La prima decisione sul Regolamento Roma III e la legge italiana sul divorzio: le difficoltà del giudice straniero il cui ordinamento non conosca l’istituto della separazione legale

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Abstract: EU Member States have different understanding as to divorce and separation proceedings. While some States only have divorce and do not know separation proceedings, others will consider both proceedings as alternative remedies in matrimonial claims. Italy is the only MS where a legal separation proceeding is a necessary precondition to file a divorce application. When a proceeding in matrimonial matters is governed by the Italian law, as made applicable by the Rome III EU Regulation, but the claim is brought in a forum that has no knowledge of separation, delicate PIL issues arise. Such an issue was referred for preliminary ruling to the Court of Justice of the European Union (CJEU), the case JE v KF (case C-249/19 JE (Law applicable to divorce) ECLI:EU:C:2020:570). The Insight critically assesses the decision given by the Court, suggesting that the attempt to provide for a practical solution is in fact inconsistent with the aim of the Regulation to provide certainty in the applicable law.

Keywords: EU Regulation 1259/2010 – international divorce – cross border divorce – jurisdiction – legal separation – international family.
 

I. La decisione della CGUE nel caso JE c KF

A quasi dieci anni dall’entrata in vigore dal Regolamento Roma III sulla legge applicabile al divorzio,[1] sono solo due le decisioni adottate dalla Corte di giustizia a seguito di rinvio pregiudiziale su questo regolamento. La prima di queste, peraltro, adottata nel 2017, concludeva nel senso della non applicabilità dello stesso.[2] Ancora meno frequenti sono le decisioni straniere che facciano applicazione diretta della legge italiana sul divorzio.

Il ricorrere di entrambe queste circostanze giustifica l’interesse per la decisione JE c KF resa dalla Corte di giustizia il 16 luglio 2020,[3] di fatto la prima decisione che si pronuncia sull’applicazione del Regolamento Roma III. Benché depositata ormai diversi mesi fa, non pare avere attirato l’attenzione della dottrina italiana,[4] nonostante il rilievo che la pronuncia riveste proprio per il nostro ordinamento.

II. I Fatti e la questione controversa

I fatti appaiono persino banali nella loro semplicità e, come tali, sono suscettibili di ripetersi infinite volte. Una coppia di cittadini rumeni, sposata in Romania e venuta a lavorare in Italia, dove nasce una bambina, decide di separarsi e di andare ciascuno per la sua strada. Il marito introduce allora il procedimento per il divorzio nel proprio paese d’origine, la Romania. Non è dato sapere se vi abbia anche riportato la residenza o se questa sia rimasta in Italia. La moglie però resta contumace nel giudizio rumeno; dagli atti processuali di fronte alla Corte non è chiaro se fosse d’accordo nel chiedere il divorzio. È probabile però che non lo fosse (o almeno non a farlo applicando la legge rumena).

Il giudice rumeno gestisce correttamente i profili preliminari: afferma la propria giurisdizione ai sensi dell’art. 3(2), reg. Bruxelles II-bis, stante la comune cittadinanza dei coniugi, e poi passa a determinare quale sia la legge applicabile facendo applicazione del Reg. Roma III. Non avendo le parti operato alcuna scelta di legge – sebbene il regolamento consenta loro di fare ciò fino all’introduzione del giudizio (v art. 5 e in seguito par. V) – procede sulla base dell’art. 8 (legge applicabile in mancanza di scelta) e correttamente conclude che la legge regolatrice del divorzio è quella della residenza abituale dei coniugi al momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale (art. 8(a)): dunque la legge italiana. Conviene ricordare che l’art. 8 utilizza criteri di collegamento in ordine successivo (o alternativi a cascata), cosicché al giudice non è consentito utilizzare i criteri successivi, quando sia integrato uno di quelli menzionati in precedenza. Così, sebbene l’art. 8 preveda anche il luogo di comune cittadinanza e la lex fori (rispettivamente art. 8(c)(d)), a tali criteri non può fare ricorso se, come nel caso in esame, risulta applicabile il criterio della residenza abituale comune (art. 8(a)), oppure quello previsto dall’art. 8(b) dell’ultima residenza abituale dei coniugi, quando almeno uno dei coniugi vi risieda ancora, oppure risalga a non più di un anno da quando è adita l’autorità giurisdizionale).

I problemi sorgono, però, proprio con l’applicazione della legge italiana. Il giudice accerta infatti che la nostra legge n. 898/1970 consente di pronunciare il divorzio solo quando sia stata previamente accertata la separazione legale delle parti – con sentenza a seguito di separazione giudiziale, o con l’omologazione del giudice nel caso di separazione consensuale – e siano decorsi almeno tre anni tra il deposito della sentenza di separazione e la proposizione della domanda di divorzio. Accertato che tali circostanze non sono integrate nel caso di specie, il giudice conclude per l’inammissibilità della domanda di divorzio proposta di fronte alla corte rumena. Aggiunge anche – e come vedremo su questo passaggio si appunta la reazione della Corte di giustizia – che poiché l’ordinamento romeno non conosce l’istituto della separazione, “la procedura di cui trattasi deve svolgersi dinnanzi alle autorità giurisdizionali italiane”. Il giudice rumeno sembra dunque ritenere che, visto che la legge applicabile italiana prevede condizioni di sostanza e di procedura entrambe non note all’ordinamento del foro, non resta che dichiarare inammissibile la domanda e invitare le parti ad adire il giudice italiano. Quest’ultimo passaggio, come vedremo, è errato sul piano giuridico, sebbene indubbiamente abbia una sua ragionevolezza sul piano pratico.

A questo punto il marito, che può immaginarsi confuso e disorientato, impugna la sentenza che gli preclude non solo un divorzio rapido, ma anche l’accesso alle corti rumene, obbligandolo alla lunga trafila prevista la legge italiana e a richiedere prima la separazione e poi il divorzio in una corte per lui “scomoda” e lontana.

Nel giudizio di appello di fronte al tribunale superiore di Bucarest, cerca dunque una via d’uscita nell’art. 10 Regolamento Roma III,[5] che prescrive l’applicazione della legge del foro quando la legge applicabile ai sensi dell’art. 5 (e cioè scelta dalle parti) o dell’art. 8 (e cioè determinata dal legislatore in mancanza di scelta delle parti) “non prevede il divorzio”.[6]

Il giudice decide dunque di sospendere il procedimento e di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia per sapere se possa farsi ricorso alla lex fori anche nel caso in cui la legge straniera applicabile al divorzio, pur conoscendo tale istituto, lo contempli a condizioni che, parametrate a quelle del foro, appaiono eccezionalmente restrittive, in particolare perché implicano un procedimento obbligatorio di separazione personale, procedimento per il quale la legge del foro non contiene disposizioni procedurali equivalenti.

