adottassero misure idonee a garantire il rispetto dei valori limite per la qualità dell’aria nell’agglomerato di Parigi e, in secondo luogo, il risarcimento dei danni alla salute asseritamente subiti a causa del superamento di tali valori limite. La domanda di risarcimento del danno fondata sul diritto dell’Unione veniva rigettata dal Tribunal administratif de Cergy-Pontoise sulla considerazione che gli articoli 13(1) e 23(1) della direttiva 2008/50 non fossero “norme intese a conferire diritti ai singoli”. In seguito all’impugnazione della sentenza di primo grado, la Cour administrative d’appel de Versailles decideva di riferire la questione in via pregiudiziale alla Corte di giustizia, chiedendo in sostanza se tali norme fossero idonee a integrare la prima delle tre condizioni per il sorgere della responsabilità risarcitoria dello Stato per violazione del diritto dell’Unione.
Contrariamente alla posizione espressa dall’AG Kokott, la Corte ha risposto in senso negativo. Seppure gli articoli 13(1) e 23(1) della direttiva 2008/50 prevedono “obblighi abbastanza chiari e precisi quanto al risultato che gli Stati membri devono assicurare”,[37] la Corte ha sottolineato che:
“55. Tuttavia, tali obblighi perseguono […] un obiettivo generale di protezione della salute umana e dell’ambiente nel suo complesso.
56. Pertanto, oltre al fatto che le disposizioni di cui trattasi della direttiva 2008/50 e delle direttive che l’hanno preceduta non contengono alcuna attribuzione esplicita di diritti ai singoli a tale titolo, gli obblighi previsti da tali disposizioni, nell’obiettivo generale summenzionato, non consentono di ritenere che, nel caso di specie, a singoli o a categorie di singoli siano stati implicitamente conferiti, in forza di tali obblighi, diritti individuali la cui violazione possa far sorgere la responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai singoli”.[38]
La conclusione nel senso dell’indisponibilità del rimedio risarcitorio sulla base del diritto dell’Unione non è smentita, a parere della Corte, dal fatto che le stesse norme siano invocabili dinanzi ai giudici nazionali per ottenere che le autorità nazionali competenti adottino le misure richieste dalla direttiva.
“62. […] la facoltà così riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte, derivante in particolare dal principio di effettività del diritto dell’Unione, effettività alla quale i singoli interessati sono legittimati a contribuire, avviando procedimenti amministrativi o giurisdizionali a motivo della situazione particolare che costituisce la loro, non implica che gli obblighi derivanti dall’articolo 13, paragrafo 1, e dall’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/50, nonché dalle disposizioni analoghe delle direttive precedenti, abbiano avuto lo scopo di conferire agli interessati diritti individuali […] e che la violazione di tali obblighi sia, pertanto, tale da poter alterare una situazione giuridica che tali disposizioni erano intese a creare nei loro confronti”.[39]
Alle persone “direttamente interessate” dal superamento dei valori limite rimarrebbe dunque la possibilità di invocare le norme della direttiva dinanzi ai giudici nazionali per sollecitare un controllo di legalità sull’operato delle autorità nazionali competenti alla luce della direttiva 2008/50/CE ed eventualmente ottenere la pronuncia di ingiunzioni accompagnate da penalità di mora.[40] Inoltre, aggiunge la Corte, la sentenza JP “non esclude che la responsabilità dello Stato possa sorgere a condizioni meno restrittive sulla base del diritto interno” e che, dunque, la violazione della direttiva 2008/50 possa essere considerata un “elemento […] rilevante ai fini dell’accertamento della responsabilità delle autorità pubbliche su un fondamento diverso dal diritto dell’Unione”.[41]
Ai fini del presente contributo, è opportuno porre l’attenzione su due elementi: il primo attiene alla divaricazione tra tutela sostanziale e tutela risarcitoria con riferimento a norme che siano volte alla tutela di interessi generali o diffusi (infra par. III.1), mentre il secondo concerne la netta separazione tra interessi generali e interessi individuali tracciata dalla Corte anche con riferimento a ipotesi caratterizzate da una commistione, difficilmente scindibile, tra tali interessi (infra par. III.2).
iii.1 Lo iato tra tutela sostanziale e tutela risarcitoria di interessi diffusi
Sotto il primo profilo, la Corte chiarisce ed elabora ulteriormente il principio già prospettato dalla sentenza Berlington Hungary: la circostanza che una norma di diritto dell’Unione sia invocabile dai singoli in giudizio non implica, di per sé, che tale norma sia intesa a conferire diritti suscettibili di tutela risarcitoria.