III. L’interpretazione della Corte: la legge italiana, applicabile in forza del Regolamento, non può essere disapplicata solo perché pone condizioni di divorzio più onerose di quanto prescritto dalla lex fori rumena…

Il giudice rumeno del divorzio chiede dunque alla Corte di giustizia se sia possibile disapplicare la legge italiana e applicare invece la lex fori rumena, non perché più favorevole al divorzio nel caso concreto, ma perché è l’unica in concreto applicabile. A tale scopo suggerisce un’interpretazione estensiva di una norma, l’art. 10 del Regolamento Roma III, formulata per essere una clausola di salvaguardia per i casi limite, in cui legge astrattamente applicabile non preveda il divorzio. Il giudice rumeno ne suggerisce invece un’interpretazione ampia, così da includervi anche quei casi in cui la legge applicabile, pur prevedendo il divorzio, lo preveda a condizioni più restrittive di quelle previste dal foro, tanto da rendere il raggiungimento dell’obiettivo voluto dalle parti molto più lungo e complesso.

La Corte non ha esitazioni a fornire risposta negativa, senza necessità di entrare nel merito del contenuto specifico della legge italiana. In effetti, l’ipotesi ventilata dal giudice rumeno non è compatibile né con la lettera, né con gli obiettivi del regolamento.

Rileva innanzitutto il tenore testuale della norma. Quale portata attribuirsi alla fattispecie nella quale la legge applicabile “non prevede il divorzio” trova un’utile, sebbene indiretta, indicazione nel considerando n. 26. Sebbene posto con riferimento ad altra norma (l’art. 13, relativo ai casi di divergenza tra le legislazioni nazionali), questo chiarisce che tale espressione “dovrebbe essere interpretat[a] nel senso che la legge di tale Stato membro non contempla l’istituto del divorzio”.[7]

La Corte osserva poi che una valutazione volta ad accertare se le condizioni per il divorzio previste dalla legge straniera siano più restrittive di quelle poste dalla legge del foro appare operazione logicamente successiva alla determinazione della stessa e contrasta con l’obiettivo principale del regolamento di garantire la certezza del diritto e la prevedibilità nei procedimenti matrimoniali, e dunque, in ultima istanza, con l’obiettivo di favorire la libera circolazione delle persone.[8]

D’altra parte, il fatto stesso che vi sia un regolamento sulla legge applicabile al divorzio implica che gli Stati che aderiscono a tale cooperazione rafforzata (e conviene ricordare che sono tutt’ora solo 17)[9] hanno accettato l’idea che allo scioglimento del matrimonio possa applicarsi una legge straniera, con un contenuto diverso da quella del foro. L’applicazione della lex fori deve, dunque, costituire un’eccezione, da interpretarsi restrittivamente.

Insomma, la Corte ha gioco facile nell’affermare che il mero fatto che la legge applicabile contempli l’istituto del divorzio e dunque che riconosca la possibilità di uno scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale, esclude l’applicazione dell’art. 10, e che è pertanto irrilevante la successiva disamina delle condizioni sostanziali e procedurali cui questo è subordinato. La conclusione era peraltro già pacificamente delineata in dottrina.[10]

Posto che oggi tutti gli Stati membri dell’Unione europea conoscono norme sul divorzio,[11] l’art. 10 è destinato a non trovare mai applicazione quando la legge applicabile è quella di uno Stato membro. La norma conserva però una sua utilità in considerazione dell’applicazione universale del Regolamento Roma III e dunque per quei casi, sempre possibili, in cui la legge applicabile è quella di un ordinamento terzo rispetto all’Unione europea, la cui legislazione interna prevede l’indissolubilità assoluta del matrimonio ovvero la sua dissolubilità a condizioni differenziate per ciascuno dei coniugi e dunque discriminatorie in ragione del sesso, così costituendo uno strumento di diritto materiale a garanzia dei diritti fondamentali.[12]

Insomma, sebbene il favor divortii sia una policy condivisa dagli Stati membri e sottesa sia al Regolamento Roma III sia al regolamento Bruxelles II-bis – tanto da consentire la scelta sia del foro sia della legge più favorevole al divorzio, purché ciò avvenga mediante un accordo di entrambe le parti che sia esplicito e che sia formalizzato al più tardi in limine litis – pur tuttavia tale favor non può spingersi sino a consentire la disapplicazione d’ufficio della legge che risulti in concreto meno favorevole al divorzio, ma che sia stata determinata sulla base di una norma del regolamento. Il punto appare talmente pacifico e lineare che non necessita ulteriore elaborazione.

IV. … Ma come fare se l’ordinamento del foro non conosce l’istituto della separazione? La soluzione proposta dalla Corte e dal suo Avvocato Generale

Dunque, il giudice rumeno è tenuto ad applicare la legge italiana al divorzio di due cittadini rumeni residenti in Italia. La cosa è però più facile a dirsi che a farsi. Anche per la Corte di giustizia è tutt’altro che semplice affrontare le conseguenze del principio di diritto appena affermato e gestire le difficoltà pratiche che ne derivano nel caso concreto. La Corte non può però esimersi dal fornire qualche abbozzo di soluzione, visto che il rinvio pregiudiziale è concepito per fornire una risposta utile, che consenta al giudice del rinvio di dirimere la controversia sottopostagli e visto che il giudice del rinvio esplicitamente la sollecita in tal senso.

Purtroppo però la Corte (come pure il suo AG) dedica a tale punto spinoso minore attenzione di quanta sarebbe stata necessaria e la risposta infine fornita appare ambigua e nel complesso insoddisfacente. Visto il contesto, poi, è certamente un peccato che il governo italiano non sia intervenuto in giudizio, rinunciando a fornire informazioni indispensabili sulle caratteristiche e le peculiarità della legislazione italiana, che costituisce ormai un’incomprensibile (per gli altri) anomalia nel quadro europeo.

La premessa è che l’ordinamento rumeno, come quello di diversi altri Stati UE, conosce solo l’istituto del divorzio e non quello della separazione dei corpi, cosicché il giudice rumeno, pur volendo applicare la legge straniera, si trova in concreto in imbarazzo sul come procedere.

Il problema non è dato, evidentemente, dall’accertare le condizioni sostanziali alle quali la legge italiana consente la separazione degli sposi – e cioè l’impossibilità per i coniugi di proseguire la convivenza – quanto piuttosto dall’impossibilità di rispettare la condizione, definita “procedurale” dalla Corte, di adottare una sentenza sulla separazione (o di omologare quanto convenuto tra le parti). L’attenzione della Corte è così tutta focalizzata su come valutare il requisito di una sentenza, la cui adozione non è prevista nel foro. Se nell’ordinamento italiano è necessaria una “sentenza” di separazione, dalla quale decorre l’intervallo temporale occorrente ai fini del ricorso per divorzio, come fare se una sentenza con tale contenuto non è prevista nell’armamentario giuridico straniero?

Inutilmente il giudice del rinvio sottolinea che nel suo foro domande di tale natura, evidentemente non nuove, sono in genere respinte in quanto inammissibili perché il diritto rumeno non prevede una procedura di separazione personale; oppure in quanto premature, perché richieste al giudice rumeno prima della necessaria sentenza di separazione legale adottata dal giudice italiano; oppure ancora perché infondate per questi due motivi combinati tra loro.[13]

La Corte risponde in modo enigmatico, istruendo il giudice rumeno che, “pur non potendo pronunciare egli stesso una tale separazione, deve tuttavia verificare che le condizioni sostanziali previste dalla legge straniera siano soddisfatte e accertarle nell’ambito del procedimento di divorzio di cui è investito”.[14]

La risposta è doppiamente ambigua. Da una parte perché sovrappone condizioni sostanziali e condizioni procedurali; dall’altra perché sovrappone il giudizio sulla separazione a quello sul divorzio, istituti che sono invero ben distinti. In ogni caso la frase pare lontana dal fornire lumi adeguati al povero giudice rumeno.

Né si perviene ad una miglior comprensione leggendo le conclusioni dell’avvocato generale Tanchev.[15] Anzi, il lettore italiano vi resterà ancor più disorientato. Secondo l’avvocato generale quando la legge applicabile prevede una condizione processuale che il giudice adito non è in grado di applicare (a causa dei limiti imposti dal proprio diritto processuale), il giudice adito può̀ rimuovere detta condizione processuale, purché siano soddisfatte le condizioni previste dal diritto sostanziale della lex causae. Volendo essere più precisi, egli afferma che “invece di ritenere che la separazione personale debba essere preventivamente constatata o disposta dinanzi ai giudici italiani, i giudici rumeni dovrebbero consentire una siffatta procedura [dunque quella di separazione?][16] e applicare per analogia regole procedurali nazionali in materia di divorzio o addirittura adattare regole procedurali straniere (italiane) in materia di separazione personale”.[17]

Lo stesso poi prosegue chiarendo che: “Nel caso di specie, il giudice adito non è tenuto a riconoscere, attraverso un procedimento distinto, la separazione personale delle parti per un periodo di tre anni [sic!][18] prima del divorzio. Tuttavia, nel procedimento di divorzio, egli deve confermare che detta condizione relativa alla separazione personale sia stata soddisfatta. Al fine di acquisire la prova del rispetto di detta condizione, il giudice adito è tenuto ad adattare, nella misura necessaria, il diritto processuale del foro”.[19]

Il passaggio desta inevitabilmente perplessità per il lettore italiano. Non solo perché mostra scarsa conoscenza del diritto italiano, riferendosi ancora al vecchio regime dei tre anni di separazione, ridotto nel 2015 a sei o dodici mesi dalla separazione a seguito dell’introduzione del c.d. “divorzio breve”;[20] ma soprattutto perché esprime una (per noi) inaccettabile commistione tra condizioni sostanziali (la prova dell’irrimediabile frattura del vincolo coniugale, quale palesata dalla separazione dei coniugi) e condizioni processuali (il giudicato sulla separazione “dei corpi”, quale presupposto e condizione sine qua non per la concessione del divorzio). Certamente il regime italiano dello scioglimento del matrimonio ha caratteri di complessità che non lo rendono di immediata lettura (e il punto sarà meglio ripreso nel par. VI), ma pare comunque saggio che la Corte di giustizia non abbia ripreso i passaggi ora citati del suo AG, limitandosi a formulare quell’enigmatica risposta più sopra riportata.

V. Critica dell’applicazione della legge italiana depurata dagli elementi “ignoti” all’ordinamento del Foro

L’attenzione della Corte di Giustizia non si è appuntata evidentemente sul come gestire le tecnicità del conflitto di leggi. Piuttosto, la Corte si è concentrata sull’esigenza – di valore politico – di sottolineare l’obbligatorietà dell’azione del giudice, secondo cui questi è comunque tenuto a pronunciarsi sulla domanda con la quale è stato adito.[21]

Il buon funzionamento e la stessa ragion d’essere dei regolamenti UE verrebbe frustrato se fosse possibile dismettere il caso pendente, di fatto rifiutando l’esercizio di quella giurisdizione attribuita dal regolamento (CE) n. 2201/2003, solo perché la legge straniera applicabile non è nota al foro nel suo concreto funzionamento operativo. Tale preoccupazione è ben evidenziata nel passaggio in cui la Corte stigmatizza la prassi giurisprudenziale rumena di dichiarare inammissibile, premature o infondate le richieste di divorzio che non siano precedute da una sentenza di separazione, ritenendo che così facendo si “priva di gran parte della loro sostanza le regole uniformi sulla legge applicabile al divorzio e alla separazione personale previste dal regolamento n 1259/2010, pregiudicando così il loro effetto utile”.[22]

La preoccupazione è certamente fondata sul piano astratto, ma, come vedremo, il rimedio proposto può essere peggiore del male che esso vorrebbe curare.

Iniziamo con il ricordare che l’applicazione di diritto straniero sconosciuto nel foro è situazione che, per quanto oggi eccezionale, non può dirsi ignota al diritto internazionale privato. Problemi simili si pongono da tempo anche in altri contesti; basti pensare, tanto per fare un esempio, al caso di un giudice di civil law chiamato ad applicare le norme anglosassoni relative a un trust. In questo quadro costituisce insegnamento consolidato quello secondo cui, quando la norma di conflitto determina la legge applicabile richiamando il diritto straniero, la questione deve essere risolta nel foro come se venisse affrontata dal giudice dell’ordinamento richiamato. Con espressione efficace è stato detto che il giudice del foro deve risolvere la questione come se sedesse all’estero. Nel caso de qua, dunque, al giudice rumeno è chiesto di gestire la situazione come farebbe il giudice italiano.