Quando ciò non accade, il binomio tra tutela dei diritti e garanzia dell’effettività del diritto dell’Unione che rappresenta il fondamento comune delle dottrine degli effetti diretti e della responsabilità risarcitoria dello Stato si scinde inesorabilmente: il singolo non agisce in giudizio per tutelare i propri diritti e incidentalmente l’effettività del diritto dell’Unione, ma – come la Corte chiarisce al par. 62 summenzionato – solo nella sua funzione di “vigilanza” dell’effettiva applicazione delle norme di diritto dell’Unione.[42] In questi casi, la legittimazione ad avvalersi della norma in giudizio è riconosciuta a chiunque sia interessato, anche in termini meramente fattuali, all’osservanza da parte dello Stato degli obblighi imposti dal diritto dell’Unione. Ciò non è però sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria, che sembra essere riservata ai soli casi in cui la norma rilevante sia volta specificamente alla tutela di interessi individuali e la violazione da parte dello Stato sia idonea ad “alterare” la “situazione giuridica che tali disposizioni erano intese a creare” nei confronti degli individui.[43]
In via di principio, la divaricazione tra tutela sostanziale e tutela risarcitoria con riferimento a normative volte alla tutela di interessi generali o diffusi non appare priva di una sua razionalità. Se è ragionevole ritenere che le norme sul locus standi debbano essere interpretate estensivamente al fine di garantire ampie possibilità di accesso alla giustizia a difesa di interessi generali o diffusi, è anche vero che il rimedio risarcitorio, per sua natura individuale, non rappresenta necessariamente lo strumento più adatto per tutelare tali interessi. Come suggerito dalla Corte[44] e, in precedenza, anche da parte di dottrina,[45] il ricorso a rimedi di natura pubblicistica come la pronuncia di ingiunzioni e/o l’irrogazione di penalità nei confronti delle autorità nazionali competenti potrebbero ad esempio costituire delle misure più adeguate al fine di stimolare l’osservanza di questa particolare categoria di norme.
Se si analizza JP nel quadro della recente giurisprudenza della Corte di giustizia relativa alla tutela giurisdizionale in materia ambientale, sembra che la Corte abbia imboccato questa strada, seppure con alcune oscillazioni. Infatti, pur mantenendo il proprio consueto approccio restrittivo con riferimento alla legittimazione attiva degli individui nelle azioni di annullamento,[46] la Corte ha per converso ampliato notevolmente le possibilità per i singoli di ricorrere dinanzi ai giudici nazionali in materia ambientale, eventualmente garantendo l’accesso ai rimedi giurisdizionali interni tramite la combinazione tra l’art. 47 della Carta e l’art. 9(3) della Convenzione di Aarhus.[47] Inoltre, con particolare riferimento alla direttiva sulla qualità dell’aria, la Corte ha anche incoraggiato i giudici nazionali a fare ampio uso dei propri poteri coercitivi al fine di garantire l’effettiva applicazione della direttiva, ad esempio tramite l’adozione di ingiunzioni, eventualmente accompagnate da penalità di mora, e persino, entro certi limiti e come extrema ratio, tramite l’imposizione della pena detentiva nei confronti dei titolari di un mandato per l’esercizio di pubblici poteri.[48]
In questa prospettiva, la sentenza JP mostra la tendenza della Corte a limitare il private enforcement della direttiva 2008/50 al solo fronte della tutela sostanziale eventualmente accompagnata da rimedi di natura pubblicistica e non privatistica, in linea con l’idea che la responsabilità risarcitoria dello Stato, pur essendo anche volta a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione, non è di per sé preordinata “alla dissuasione o all’applicazione di una sanzione”.[49] L’eventuale riconoscimento di un diritto al risarcimento del danno spetterà, se del caso, agli stessi Stati membri, che recuperano sul versante della tutela risarcitoria parte dell’autonomia processuale erosa dall’ampliamento delle vie di accesso ai rimedi giurisdizionali interni sul versante della tutela sostanziale.
iii.2. La rigida separazione tra interessi generali e interessi individuali
Ciò che stupisce maggiormente nella sentenza JP, dunque, non è tanto il fatto che la Corte non abbia riconosciuto integrata la prima condizione della responsabilità pur avendo in precedenza ammesso che i singoli potessero invocare in giudizio le stesse norme fondanti la pretesa risarcitoria.[50] A parere di chi scrive, l’elemento più critico della sentenza risiede piuttosto nella netta, quanto sbrigativa, separazione tracciata dalla Corte tra interessi generali e interessi individuali nella valutazione delle finalità di tutela della direttiva 2008/50/CE.
La Corte, infatti, porta agli estremi il ragionamento svolto in Peter Paul, ritenendo che una direttiva esplicitamente finalizzata alla tutela della salute umana non sia volta alla tutela di interessi individuali. La differenza cruciale rispetto al caso Peter Paul risiede nel fatto che l’interesse “generale” protetto dalla direttiva 2008/50/CE è intrinsecamente collegato a un bene giuridico per sua natura individuale, cioè la salute dei singoli. Al contrario, gli obiettivi generali perseguiti in via primaria dalla direttiva fondante la pretesa risarcitoria in Peter Paul non erano direttamente legati agli interessi individuali dei depositanti e anzi avrebbero potuto, in astratto, entrare in contrasto con essi.
Con un processo di astrazione concettuale dell’interesse “generale” di tutela della salute umana dal bene giuridico “individuale” cui lo stesso si riferisce, la Corte dunque va addirittura oltre Peter Paul: non è solo necessario che l’interesse fondante la pretesa risarcitoria sia l’interesse primario tutelato dalla direttiva, ma tale interesse deve riguardare determinati “singoli o categorie di singoli”.[51] In un certo senso, la Corte anticipa la valutazione relativa all’individuazione dei titolari del diritto al risarcimento alla fase concernente l’analisi della finalità di tutela della direttiva, applicando un test che, mutatis mutandis, sembra quasi assomigliare al controllo di ammissibilità sulle azioni di annullamento proposte da individui ai sensi dell’art. 263(4) TFUE.
Pur comprendendo le esitazioni della Corte ad aprire la via risarcitoria a un numero astrattamente molto elevato di individui, la scelta di adottare un’interpretazione così restrittiva già in fase di valutazione della finalità di tutela della direttiva 2008/50 non appare del tutto ragionevole.
Innanzitutto, è opportuno ricordare che in una serie di sentenze risalenti la Corte aveva in effetti sostenuto che le direttive in materia di qualità dell’aria allora in vigore, proprio in ragione della finalità di protezione della salute umana, conferissero diritti ai singoli, i quali venivano abilitati ad “avvalersi di norme imperative a tutela dei propri diritti” ogniqualvolta “il superamento dei valori limite po[tesse] metter[n]e in pericolo la salute”.[52] Questa giurisprudenza è di poco precedente a Francovich e la questione del conferimento di diritti ai singoli rilevava, essenzialmente, per la valutazione relativa all’adeguatezza del metodo di trasposizione della direttiva 80/779/CEE adottato dalla Repubblica federale tedesca. È però singolare che in JP la Corte, pur considerando gli obblighi imposti dalla direttiva 2008/50/CE sostanzialmente coincidenti a quelli delle direttive in vigore all’epoca dei casi menzionati,[53] non citi questo filone giurisprudenziale e non approfondisca le ragioni per le quali ritenga opportuno giungere a una conclusione diversa.
Inoltre, come suggerito dall’AG Kokott, concludere nel senso che l’interesse generale della collettività alla tutela della salute umana comprenda anche l’interesse individuale del singolo alla tutela della propria salute non comporta necessariamente che tutti gli abitanti degli Stati membri che superino i valori limite per la qualità dell’aria abbiano diritto al risarcimento del danno sulla base del diritto dell’Unione.[54]
In primo luogo, il superamento dei valori limite viene valutato per le singole “zone” e “agglomerati” dello Stato membro e con specifico riferimento ai singoli “punti di campionamento”,[55] con il risultato che eventualmente – nella successiva fase di individuazione dei titolari del diritto al risarcimento – solo le persone direttamente interessate dal superamento dei valori limite avrebbero avuto accesso alla tutela risarcitoria.
In secondo luogo, il criterio di selezione naturale in questi casi è rappresentato dalla necessità di dimostrare un nesso di causalità tra la violazione sufficientemente qualificata della direttiva 2008/50/CE e i concreti danni subiti dal singolo, come mostrato anche in precedenti casi di richieste di risarcimento del danno in materia ambientale. Ad esempio, nel caso Leth, la Corte aveva sì ritenuto che gli interessi della ricorrente – che lamentava la perdita di valore economico del proprio immobile derivante dal crescente inquinamento acustico dovuto all’ampliamento, senza previa valutazione d’impatto ambientale, del limitrofo aeroporto di Vienna-Schwechat – rientrassero tra gli interessi protetti dalla direttiva 85/337/CEE,[56] ma aveva poi escluso che la mera omissione della valutazione d’impatto ambientale fosse sufficiente di per sé a configurare la causa della diminuzione del valore di un bene immobile.[57]
Anche nel caso JP sembrava che i principali ostacoli all’esercizio del diritto al risarcimento dei danni risiedessero nella dimostrazione del nesso causale, come mostrato anche dall’attenzione al tema mostrata dall’AG Kokott nelle sue conclusioni.[58] Come detto, la Corte ha deciso di imboccare un’altra strada, bloccando sul nascere qualsiasi pretesa risarcitoria fondata sulla direttiva 2008/50/CE, che è stata qualificata come non idonea a conferire diritti ai singoli.
Oltre a essere criticabile per le ragioni già esposte, la scelta della Corte ha due implicazioni sistematiche di non poco conto. La prima è che la salute degli individui direttamente interessati dall’inquinamento atmosferico non viene qualificata come un bene giuridico protetto e suscettibile di tutela risarcitoria sulla base del diritto dell’Unione europea, ma solo, eventualmente, sulla base del diritto interno. La conseguenza è che la possibilità per il singolo di ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione della direttiva 2008/50 varierà in maniera importante a seconda dello Stato membro interessato e del modello di tort law sul quale è improntato il singolo ordinamento nazionale.
La seconda concerne il potenziale impatto della sentenza JP sull’interpretazione della prima condizione della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione. Se l’approccio adottato nella sentenza JP, piuttosto che essere dettato da considerazioni di politica giudiziaria, dovesse fungere da modello per un irrigidimento della nozione di norme intese a conferire diritti ai singoli, il risultato sarebbe quello di privare di tutela risarcitoria tutti gli interessi individuali che non siano esplicitamente e specificamente presi in considerazione da normative volte alla tutela di interessi generali o diffusi e, dunque, di restringere in maniera non indifferente la portata della tutela offerta dal rimedio Francovich.
IV. Considerazioni conclusive
Nonostante le oscillazioni che hanno caratterizzato la giurisprudenza, piuttosto casistica, della Corte di giustizia in materia, l’indagine svolta permette di evidenziare alcuni elementi utili per l’interpretazione della prima condizione della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione, con particolare riferimento al tema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione di interessi diffusi.