Qui però iniziano i problemi e la prospettiva suggerita dalla Corte – o quanto meno il risultato concreto a cui questa sembrerebbe condurre – rivela i suoi limiti. Come deve intendersi l’indicazione secondo cui il giudice rumeno deve accertare, nell’ambito del procedimento di divorzio di cui è investito, le condizioni sostanziali previste dalla legge straniera? Astrattamente si profilano due possibilità, entrambe insoddisfacenti.

Da un lato, si può ritenere che la Corte abbia voluto seguire il proprio AG e abbia suggerito al giudice rumeno di soprassedere alla condizione (processuale?) dell’esistenza di una previa sentenza di separazione, e lo solleciti ad accertare la verifica della sola condizione (sostanziale) della separazione di fatto da almeno tre anni (sebbene in realtà, come visto, ne basterebbe uno, o addirittura sei mesi); qualora questa sia soddisfatta, il giudice rumeno sarebbe autorizzato a pronunciare il divorzio.

In effetti, questo è l’iter noto a molti ordinamenti europei, che danno rilievo alla sola separazione di fatto e, una volta accertato tale presupposto, consentono lo scioglimento del matrimonio.[23] Tuttavia, deve escludersi che la condizione sostanziale richiesta dalla legge italiana sia la circostanza, di fatto, della separazione protrattasi per sei o dodici mesi, accertata ex post nel corso del procedimento di divorzio.

Secondo la legislazione italiana, infatti, non è la durata effettiva e continuata di un periodo di separazione che rileva ai fini del divorzio, ma il sussistere di due distinti presupposti, entrambi necessari. Da un lato, una sentenza di separazione (o il decreto di omologazione nel caso di separazione consensuale) che accerti in modo definitivo l’impossibilità di mantenere quella comunione di vita materiale e spirituale che costituisce il fondamento del matrimonio; dall’altro, il successivo decorso di un determinato lasso temporale.[24] D’altra parte l’art. 158 cod. civ. è chiaro nell’affermare che la separazione senza omologazione non produce effetti.[25] Il procedimento di separazione costituisce dunque una fase necessaria e prodromica al giudizio di divorzio, cosicché questo si articola in due step necessari e concatenati. Lungi dall’essere solo una condizione procedurale, la sentenza che definisce la separazione dei coniugi costituisce la condizione e il presupposto sostanziale della stessa azione di divorzio.

Merita altresì di sottolineare che il punto è inteso con una certa rigidità, tanto che, con riguardo alla separazione giudiziale, un consolidato orientamento della Suprema Corte richiede che il giudicato sulla separazione debba necessariamente sussistere prima del radicarsi del giudizio di divorzio, a nulla valendo che lo stesso intervenga successivamente.[26] Parimenti, è del tutto pacifico che il tempo di effettiva separazione che precede la prima udienza presidenziale del giudizio di separazione sia irrilevante e non valga ad abbreviarne la durata.

Dunque, l’opzione di accertare l’avvenuta separazione di fatto, non giudizialmente accertata, per un periodo determinato non potrebbe in alcun modo configurarsi come “applicazione della legge italiana”. E ciò anche a prescindere dalle difficoltà per il giudice rumeno di accertare in concreto l’effettiva separazione, essendo da escludersi che la mera dichiarazione delle parti in tal senso possa essere sufficiente.

Né può ritenersi che tale operazione configuri un’applicazione della tecnica dell’adattamento o Anpassung, metodo poco noto alla prassi internazional-privatistica italiana ma che ha un certo seguito negli ordinamenti di lingua germanica, che consente di riadattare il contenuto delle norme straniere ai fini della loro applicazione nel foro.[27] Ciò che verrebbe applicato non sarebbe infatti un adattamento della legge regolatrice, depurato di un marginale dettaglio processuale, ma un suo sostanziale rimaneggiamento atto ad alterarne la struttura privandola di una componente essenziale.

Potrebbe allora ipotizzarsi una seconda ipotesi, che emerge tralatizia nelle parole dello stesso avvocato generale, alla stregua della quale la Corte abbia sollecitato il giudice rumeno ad un approccio più rispettoso della legislazione straniera e lo abbia invitato ad accertare le condizioni (sostanziali) richieste dalla legge italiana per il divorzio e a disporre quanto previsto dalla legge italiana allo stadio in cui si trovano i coniugi, ovvero la loro separazione. In sostanza, il giudice rumeno deciderebbe del vincolo matrimoniale dei suoi concittadini residenti in Italia, come se tale questione fosse portata di fronte ai giudici italiani. La sentenza, pur non “tipica” dell’ordinamento del foro, potrebbe produrre gli effetti giuridici che le conseguono secondo il diritto applicabile, tra cui quello di autorizzare le parti a vivere separate e di costituire il presupposto di un successivo giudizio di divorzio.

Anche questa prospettiva però si rivela insoddisfacente, poiché essa violerebbe l’imperativo processuale della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Se una parte chiede, per quanto in modo infondato e processualmente inammissibile, lo scioglimento del vincolo matrimoniale, il giudice adito non potrebbe sostituire a quanto richiesto una diversa sentenza che si limitasse a indebolire il vincolo matrimoniale, mantenendolo però esistente. Il principio di fondo – fortemente radicato nell’ordinamento italiano – della assoluta diversità tra il giudizio sul divorzio e il giudizio sulla separazione, non consente di pronunciare su un diverso petitum. Ed in effetti, persino l’accertamento sottostante è differente. Mentre nel primo caso il giudice è tenuto a accertare l’impossibile prosecuzione della convivenza, nel secondo accerta l’irreversibilità della crisi coniugale.

La Corte di giustizia è caduta in errore perché, come noto, si muove nella prospettiva (opposta a quella italiana) di una sostanziale identità dei due procedimenti. Come ripetutamente affermato – e codificato nel Regolamento Bruxelles II-bis all’art. 19(1) (con disposizione rimasta immutata nel Regolamento Bruxelles II-ter) – l’oggetto di entrambi i giudizi è sempre il vincolo matrimoniale. Il giudizio sulla separazione e quello sul divorzio vertono sul medesimo “vincolo matrimoniale”, e vanno trattati come procedimenti connessi, se non proprio identici.[28] Così come tra i due procedimenti trova applicazione la disciplina della litispendenza (rectius, della connessione), così può passarsi dall’uno all’altro senza che ciò desti eccessivo clamore. Adottando una lettura euro-unitaria o autonoma come richiesto dalla Corte, il ragionamento parrebbe coerente.

E tuttavia in questo caso al giudice rumeno non è né richiesto né concesso di fornire un’interpretazione “autonoma” o “eurounitaria”. La norma uniforme termina la sua funzione nel momento in cui determina la legge applicabile. Una volta stabilito che la legge regolatrice è quella italiana, questa deve essere applicata con il significato e la portata che essa ha nel proprio ordinamento. Anche questa strada, dunque, benché più rispettosa del diritto italiano, si rivela di fatto impraticabile.

Adottando la prospettiva indicata in precedenza, secondo cui il giudice rumeno dovrebbe giudicare come se fosse un giudice italiano, pare che la soluzione più corretta sia quella – in effetti adottata sinora nell’ordinamento rumeno – di dichiarare la domanda inammissibile per carenza degli elementi sostanziali. Ove le norme processuali interne glielo consentano, egli dovrebbe informare le parti sulle condizioni previste dalla legge applicabile e indagare sulla loro disponibilità a operare una scelta di legge; questo potrebbe fare anche quando il giudizio sia già pendente, come previsto dall’art. 5 par. 3; in alternativa, egli potrebbe verificare con la parte istante se convertire la richiesta di divorzio in richiesta di separazione.

Ed in effetti la soluzione ora cennata è quella a cui è in concreto pervenuto il giudice italiano in una fattispecie speculare a quello pendente di fronte al giudice rumeno. In un caso in cui una donna cinese ha chiesto il divorzio dal marito, anch’esso cittadino cinese, sulla base della comune legge cinese che consente il divorzio diretto, il giudice italiano ha dapprima verificato la possibilità di effettuare una valida scelta di legge in corso di causa; constatata l’impossibilità di tale opzione a causa dell’irreperibilità del marito, ha applicato la legge italiana (quale legge della ultima comune residenza) e ha concluso per l’inammissibilità della domanda, sul rilievo che la legge italiana non consente la pronuncia diretta di divorzio.[29]

Si osservi che, diversamente da quanto sembra ritenere la Corte di giustizia, una sentenza che dichiari l’inammissibilità di una richiesta di divorzio per carenza dei requisiti sostanziali prescritti dalla legge applicabile non può dirsi privare di effetto utile i regolamenti in materia di cooperazione giudiziaria nel diritto di famiglia. Questi svolgono esattamente la loro funzione di determinare prima il foro competente e poi il diritto applicabile, ma devono arrestarsi di fronte al contenuto delle norme materiali interne richiamate.

Pare infatti e piuttosto che la ratio dell’intero sistema possa essere pregiudicata proprio da un’interpretazione che abbia l’effetto di manipolare la normativa di uno Stato, che abbia titolo per essere applicata, adattandola alle caratteristiche della legislazione del foro. Si finisce così per consentire ad una parte (una sola di esse, si badi!) di trarre vantaggio dalle differenze esistenti tra i diversi ordinamenti per realizzare un risultato (solo) ad essa più favorevole, applicando una legge che non esiste, creata “su misura" del caso concreto e pregiudicando così una delle finalità generali del diritto internazionale privato europeo, quella di individuare un giudice e una disciplina applicabile in modo certo e oggettivo.

La forzatura interpretativa che sembrerebbe suggerita dalle parole della Corte appare ancora più insoddisfacente ove si rifletta che il regolamento n. 1259/2010 contempla uno strumento efficace per realizzare sia il risultato perseguito dalla parte istante di un divorzio veloce, sia quello più generale di prevenire i conflitti determinati da legislazioni nazionali che hanno – legittimamente – contenuti molto differenti.

Come noto il regolamento consente, e addirittura favorisce, il ricorso alla scelta della legge applicabile. Se le parti si fossero messe d’accordo e avessero effettuato la scelta della legge rumena (quale legge di cittadinanza ai sensi dell’art. 5(c), o quale legge del foro, ai sensi dell’art. 5(d), tutta la situazione alla base di questo faticoso rinvio pregiudiziale sarebbe stata evitata.[30]

La dottrina ha da tempo messo in luce come la facoltà di scelta del diritto applicabile sia funzionale proprio a consentire lo scioglimento del matrimonio a condizioni più facili e tempi più rapidi.[31] La prassi giurisprudenziale sull’art. 5 mostra poi una chiara propensione a riconoscere la validità dell’optio iuris, anche quando operata tacitamente e in corso di causa, purché entrambe le parti siano consapevoli dei suoi effetti. Per esempio si ritiene integrare una valida scelta di legge la richiesta di divorzio (diretto) fondato dalla parte ricorrente sulla legge straniera, quando l’altra parte non si opponga e anzi argomenti sulla base di quelle medesime disposizioni.[32] In ottemperanza al principio del consenso informato che ispira il regolamento, al giudice è fatto carico non solo di accertare la volontà delle parti, ma anche di informarle della facoltà loro accordata dal regolamento, eventualmente guidandole verso una soluzione in tal senso. Un’opzione che era astrattamente data anche al giudice rumeno.

I problemi si pongono pertanto solo quando, come in questo caso, la controparte non si costituisca in giudizio e/o si renda irreperibile, rendendo così impossibile qualunque optio iuris. In tale evenienza, però, ogni modifica della legge applicabile appare fuori luogo. Anche il rimaneggiamento della legge italiana, depurata dei propri elementi caratterizzanti al fine di essere compatibile con modalità e tempi previsti dall’ordinamento rumeno, appare un’illegittima forzatura.

Nel caso in esame, per esempio, niente si conosce della condotta processuale della signora KF, che non è mai menzionata né nella sentenza, né nelle conclusioni dell’AG. Deve però immaginarsi che, nel corso dei due gradi di giudizio in Romania e prima del giudizio incidentale di fronte alla Corte di giustizia, il marito (o il di lui avvocato) l’abbiano cercata e informata della possibilità di risolvere la loro situazione con una semplice scelta della legge rumena. A dieci anni dall’applicazione del regolamento pare doversi escludere che l’assenza di una scelta di legge sia imputabile all’ignoranza delle parti (compreso il giudice) quanto a tale possibilità. È più verosimile ritenere che questa sia stata una scelta della donna, magari proprio al fine di evitare l’applicazione della legge rumena sul divorzio diretto.[33]

VI. L’anomalia italiana: conclusioni

Sullo sfondo di tutta la vicenda aleggia quella che costituisce ormai sempre più un’anomalia italiana e cioè la complessa e farraginosa procedura per lo scioglimento del matrimonio in vigore nel nostro ordinamento.