È possibile osservare, infatti, come l’interpretazione di tale condizione fornita dalla Corte di giustizia a partire da Berlington Hungary, e poi rifinita in JP, stia progressivamente contribuendo a creare uno iato tra tutela sostanziale e tutela risarcitoria con riferimento a quelle norme che, pur essendo sufficientemente precise e incondizionate da poter essere invocate in giudizio dai singoli, non siano volte direttamente alla tutela di interessi individuali. In questo contesto, l’interesse meramente fattuale del singolo all’osservanza della norma da parte dello Stato sarebbe sufficiente per agire in giudizio al fine di opporsi all’atto o all’omissione delle autorità nazionali competenti in violazione della stessa, ma non per ottenere la tutela risarcitoria, la quale verrebbe riservata ai soli casi in cui l’interesse del singolo coincida con l’interesse tutelato dalla norma. Quest’impostazione, per certi versi, rovescia il paradigma Francovich e rimette in discussione l’idea della tutela risarcitoria come corollario necessario della tutela sostanziale delineata in Brasserie. Per le norme non direttamente volte alla tutela di interessi individuali, la tutela risarcitoria sarebbe preclusa ab origine, in una fase del giudizio logicamente anteriore alla valutazione sulla sussistenza delle altre due condizioni della responsabilità, cioè la violazione sufficientemente qualificata e il nesso di causalità.
Se confermata, quest’impostazione rischia di limitare notevolmente l’accesso al rimedio risarcitorio per le pretese fondate su norme volte alla tutela di interessi diffusi. Anticipando la fase dell’identificazione del titolare del diritto eventualmente conferito dal diritto dell’Unione alla fase di valutazione delle finalità di tutela dell’atto, infatti, la Corte riduce drasticamente le possibilità di ottenere tutela risarcitoria per i danni derivanti dalla violazione di norme che non sono poste a tutela di determinati singoli o categorie di singoli, ma della collettività. Pur avendo spesso tenuto a sottolineare che le condizioni sostanziali del diritto al risarcimento “dipendono dalla natura della violazione […] che è all’origine del danno provocato”,[59] la Corte non tiene realmente in considerazione le peculiarità del caso JP, in cui interessi generali e interessi individuali sono largamente sovrapponibili, e adotta un’interpretazione della prima condizione della responsabilità persino più stringente rispetto al passato.
In una ricostruzione alternativa, la Corte avrebbe potuto, come di consueto, adottare un approccio meno restrittivo in fase di valutazione delle finalità di tutela dell’atto, per poi fornire indicazioni più dettagliate al giudice nazionale con riferimento all’identificazione della cerchia di soggetti beneficiari del diritto al risarcimento e, soprattutto, con riguardo ai criteri per l’accertamento del nesso di causalità.
Per quanto concerne le finalità di tutela dell’atto, si sarebbe potuto ritenere sufficiente, in linea con la giurisprudenza Dillenkofer,[60] il fatto che l’interesse individuale dei singoli fosse compreso nell’ambito di protezione della norma rilevante. In un momento logicamente successivo all’identificazione delle finalità di tutela, la Corte avrebbe potuto poi combinare elementi di diritto con elementi di fatto per identificare la cerchia di soggetti beneficiari del diritto al risarcimento.[61] Ad esempio, per quanto riguarda la direttiva sulla qualità dell’aria, la Corte avrebbe potuto riservare il diritto al risarcimento agli individui che risiedessero in luoghi limitrofi ai punti di campionamento dove fosse stato rilevato il superamento dei valori limite per la qualità dell’aria. Infine, come detto, la Corte avrebbe potuto restringere ulteriormente l’area coperta dalla tutela risarcitoria fornendo indicazioni più dettagliate con riferimento all’accertamento del nesso di causalità, come proposto dall’AG Kokott.
Pur probabilmente motivata da considerazioni di politica giudiziaria, la sentenza JP rappresenta l’ennesima manifestazione di una giurisprudenza casistica e dai contorni poco chiari, che non è priva di implicazioni pratiche sul concreto atteggiarsi della tutela risarcitoria nell’ordinamento dell’Unione.
Infatti, in assenza di specifici criteri delineati al livello sovranazionale, la valutazione relativa alla prima condizione per il sorgere della responsabilità dello Stato e, di conseguenza, l’estensione della tutela risarcitoria nell’ordinamento dell’Unione finisce per ricadere totalmente sui giudici nazionali.[62] Ciò genera il rischio che, più o meno consapevolmente, l’interpretazione e l’applicazione della nozione di “diritti” conferiti dal diritto dell’Unione europea venga “contaminata” dagli strumenti interpretativi e, più in generale, dalle tradizioni giuridiche inerenti ai singoli ordinamenti nazionali. È opportuno segnalare, in questo senso, che nello spazio europeo convivono diversi modelli di responsabilità: in alcuni ordinamenti, come quello tedesco, il diritto al risarcimento del danno è strettamente legato a una valutazione sulla finalità di protezione della disposizione giuridica rilevante; in altri ordinamenti, come quello francese, anche l’interesse fattuale pregiudicato dal comportamento illegittimo dell’autorità può far sorgere la responsabilità risarcitoria dello Stato.[63]
Data la centralità della prima condizione della responsabilità, anche sul piano sistematico, sarebbe auspicabile la definizione di criteri chiari, a livello sovranazionale, per l’interpretazione della locuzione “norme intese a conferire diritti ai singoli”. L’approccio casistico seguito finora rischia di incidere negativamente sulle stesse finalità del principio della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione: la tutela dei diritti e la piena efficacia delle norme di diritto dell’Unione.