La legislazione sullo scioglimento del matrimonio dei diversi Stati Membri è, come noto, molto diversificata. Non è questa la sede per un’analisi delle diverse normative, bastando ai nostri fini suddividerle in tre diversi gruppi a seconda del diverso modo di intendere i rapporti tra l’istituto della separazione e quello del divorzio.

Ad una prima categoria appartengono gli Stati che conoscono solo procedure per lo scioglimento definitivo del matrimonio (dunque il divorzio) e che, pur contemplando la separazione di fatto come elemento probatorio della irreversibile frattura coniugale, non conoscono l’istituto della separazione legale.[34]

Nella seconda categoria rientrano Stati la cui legislazione contempla accanto al divorzio l’istituto della separazione legale, riconoscendolo come procedimento legale separato e distinto dal primo, che realizza il diverso obiettivo di solo attenuare il vincolo matrimoniale, sciogliendo le parti solo dall’obbligo della convivenza.[35] Tali Stati danno risalto non solo alla separazione di fatto dei coniugi, quale condizione sostanziale che esprime la rottura del vincolo coniugale, ma ad un procedimento che termina in una decisione formale dalla quale derivano effetti giuridici. Effetti, però, ontologicamente temporanei perché suscettibili di essere superati dalla riconciliazione dei coniugi.

In tutti questi Stati, però, separazione e divorzio sono procedimenti alternativi tra loro, potendo ciascuno dei coniugi scegliere quale delle due procedure utilizzare. La separazione giudiziale non costituisce dunque una fase preliminare e obbligatoria, necessaria per conseguire il divorzio. Allo scioglimento definitivo del matrimonio può accedersi direttamente, provando con altri mezzi (come la separazione di fatto prolungata per un determinato periodo di tempo, oppure il consenso manifestato da entrambi) la fine della comunione di vita.

Alla terza categoria appartiene oggi solo l’Italia, rimasta l’unico Stato europeo in cui vige una legislazione che può definirsi “di altri tempi”, e che in effetti affonda le sue ragioni e radici nella indissolubilità del matrimonio ante 1970.

Una legislazione che, seppure dal 2015 non obbliga più le parti ad un periodo di separazione tanto lungo, impone però un balzello altrettanto pesante, obbligandole a ricorrere due volte ad una procedura giurisdizionale, o semi-giurisdizionale. Né valga obbiettare che tale procedura è oggi semplificata dal ricorso alla negoziazione assistita. Anche in tal caso la coppia che voglia divorziare è costretta a farvi ricorso due volte, e due volte a sostenerne i costi.

Situazione questa che appare ancora più insoddisfacente in un contesto europeo ispirato a una sempre più accentuata circolazione delle persone, come anche a libertà e diritti individuali fortemente enfatizzati e in cui si registra un continuo e progressivo ammorbidimento nelle condizioni sostanziali e procedurali per sciogliere il matrimonio.[36]

Sebbene la disciplina del diritto di famiglia sia esclusa dalle competenze dell’Unione, così che ogni Stato resta pur sempre libero di adottare e mantenere al proprio interno le norme che meglio esprimono le tradizioni e l’identità culturale, religiosa e sociale del proprio ordinamento, è innegabile che l’armonizzazione progressiva causata dalla circolazione non solo delle persone fisiche ma soprattutto dei modelli giuridici, porta a fare emergere in modo più lampante i problemi, le lacune e le esigenze presenti nei singoli ordinamenti. La vicenda dei coniugi JE e KF ne è lampante testimonianza.

Nonostante le continue e ravvicinate modifiche degli ultimi anni, il diritto di famiglia italiano mostra ancora i segni del tempo. I molteplici interventi normativi che si sono succeduti non sembrano ancora avere delineato un quadro adeguato alle necessità attuali. Pare adesso giunta l’ora di mettere mano ad una disciplina che raccordi meglio il momento della separazione dei coniugi con quello del loro divorzio, in un modo che sia coerente con i nostri principi interni, ma al contempo efficiente e funzionale anche in vista della circolazione in Europa dei cittadini italiani e europei residenti in Italia.

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European Papers, Vol. 6, 2021, No 1, European Forum, Insight of 29 March 2021, pp. 29-44
ISSN 2499-8249 - doi: 10.15166/2499-8249/449

* Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università degli Studi di Milano-Bicocca, costanza.honorati@unimib.it.

[1] Regolamento (UE) 1259/2010 del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale. Tra i molti contributi si ricordano MC Baruffi, ‘Il regolamento sulla legge applicabile ai divorzi europei’ (2011) Il Diritto dell’Unione europea 867; P Franzina (a cura di), ‘Regolamento UE n. 1259/2010 del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale’ (2011) Le nuove leggi civili commentate, 1453; I Viarengo, ‘Il regolamento UE sulla legge applicabile alla separazione e al divorzio e il ruolo della volontà delle parti’ (2011) Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 601; A Zanobetti, ‘Divorzio all’europea. Il regolamento UE n. 1259/2010 sulla legge applicabile allo scioglimento del matrimonio e alla separazione personale’ (2012) La nuova giurisprudenza civile commentata, 250; più di recente F Falconi, ‘Recent Italian Case-Law concerning (EU) Regulation on the Law Applicable to Divorce and Legal Separation’ (2018) Cuadernos de Derecho Transnacional, 568.

[2] Si tratta come noto della causa C-372/16 Sahyouni ECLI:EU:C:2017:988 (c.d. Sayouni II). Tale decisione, ampiamente commentata, verte sul caso di un divorzio “privato” in quanto reso in Siria conformemente alla legge della sharia e del quale si chiedeva il riconoscimento in Germania. Sebbene il regolamento non si applichi al riconoscimento delle decisioni, la questione è dichiarata rilevante perché, in forza del diritto tedesco, il riconoscimento dei divorzi “privati” è subordinato al controllo della loro validità alla luce del diritto materiale dello Stato designato dalle norme sul conflitto di leggi. Con l’entrata in vigore del Regolamento (UE) 1259/2010 cit. (Regolamento Roma III), tale esame avrebbe dovuto essere effettuato alla luce del diritto dello Stato determinato dalle norme di tale regolamento, qualora la fattispecie effettivamente vi fosse rientrata. Come accennato, la Corte conclude però in senso opposto, che tale tipo di divorzio non rientra nell’abito di applicazione rationae materiae del Regolamento 1259/2010 cit. Merita anche fare menzione della precedente pronuncia, resa nello stesso caso, in causa C-281/15 Sayouni ECLI:EU:C:2016:243 (Sayouni I), in cui la Corte si era dichiarata incompetente perché il giudice del rinvio non forniva elementi di fatto sufficienti a consentire alla Corte di valutare della propria competenza. Già in tale decisione la Corte aveva affermato che la fattispecie ricadeva al di fuori dell’ambito d’applicazione del diritto dell’Unione.