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European Papers, Vol. 8, 2023, No 1, European Forum, Insight of 30 May 2023, pp. 131-147
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/643
* Assegnista di ricerca, Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, marco.fisicaro@unitelmasapienza.it.
[1] Causa C-61/21 JP c Ministre de la Transition écologique e Premier Ministre ECLI:EU:C:2022:1015.
[2] Causa C-752/18 Deutsche Umwelthilfe eV c Freistaat Bayern ECLI:EU:C:2019:1114 par. 54-55.
[3] D Misonne, ‘Arm Wrestling around Air Quality and Effective Judicial Protection. Can Arrogant Resistance to EU Law-related Orders Put You in Jail?’ (2020) Journal for European Environmental & Planning Law 409, 422-423; U Taddei e I Kotiuk, ‘The Individual Right to Clean Air and the Spectre of Francovich Damages for State Failures to Comply with EU Air Quality Rules (Case C-61/21)’ (22 marzo 2022) EU Law Live www.eulawlive.com.
[4] Come notato anche dai primi commentatori: P De Pasquale, ‘“Francovich ambientale”? Sarà per un’altra volta. Considerazioni a margine della sentenza Ministre de la Transition écologique’ (4 gennaio 2023) BlogDUE www.aisdue.eu; M Pagano, ‘Human Rights and Ineffective Public Duties: The Grand Chamber Judgment in JP v. Ministre de la Transition écologique’ (2 febbraio 2023) European Law Blog www.europeanlawblog.eu, il quale nota come “the judgment thus indicates that the Court balances the duty of securing individual rights with the need of avoiding that Member States are overwhelmed by compensation claims, clearly favouring the latter”.
[5] Si vedano, tra le altre, causa C-488/15 Commissione c Bulgaria ECLI:EU:C:2017:267; causa C-636/18 Commissione c Francia ECLI:EU:C:2019:900; causa C-286/21 Commissione c Francia ECLI:EU:C:2022:319; causa C-638/18 Commissione c Romania ECLI:EU:C:2020:334; causa C-644/18 Commissione c Italia ECLI:EU:C:2020:895; causa C-637/18 Commissione c Ungheria ECLI:EU:C:2021:92; causa C-635/18 Commissione c Germania ECLI:EU:C:2021:437.
[6] Sul punto, si veda anche causa C-61/21 JP c Ministre de la Transition écologique e Premier Ministre ECLI:EU:C:2022:359, conclusioni dell’AG Kokott, par. 97-102 (di seguito “AG Kokott in JP”).
[7] Causa C-420/11 Jutta Leth c Republik Österreich e Land Niederösterreich ECLI:EU:C:2013:166 (di seguito Leth).
[8] JP cit. par. 54-56 (corsivo aggiunto).
[9] F Schockweiler, ‘La responsabilité de l’autorité nationale en cas de violation du droit communautaire’ (1992) Revue trimestrielle de droit européen 27, 44; H Somsen, ‘Francovich and its Application to EC Environmental Law’ in H Somsen (ed) Protecting the European Environment: Enforcing EC Environmental Law (Blackstone Press 1996) 135; S Prechal e L Hancher, ‘Individual Environmental Rights: Conceptual Pollution in EU Environmental Law’ (2002) Yearbook of European Environmental Law 89; S Amadeo, Norme comunitarie, posizioni giuridiche soggettive e giudizi interni (Giuffrè 2002) 284; P Wennerås, ‘State Liability for Decisions of Courts of Last Instance in Environmental Cases’ (2004) JEL 329.
[10] Cause riunite C-6/90 e C-9/90 Francovich e altri c Repubblica italiana ECLI:EU:C:1991:428 (di seguito Francovich).
[11] Cause riunite C-46/93 e C-48/93 Brasserie du pêcheur c Bundesrepublik Deutschland e The Queen c Secretary of State for Transport, ex parte Factortame ECLI:EU:C:1996:79, par. 22 (di seguito Brasserie).
[12] G de Búrca, ‘The Language of Rights and European Integration’ in G More e J Shaw (a cura di), New Legal Dynamics of European Union (OUP 1996) 24.
[13] Alcuni tentativi ricostruttivi sono stati svolti in dottrina: S Amadeo, Norme comunitarie cit.; S Beljin, ‘Rights in EU Law’, in S Prechal e B van Roermund (eds), The Coherence of EU Law: The Search for Unity in Divergent Concepts (OUP 2008) 91; B Thorson, Individual Rights in EU Law (Springer 2016); C Warin, Individual Rights Under European Union Law (Nomos 2019).
[14] Come notato da T Eilmansberger, ‘The Relationship Between Rights and Remedies in EC Law: In Search of the Missing Link’ (2004) CMLRev 1199, 1205-1206 e 1231-1234. Non è un caso che il dibattito sulla nozione di “diritti” conferiti dal diritto dell’Unione europea si sia sviluppato specialmente nel periodo immediatamente successivo alla sentenza Francovich: oltre al contributo appena citato, si vedano tra gli altri N Reich, ‘“System der subjectiven öffentlichen Rechte” in the Union: A European Constitution for Citizens of Bits and Pieces’ in Collected Courses of the Academy of European Law (Nijhoff 1995) 157; M Ruffert, ‘Rights and Remedies in European Community Law: A Comparative View’ (1997) CMLRev 307; C Hilson e TA Downes, ‘Making Sense of Rights: Community Rights in E.C. Law’ (1999) ELR 121; W Van Gerven, ‘Of Rights, Remedies and Procedures’ (2000) CMLRev 501; S Amadeo, Norme comunitarie cit.
[15] Tutte citate, non a caso, in apertura della parte relativa al principio della responsabilità dello Stato: Francovich cit. 31-35. Su Francovich come naturale conseguenza del trittico Van Gend en Loos, Costa e Simmenthal, si vedano tra gli altri J Steiner, ‘From Direct Effects to Francovich: Shifting Means of Enforcement of Community Law’ (1993) ELR 3, 9; A Tizzano, ‘La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri dell’Unione europea’ (1995) Il Foro Italiano 13, 26-28; nonché, più di recente, A Biondi e M Farley, The Right to Damages in European Law (Kluwer 2009) 15-16; F Ferraro, La responsabilità risarcitoria degli Stati per violazione del diritto dell’Unione (II ed. Giuffrè 2012) 38.
[16] Sulla doppia funzione della prima condizione della responsabilità, si veda A Biondi e M Farley, ‘Damages in EU Law’ in T Tridimas e R Schütze (eds), Oxford Principles of European Union Law. Volume I: The European Union Legal Order (OUP 2018) 1040, 1049.
[17] Come noto, secondo la Corte, le disposizioni della direttiva 80/987 identificavano in maniera sufficientemente precisa e incondizionata il titolare del diritto e il contenuto materiale dello stesso, ma non l’identità del soggetto tenuto alla garanzia: Francovich cit. par. 23-26. Si trattava, per così dire, di un diritto a composizione progressiva, in cui la posizione giuridica soggettiva “incompleta” predisposta dal diritto dell’Unione doveva essere “completata” dallo Stato in fase di attuazione della direttiva: sulla “stranezza sistematica” di tale meccanismo si veda E Cannizzaro, ‘Effettività del diritto dell’Unione e rimedi processuali nazionali’ (2013) Il Diritto dell’Unione europea 659, 666-668
[18] Relativamente più ampia, anche se non strettamente rilevante ai fini di questo contributo, è invece la giurisprudenza relativa alla prima condizione della responsabilità extracontrattuale dell’Unione per atti delle istituzioni, sia prima che dopo l’equiparazione delle condizioni sostanziali tra i due istituti avviata con la sentenza Bergaderm: per un’analisi di questa giurisprudenza, si veda P Aalto, Public Liability in EU Law. Brasserie, Bergaderm and Beyond (Hart 2011) 127-132.
[19] Causa C-222/02 Peter Paul e altri c Bundesrepublic Deutschland ECLI:EU:C:2004:606 (di seguito Peter Paul); causa C-98/14 Berlington Hungary e altri c Magyar Állam ECLI:EU:C:2015:386 par. 107-110 (di seguito Berlington Hungary).
[20] Ad esempio in cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94 Dillenkofer e altri c Bundesrepublik Deutschland ECLI:EU:C:1996:375 par. 30-42 (di seguito Dillenkofer).
[21] Si veda, ad esempio, Brasserie cit. par. 54. Cfr. anche le conclusioni dell’AG Tesauro nella stessa causa, in cui si osserva come la prima condizione risulti “per definizione […] sempre soddisfatta nell’ipotesi di norme provviste di effetto diretto” (cause riunite C-46/93 e C-48/93 Brasserie du pêcheur c Bundesrepublik Deutschland e The Queen c Secretary of State for Transport, ex parte Factortame ECLI:EU:C:1995:407, conclusioni dell’AG Tesauro, par. 56). Sul rapporto tra effetti diretti e prima condizione della responsabilità: S Prechal, ‘Member State Liability and Direct Effect: What’s the Difference After All?’ (2006) European Business Law Review 299, 304-306; B Thorson, Individual Rights in EU Law cit. 69-73; D Gallo, L’efficacia diretta del diritto dell’Unione europea negli ordinamenti nazionali (Giuffrè 2018) 259-273.
[22] Un inquadramento del caso Peter Paul nell’ambito del più ampio tema della responsabilità delle autorità di vigilanza bancaria nei confronti dei depositanti è offerto da M Tison, ‘Do Not Attack the Watchdog! Banking Supervisor’s Liability After Peter Paul’ (2005) CMLRev 639.
[23] Peter Paul cit. par. 36-38, 40 e 42-43.
[24] Ibid. par. 30-31 e 16.
[25] Ibid. par. 49.