[3] Causa C-249/19 JE (Legge applicabile al divorzio) (“JE”) ECLI:EU:C:2020:570.

[4] Alla data di pubblicazione del presente scritto la sentenza è segnalata solo sul blog MarinaCastellaneta, ‘Divorzio transnazionale: la Corte UE chiarisce gli effetti sulla giurisdizione e sulla legge applicabile di una nozione restrittiva di divorzio’ (17 Settembre 2020) MarinaCastellaneta www.marinacastellaneta.it e di Conflict of laws, con una breve nota adesiva di K Pacula, ‘CJEU on application of the law of the forum under Art. 10 of the Rome III Regulation: Case C-249/19, JE’ (16 Giugno 2020) Conflict of Laws conflictoflaws.net. Il rinvio pregiudiziale e l’opinione dell’avvocato generale (AG) sono invece segnalate nel sito EAPIL, con due post di M Requejo Isidro, ‘AG Tanchev’s Opinion on the Rome III Regulation’ (1 Aprile 2020) EAPIL eapil.org.

[5] In verità il ricorrente chiede l’applicazione della norma interna (l’art. 2600(2), cod. civ.) che asserisce rappresentare la trasposizione nel diritto rumeno dell’art. 10 del Regolamento 1259/2010, cf. JE cit. para. 17. Inutile dire che, se l’art. 10 avesse trovato applicazione, esso avrebbe dovuto essere applicato direttamente, disapplicando ogni norma interna, che non ha alcun titolo per essere applicata alle fattispecie disciplinate dal regolamento.

[6] L’art. 10 invero aggiunge anche l’ipotesi che la legge applicabile ”non conceda a uno dei coniugi, perché appartenenti all’uno all’altro sesso pari condizioni di accesso al divorzio o alla separazione personale”, ma in questa parte la previsione è certamente non rilevante per il caso in esame. Si osservi che per la prima parte l’art. 10 è anche chiamato la “clausola italiana” perché́ riprende il contenuto dell’art. 31(2) della legge 218/1995, depurandolo dalla previsione relativa alla separazione.

[7] Cf. Regolamento 1259/2010 cit. Considerando n. 26, corsivo aggiunto.

[8] JE cit. paras 30-31.

[9] Tutt’oggi si tratta di diciassette Stati: Austria, Belgio, Bulgaria, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna e Ungheria.

[10] Per tutti, A Leandro, ‘Articolo 10’ in P Franzina (a cura di), ‘Regolamento UE n. 1259/2010 del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale. Commentario’ cit 1506; T Helms in T. Rauscher, Europäisches Zivilprozess- und Kollisionsrecht: EuZPR/EuIPR – Kommentar, (Band V, 4a ed., Ottoschmidt, 2016) 885; J Carrascosa González, ‘Esclusione dell’applicazione della legge regolatrice del divorzio e regolamento Roma III’ (2017) Studi sull’integrazione europea, 267, 272 ss.

[11] Malta è stato l’ultimo Stato dell’Unione europea a introdurre, nel 2011, una legge sul divorzio.

[12] Dalle conclusioni dell’AG alla causa in esame si apprende che oggi solo le Filippine e lo Stato del Vaticano prevedono l’indissolubilità assoluta del matrimonio (causa C-249/19 JE ECLI:EU:C:2020:231, conclusioni dell’AG Tanchev, para. 20, nota 7). Sottolinea il valore eccezionale e residuale dell’art. 10, che opera prevalentemente in funzione di garanzia antidiscriminatoria, MC Baruffi, ‘Il regolamento sulla legge applicabile ai divorzi europei’, cit. 867, 887.

[13] JE cit. para. 39.

[14] Ibid. para. 43.

[15] Si vedano le conclusioni depositate il 26 marzo 2020 alla causa JE, conclusioni dell’AG Tanchev, cit.

[16] NdA.

[17] JE cit. para. 63, corsivo aggiunto.

[18] NdA.

[19] Corsivo aggiunto.

[20] V legge 6 maggio 2015 n. 55, con la quale è stato ridotto il periodo di separazione necessario ai fini del divorzio, differenziandolo a seconda che la separazione sia consensuale (e allora basteranno sei mesi), ovvero si tratti di separazione giudiziale (e in quel caso ne necessiteranno dodici). Resta fermo il meccanismo delle due fasi di giudizio. La legge si applica a tutti i procedimenti instaurati o anche pendenti, al 26 maggio 2015 ed era certamente applicabile il 13 ottobre 2016 quando JE adiva il tribunale di primo grado rumeno con la domanda di divorzio. Il disposto normativo si è poi saldato con il DL 2 settembre 2014 n. 132, convertito in legge n. 162/2014, che ha introdotto nel nostro ordinamento la negoziazione assistita per adeguare (almeno in parte) il quadro nazionale alle mutate esigenze sociali. Sui problemi di coordinamento dei due atti, che pur essendo coevi hanno seguito iter paralleli e non si citano l’uno con l’altro, v tra gli altri, R Villani, ’Le nuove norme in materia di c.d. “divorzio breve” (e scioglimento della comunione dei beni nei procedimenti di separazione personale): anche l’Italia si adegua (senza fretta e parzialmente) al resto d’Europa’ (2015) Studium iuris 939; R Lombardi, ‘Si abbrevia la distanza tra separazione e divorzio: la l. 6 maggio 2015 n. 55’ (2016) Diritto di famiglia e delle persone 325.

[21] Al para. 42 della sentenza JE cit., infatti si legge: “pertanto, anche se, contrariamente al diritto italiano, il diritto rumeno non contiene disposizioni procedurali relative alla separazione personale, i giudici rumeni competenti sono tenuti a pronunciarsi su tale domanda”.

[22] JE cit. para. 40.

[23] Sul diverso rapporto tra separazione e divorzio nei diversi ordinamenti dell’Unione europea, v infra, para. VI.

[24] Il punto è pacifico in dottrina. Cf. per tutti G Cassano (a cura di), Separazione, divorzio, invalidità del matrimonio: il sistema delle tutele sostanziali e processuali (Giuffrè, 2009) 617; B De Filippis, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio. Conseguenze della crisi coniugale su coppia, famiglia, figli e beni (Cedam 2012) 740-741; F Danovi, ‘I rapporti tra il processo di separazione e il processo di divorzio alla luce della l. n. 55/2015’ (2016) Famiglia e diritto 1093, 1096, ribadisce che la sentenza di separazione costituisce un presupposto dell’azione di divorzio e precisa che, ove essa manchi, la domanda di divorzio sarebbe certamente inammissibile. L’art. 158 cod. civ. dispone che senza l’omologazione la separazione non ha effetto.

[25] G Ferrando, Separazione e divorzio: guida alla lettura della giurisprudenza (Giuffrè 2003) 140 sottolinea che la vita separata deve risultare come conseguenza di un accertamento giudiziale, in seguito al fallimento del tentativo di conciliazione, dell’impossibilità della vita comune; in modo simile M Lupoi, ‘Procedimento di separazione e divorzio’, in Enciclopedia del diritto. Annali (Giuffré 2007) 956.

[26] Cf. ex plurimis Cassazione 9 marzo 1995, n. 2725 (1995) Giurisprudenza italiana 2028 e Cassazione 9 dicembre 2014, n. 25861, ordinanza.

[27] Sul tema, sostanzialmente ignorato nella dottrina italiana, v da ultimo H Dittmers, Die Anpassung im europäischen Internationalen Privatrecht (Peter Lang 2019); G Dannemann, ‘Adjustment/Adaptation (Anpassung)’ in J Basedow, G Rühl, F Ferrari and P De Miguel Asensio (eds), Encyclopedia of Private International Law (Edward Elgar 2017).

[28] Questa impostazione, che -come detto- si fonda sul testo dell’art. 19 Reg che equipara la domanda di divorzio, di separazione e di annullamento del matrimonio, è stata ribadita dalla Corte di giustizia con le sentenze causa C-489/14, A ECLI:EU:C:2015:654 in part. par. 33; causa C-386/17 Liberato ECLI:EU:C:2019:24 par. 35. Per una lettura fortemente critica, sebbene in una prospettiva de iure condendo, si v T Rauscher, Europäisches Zivilprozess cit. 234-237.

[29] Cf. Tribunale di Mantova, 19 gennaio 2016, www.ilcaso.it, sentenza citata da F Falconi, ‘Divorzio cross-border: alcune riflessioni in tema di optio legis’ (2018) Famiglia e diritto 609; L Giorgianni, ‘Separazione e divorzio: l’ascolto del minore e il problema dell’assegno al coniuge’ (2018) Famiglia e diritto 571, 577, nota 37.

[30] Quasi tutta la dottrina che si è occupata del Regolamento Roma III ha messo l’accento sulla (limitata) autonomia lasciata alle parti di determinare la legge applicabile al divorzio. Oltre agli autori citati alla nota 1, si vedano i contributi più specifici, di F Falconi, ‘Divorzio cross-border’, cit.; S Corneloup, N Joubert, ‘Autonomie de la volonté́ et divorce: le règlement Rome III’, in A Panet, H Fulchiron, P Wautelet (dir), L’autonomie de la volonté́ dans les relations familiales internationales (Bruylant 2017) 179 ss.; R Clerici, ‘Il ruolo dell’autonomia privata tra espansione e limiti di operativitá nel regolamento (UE) n. 1259/2010 sulla legge applicabile al divorzio e alla separazione personale’ (2012) Diritto del commercio internazionale, 351 ss; I Queirolo, L Carpaneto, ‘Considerazioni critiche sull’estensione dell’autonomia privata a separazione e divorzio nel regolamento Roma III’ (2012) Rivista di diritto internazionale privato e processuale 59-86.

[31] Per tutti, C González Beilfuss, ‘Règles uniformes sur la loi applicable au divorce et à la séparation de corps’, in S Corneloup (dir.), Droit européen du divorce (LexisNexis 2013) 545, 548; J Carrascosa González, ‘Esclusione dell’applicazione della legge regolatrice del divorzio e regolamento Roma III’ cit. 273 sottolinea che la clausola promuove il c.d. ius connubii, anzi, il “diritto di risposarsi”. R Clerici, ‘Il ruolo dell’autonomia privata tra espansione e limiti di operativitá nel regolamento (UE) n. 1259/2010’ cit. 359 mette in rilievo che l’assenza di un accordo tra le parti ha come conseguenza quella di precludere l'accesso al divorzio diretto, pur previsto da diversi ordinamenti.

[32] La prassi italiana, ad esempio, si è orientata nel senso di consentire la scelta di legge anche in corso di causa, fino al momento in cui ai coniugi è consentito di integrare e precisare gli atti introduttivi. V le decisioni citate da F Falconi, Divorzio cross-border, cit. 618.

[33] Può anche ipotizzarsi che il giudice rumeno abbia colto l’occasione di portare di fronte alla Corte di giustizia una situazione che si era già ripetutamente posta in tale ordinamento e della cui soluzione fosse poco convinto.

[34] A tale gruppo appartengono, come visto, Romania, ma anche Bulgaria, Lettonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria, Croazia, Grecia nonché Finlandia, Svezia. Tutti Stati che non conoscono l’istituto della separazione. Per una sommaria panoramica delle normative nazionali, v il portale europeo della giustizia, European Justice a e-justice.europa.eu.

[35] In tale gruppo possono annoverarsi Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Portogallo, Malta, Irlanda, Lituania, Polonia.

[36] Basti pensare alla recente riforma della Gran Bretagna, dove il nuovissimo Divorce, Dissolution and Separation Act 2020 (DDSA), destinato a entrare in vigore entro la fine del 2021, consentirà il divorzio in poco più di sei mesi, sulla base di una dichiarazione che dichiari (anche unilateralmente) l’irreversibile fine del matrimonio, mediante un procedimento che può svolgersi tutto per via elettronica. La sez. 1(2) stabilisce che è sufficiente che il petitioner produca una dichiarazione attestante che ”the marriage has broken down irretrievably”.

 

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