[26] Prechal sottolinea come “Peter Paul marks a reorientation of the case law, as it tightened considerably the individual interest requirement” (S Prechal, ‘Protection of Rights: How Far?’, in S Prechal e B van Roermund (eds), The Coherence of EU Law: The Search for Unity in Divergent Concepts (OUP 2008) 155, 166). Nella stessa direzione, M Tison, ‘Do Not Attack the Watchdog!’ cit. 668-670; N Reich, ‘Horizontal Liability in EC Law: Hybridization of Remedies for Compensation in Case of Breaches of EC Rights’ (2007) CMLRev 705, 718; A Biondi e M Farley, The Right to Damages in European Law cit. 37.
[27] Ad esempio, nella sentenza Dillenkofer, la Corte aveva osservato come “il fatto che la direttiva [fosse] destinata a garantire altri obiettivi non [era] tale da escludere che le sue norme [fossero] dirette anche a proteggere i consumatori”: Dillenkofer cit. par. 39 (corsivo aggiunto).
[28] Peter Paul cit. par. 49.
[29] Sull’importanza di tale norma nella decisione della Corte in Peter Paul, si veda P Wennerås, The Enforcement of EC Environmental Law (OUP 2007) 154-155.
[30] Si veda, ad esempio, la sentenza Danske Slagterier, in cui la Corte ha ritenuto sufficiente che “la libera circolazione delle merci [fosse] uno degli obiettivi delle direttive” in questione per qualificare tali direttive come intese a conferire diritti ai singoli: Causa C-445/06 Danske Slagterier c Repubblica federale di Germania ECLI:EU:C:2009:178 par. 23. In senso avverso si era pronunciato l’AG Trstenjak, il quale considerava non integrata la prima condizione della responsabilità (causa C-445/06 Danske Slagterier c Repubblica federale di Germania ECLI:EU:C:2008:464, conclusioni dell’AG Trstenjak, par. 56-73).
[31] Ne è riprova il fatto che la stessa AG Kokott, nelle sue conclusioni al caso JP, abbia tenuto a sottolineare che Peter Paul rappresenta “la sola sentenza in cui la Corte ha respinto un diritto al risarcimento in quanto le normative in questione non erano preordinate a conferire diritti ai singoli” (AG Kokott in JP cit. par. 82).
[32] Berlington Hungary cit. par. 107-110.
[33] Causa C-194/94 CIA Security International SA c Signalson SA e Securitel SPRL ECLI:EU:C:1996:172; causa C-443/98 Unilever Italia SpA c Central Food SpA ECLI:EU:C:2000:496 (di seguito Unilever). Su cui si vedano ex multis S Amadeo, ‘L’efficacia “obiettiva” delle direttive comunitarie ed i suoi riflessi nei confronti dei privati. Riflessioni a margine delle sentenze sui casi Linster e Unilever’ (2001) Il Diritto dell’Unione europea 95; S Weatherill, ‘Breach of Directives and Breach of Contract’ (2001) ELR 177; M Dougan, ‘Case C-443/98, Unilever Italia v. Central Food’ (2001) CMLRev 1503.
[34] Unilever cit. par. 51.
[35] Direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, considerando 2.
[36] La sentenza di riferimento è causa C-237/07 Dieter Janecek c Freistaat Bayern ECLI:EU:C:2008:447 (di seguito Janecek), su cui si veda G Vitale, ‘L’“autonomia procedurale” nel caso Janecek e le possibili ricadute sull’ordinamento giuridico italiano’ (2009) Il Diritto dell’Unione europea 403; H Doerig, ‘The German Courts and European Air Quality Plans’ (2014) JEL 139. Cfr. anche causa C-404/13 ClientEarth c The Secretary of State for the Environment, Food and Rural Affairs ECLI:EU:C:2014:2382 (di seguito Client Earth); causa C-723/17 Lies Craeynest e altri c Brussels Hoofdstedelijk Gewest e Brussels Instituut voor Milieubeheer ECLI:EU:C:2019:533 (di seguito Craeynest); Deutsche Umwelthilfe cit. Sul private enforcement della direttiva sulla qualità dell’aria nella giurisprudenza della Corte, si veda L Calzolari, ‘Il contributo della Corte di giustizia alla protezione e al miglioramento della qualità dell’aria’ (2021) Rivista giuridica dell’ambiente 803, 831-841.
[37] JP cit. par. 54.
[38] Ibid. par. 55-56.
[39] Ibid. par. 62.
[40] Si veda anche ibid. par. 64.
[41] Ibid. par. 63.
[42] Come noto, il ruolo di “vigilanza” dei singoli con riferimento alla corretta applicazione del diritto dell’Unione è stato enfatizzato dalla Corte nella causa C-26/62 Van Gend en Loos c Administratie der Belastingen ECLI:EU:C:1963:1. Sul punto, si veda anche J Weiler, ‘Van Gend en Loos: The individual as subject and object and the dilemma of European legitimacy’ (2014) ICON 94, 96.
[43] JP cit. par. 62.
[44] Ibid. par. 64.
[45] S Prechal e L Hancher, ‘Individual Environmental Rights’ cit. 108-109; M Dougan, ‘Addressing Issues of Protective Scope Within the Francovich Right to Reparation’ (2017) EuConst 124, 145-149.
[46] Si veda, in particolare, causa C-565/19 P Carvalho e altri c Parlamento e Consiglio ECLI:EU:C:2021:252.
[47] Anche se il divergente approccio tra accesso ai rimedi giurisdizionali interni e accesso alla Corte di giustizia, naturalmente, non è scevro da critiche: I Hadjiyianni, ‘Judicial Protection and the Environment in the EU Legal Order: Missing Pieces for a Complete Puzzle of Legal Remedies’ (2021) CMLRev 777. Cfr. anche M Eliantonio, ‘The Relationship Between EU Secondary Rules and the Principles of Effectiveness and Effective Judicial Protection in Environmental Matters: Towards a New Dawn for the “Language of Rights”?’ (2019) Review of European Administrative Law 95; L Krämer, ‘Article 47 of the Charter and Effective Judicial Protection in Environmental Matters: The Need to Grant Civil Society the Right to Defend the Environment’ in M Bonelli, M Eliantonio e G Gentile (eds), Article 47 of the EU Charter and Effective Judicial Protection. The Court of Justice’s Perspective (Vol. I Hart 2022) 195.
[48] Cfr. Client Earth cit. par. 50-58; Deutsche Umwelthilfe cit.
[49] Si veda, ex multis, causa C-470/03 A.G.M.-COS.MET Srl c Suomen valtio e Tarmo Lehtinen ECLI:EU:C:2007:213 par. 88.
[50] Per una diversa opinione, si vedano M Pagano, ‘Human Rights and Ineffective Public Duties’ cit.; H van Eijken e J Krommendijk, ‘Does the Court of Justice Clear the Air: A Schutznorm in State Liability After All? JP v Ministre de la Transition Écologique’ (10 gennaio 2023) EU Law Live www.eulawlive.com.
[51] JP cit. par. 56. Il richiamo alle “categorie di singoli” sembra legato all’esigenza di conciliare JP con sentenze come Dillenkofer cit., in cui la Corte ad esempio aveva garantito accesso al risarcimento alla categoria dei consumatori dei viaggi “tutto compreso”.
[52] Causa C-361/88 Commissione c Repubblica federale di Germania ECLI:EU:C:1991:224 par. 16, nonché, in maniera ancora più chiara le conclusioni dell’AG Mischo nella stessa causa (Causa C-361/88 Commissione c Repubblica federale di Germania ECLI:EU:C:1991:43, conclusioni dell’AG Mischo, par. 23). Cfr. anche causa C-59/89 Commissione c Repubblica federale di Germania ECLI:EU:C:1991:225 par. 19; nonché, in materia di qualità dell’acqua, anche causa C-58/89 Commissione c Repubblica federale di Germania ECLI:EU:C:1991:391 par. 14.
[53] JP cit. par. 34-41.
[54] AG Kokott in JP cit. par. 100.
[55] Sul punto cfr. in particolare Craeynest cit. par. 57-68.
[56] Leth cit. par. 34-36. La Corte, in questa sede, aveva tra l’altro distinto tra danni patrimoniali direttamente collegati all’impatto ambientale del progetto e danni che non hanno la loro fonte diretta nell’impatto ambientale del progetto, come taluni svantaggi concorrenziali (par. 36). Su questo profilo e sulla sentenza Leth in generale cfr. anche H Vedder, ‘Leth: Court Rules Out Francovich Claim on the Basis of the Environmental Impact Assessment Directive’ (27 marzo 2013) European Law Blog www.europeanlawblog.eu.
[57] Leth cit. par. 45-47.
[58] AG Kokott in JP cit. par. 126-142. Sulle difficoltà relative all’accertamento del nesso causale, cfr. P De Pasquale, ‘“Francovich ambientale”? Sarà per un’altra volta’ cit. 7-8.
[59] Francovich cit. par. 38. La stessa formulazione è adottata, tra le altre, in Brasserie cit. par. 38; Dillenkofer cit. par. 20; causa C-5/94 The Queen c Ministry of Agriculture, Fisheries and Food, ex parte Hedley Lomas (Ireland) ECLI:EU:C:1996:205 par. 24.
[60] Dillenkofer cit. par. 39.
[61] Sulla combinazione tra elementi di diritto ed elementi di fatto per l’identificazione della cerchia di beneficiari del diritto, si veda S Beljin, ‘Rights in EU Law’ cit. 118-119, secondo la quale “the less one can derive from the norm, the greater the significance of being concerned factually”. Cfr. anche M Ruffert, ‘Rights and Remedies in European Community Law’ cit. 326-327.
[62] Con le annesse difficoltà in fase applicative, su cui si veda T Lock, ‘Is Private Enforcement of EU Law Through State Liability a Myth? An Assessment 20 Years After Francovich’ (2012) CMLRev 1675, 1693.
[63] Si veda, in particolare, C Van Dam, European Tort Law (II ed. OUP 2013) 167 ss. Sul rapporto tra la nozione di “diritti” nell’ordinamento dell’Unione europea e i modelli nazionali, cfr. C Warin, Individual Rights under European Union Law cit. 42-65. Con specifico riferimento al rapporto con la dottrina tedesca della Schutznorm cfr. M Ruffert, ‘Rights and Remedies in European Community Law’ cit.; N Reich, ‘System der subjectiven öffentlichen Rechte’ cit.; T Eilmansberger ‘The Relationship Between Rights and Remedies in EC Law’ cit.